In questa mia rapida ricognizione attraverso alcune delle prime voci edite del Lessico crociano (diretto da Rosalia Peluso, con la supervisione di Renata Viti Cavaliere) che riguardano più strettamente il tema della Storia in Croce, cercherò d’individuarne alcuni snodi principali, anche al fine di rilevare la novità e l’originalità di approccio di tali contributi.
In via preliminare, però, tengo subito a sottolineare quanto creda nella validità di questo progetto di ricerca e nell’encomiabile iniziativa di Rosalia Peluso, e soprattutto quanto abbia apprezzato il sottotitolo che Rosalia ha pensato per il Lessico: Un breviario filosofico-politico per il futuro.
Da più di dieci anni, ormai, ho il privilegio di insegnare presso la “Sapienza Università di Roma” e, in base alla mia esperienza, gli studenti universitari di oggi ‒ sia quelli iscritti a corsi di laurea triennale sia magistrale ‒ purtroppo conoscono molto poco della personalità di Croce; inoltre, in genere, le informazioni, a volte confuse e frammentarie, che hanno sul suo pensiero provengono dalla lettura di qualche pagina di manuale, di letteratura oppure di filosofia, e spesso si riducono a formule fredde e asettiche, per loro vuote di un concreto significato. Quasi nessuno degli universitari, ormai, tenta spontaneamente un approccio diretto con i testi crociani, anche perché, abituati come sono a letture agili e veloci di brevi articoli pubblicati online, vengono spesso messi in soggezione anche dalla lunghezza e dalla complessità di certi interventi di Croce; però, questo non significa che non rispondano positivamente e, a volte, con vero entusiasmo, agli stimoli di un docente che prenda l’iniziativa di dedicare un paio d’ore, ad esempio, alla lettura e alla spiegazione di qualche saggio crociano.
Il Lessico ideato da Rosalia Peluso, a mio parere, potrebbe procedere proprio in tale direzione: potrebbe rispondere, cioè, alla necessità ˗ che, ormai, avvertiamo nettamente ˗ di rilanciare ancora una volta il pensiero di Croce, ma in maniera che possa essere reso fruibile anche da parte di un pubblico di lettori non specialisti. Ciò non significa che la prosa crociana non sia, di per sé, quell’esempio di limpidezza e di chiarezza che ben conosciamo e che apprezziamo tutti; implica, invece, che, al giorno d’oggi, tramandare al futuro la feconda eredità critica e filosofica di Croce vuol dire, forse, prima di tutto, risvegliare la curiosità e l’interesse delle nuove generazioni e indurle a scoprire soprattutto “ciò che è vivo”, e che resterà a lungo tale, del suo pensiero: per vincere tale sfida, abbiamo bisogno, a mio parere, di nuovi punti di vista dai quali osservare e descrivere. È necessario delineare percorsi nuovi: e l’idea di attraversare l’imponente mole degli scritti crociani con un approccio trasversale come questo mi sembra intelligente e, indubbiamente, assai utile.
Nella voce Storia del Lessico, David D. Roberts parte dall’assunto che «la vita e la realtà è storia e niente altro che storia», espresso da Croce nel 1938 nella Storia come pensiero e come azione[1. Bari, Laterza, 1966, p. 53.], per, poi, risalire indietro nel tempo, a ricostruire l’evoluzione del pensiero crociano sull’argomento. Punto di partenza indiscusso, la nota Memoria pontaniana La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, del 1893, e tappa significativa il quarto volume della sua “Filosofia dello spirito”, ovvero Teoria e storia della storiografia, riguardo al quale Roberts efficacemente osserva: «una volta concluso il percorso filosofico, ci rendiamo conto che ci resta la storia che studiamo attraverso la storiografia»[2. Ad vocem, p. 6.]. Il giusto rilievo viene anche da lui attribuito alla fondazione dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, nel 1947, quale «retaggio istituzionale»[3. Ibidem.] di Croce.
Roberts, però, sottolinea anche l’importanza di quella che definisce la «sfida culturale»[4. Ibidem.] lanciata da Croce nel ripensare il rapporto tra storia e filosofia, specie facendo riferimento ad alcune riflessioni contenute nei Frammenti di etica del 1922[5. Cfr. B. Croce, Etica e politica, Bari, Laterza, 1967, pp. 167-168.]. Pur nella battaglia antipositivistica, Croce ribadì sempre la propria posizione di critico e avversario della “filosofia della storia”; Roberts parla, a tal proposito, di «immanenza radicale»[6. Ad vocem, p. 8.] e, in una prosa antiaccademica e accattivante, spiega:
Il mondo non è un semplice ammasso di cose, ma cresce su se stesso. In altre parole, siamo in grado di trovare la coerenza che induce le azioni a produrre il momento successivo che si basa sul precedente, sia pure in maniera del tutto imprevedibile. Poiché troviamo una coerenza cumulativa, il processo di cambiamento continuo è storia[7. Ibidem.].
Oltre al contenuto chiaro e interessante, credo che proprio la rielaborazione tutta personale che Roberts compie del pensiero crociano e la sua scelta di un nuovo lessico, di nuove immagini per rappresentare idee già note agli studiosi costituisca un importante valore aggiunto di questa voce.
Egli sottolinea anche che il «concetto» di spirito «nelle mani» di Croce «divenne radicalmente immanente e concreto»[8. Ibidem.], non operando esso «separatamente da noi come individui»[9. Ibidem.]: pertanto, «Spirito e storia sono due facce della stessa medaglia; non possiamo capire l’uno senza l’altra»[10. Ibidem.]. Infatti, «ogni momento presente è il risultato dell’attività totale dello spirito fino a questo punto»[11. Ibidem.], scrive. Ma è altrettanto vero che «ogni individuo viene a far parte del processo creativo attraverso il quale il nostro mondo continuamente e poco a poco diventa storia»[12. Ivi, pp. 8-9.]: quindi, il flusso è costante e ogni singola risposta deve interagire con quelle degli altri esseri umani. La «perpetua creazione del mondo della storia»[13. Ivi, p. 9.] è, infatti, «un’attività sovrapersonale»[14. Ibidem.].
Se il nostro mondo risulta, dunque, essere «sempre nuovo»[15. Ibidem.], ma anche, al tempo stesso, «sempre provvisorio e incompleto»[16. Ibidem.] e se la vita è un susseguirsi di prove e di ostacoli da superare, la storia, comunque, per Croce non ha «direzione»: Roberts ritiene, infatti, che il concetto di «progresso» andrebbe più opportunamente sostituito con quello di «crescita», o di «arricchimento»[17. Ibidem.], nel pensiero crociano, ma solo in ragione dell’aumentare della complessità delle situazioni nelle quali veniamo coinvolti. Il futuro, dunque, risulta «aperto a una risposta umana libera e creativa»[18. Ibidem.].
Per Croce, tutti gli eventi sono, in modo diverso, «produttivi», nel senso che «hanno contribuito alla costituzione del mondo quale è»[19. Ivi, p. 10.]. Pertanto, la ricerca storica consiste nella determinazione della funzione di una serie di fatti nella costruzione del nostro mondo, ma non prevede, per Croce, un giudizio sugli stessi, che sarebbe «insignificante», scrive; ciò, però, «non comporta in alcun modo l’esclusione di un giudizio morale»[20. Ibidem.] sul presente. E, quindi, Roberts giustamente sottolinea che Croce non offriva assolutamente «l’autorizzazione ad accettare passivamente la realtà, come sostenuto da certi critici, ma piuttosto un richiamo all’azione»: infatti, il mondo, secondo la definizione di Roberts stesso, è «un invito continuo ad indagare e a reagire»[21. Ibidem.]. Pertanto, lo studio della storia, per Croce, non ci lega al passato, ma, anzi, «il pensiero storico lo abbassa a sua materia, lo trasfigura in suo oggetto, e la storiografia ci libera dalla storia»[22. Cfr. B. Croce, La storia come pensiero e come azione, op. cit., p. 34.].
La comprensione storica, infatti, «deriva da un genuino desiderio di apprendere»[23. Ad vocem, p. 13.], «nasce dalla nostra preoccupazione per il futuro»[24. Ibidem.] e orienta all’azione: quello che Roberts definisce, in maniera molto suggestiva, l’«incontro creativo col passato»[25. Ad vocem, p. 11.] permette a ognuno di noi di esaminare il percorso il cui risultato è il nostro presente, chiarificarne alcuni snodi e reagirvi, mantenendo sempre «tensione critica»[26. Ibidem.] e «possibilità di dissentire».
Se «la realtà non è altro che storia»[27. Ivi, p. 12.], quest’ultima ‒ scrive Roberts ‒ è «tutto quel che c’è da conoscere»[28. Ibidem.]. Inoltre, «tutta la storia è storia contemporanea», sosteneva Croce in Teoria e storia della storiografia (pp. 4-7, 10-12, 16, 99-106), come è ben noto: ciò significa che ogni autentica ricerca storica deriva da un «interesse morale»[29. Ibidem.] del ricercatore per una situazione a lui contemporanea della quale cerchi di indagare l’antefatto e le cause.
Come spiega Roberts, Croce supera il realismo storico di un Leopold von Ranke: la storia, infatti, non è una copia o un’imitazione della realtà, perché la comprensione storica è sempre provvisoria e, quindi, «soggetta a contestazioni e revisioni»[30. Ivi, p. 15.]; quindi, «qualsiasi resoconto sarà necessariamente incompleto e soggetto a più interpretazioni»[31. Ibidem.].
Contrariamente al pensiero di Friedrich Meinecke ed Ernst Troeltsch, Croce ritiene che l’etica non si basi su valori soprastorici, ma che ogni uomo abbia in dotazione una lanterna individuale che gli consente di «reagire eticamente al mondo»[32. Ivi, p. 17. Cfr. B. Croce, Agli amici che cercano il “trascendente” (8 maggio 1945), in Id., Etica e politica, op. cit., pp. 378-84.], assumendosi delle responsabilità. Roberts efficacemente sintetizza: «Noi non sappiamo che cosa fare in base a qualche valore o principio superiore, ma abbiamo la capacità di decidere che cosa fare»[33. Ad vocem, p. 17.]. In molti casi come questo, l’estensore della voce possiede il dono di saper rendere concreta e vicina al quotidiano la teoria: e molta della suggestione che tali parole esercitano sul lettore deriva, a mio avviso, anche dall’uso della prima persona plurale, che coinvolge chi legge e lo rende veramente partecipe di ciò che è invitato a considerare. Il pensiero crociano viene, così, ricondotto alla realtà del vissuto di ogni potenziale lettore e, quindi, reso più “accessibile” e più spendibile proprio nella prassi della vita di tutti i giorni: ne viene, infatti, indirettamente rivelata anche l’“utilità”, ai fini di una più profonda comprensione della realtà e di una più lucida riflessione critica sui principi che devono regolare l’azione e l’influenza dell’individuo pensante sul mondo che lo circonda. Conclude Roberts: «Valori, verità e significato non scompaiono, ma noi li comprendiamo in termini di immanenza radicale, di reazione umana in progresso»[34. Ivi, p. 18.].
Sia detto per inciso che ho trovato particolarmente efficace, in un testo di tal genere, anche la divisione in paragrafi, dotati ognuno di un breve titolo (peraltro, realmente rappresentativo del contenuto che segue): ciò al fine di segmentare meglio la trattazione, sottolineandone gli snodi critico-argomentativi principali.
Nella seconda metà della voce, Roberts si sofferma assai utilmente anche ad analizzare alcuni dei “limiti” di quelle che definisce delle «priorità»[35. Ibidem.] crociane: ad esempio, il fine etico-politico della storiografia, nell’ambito di una concezione della storia intesa come «storia della libertà», perché generata da una «reazione libera e creativa»[36. Ibidem.] al risultato di una precedente reazione umana; e poi «l’insistenza a rilevare in ogni momento del passato le premesse per il futuro»[37. Ibidem.], tralasciando «ciò che è perso, dimenticato»[38. Ivi, p. 20.], e indagando, appunto, il passato solo ai fini di una migliore comprensione del presente.
Non è questa la sede per approfondire tali preziosi spunti: basti sottolineare che, come rileva Roberts, il fine di Croce era, in generale, quello di opporsi a ogni forma di determinismo storiografico. Tra le argomentazioni delle concezioni che, a suo dire, superano Croce, egli mette in particolare rilievo l’importanza attribuita dai “microstorici” come Carlo Ginzburg a eventi secondari e marginali che, invece, la «trama dominante»[39. Ivi, p. 23.], che tanto interessava Croce, trascura o dimentica: anche tale approccio appare efficace, in quanto rende la voce stessa non, per così dire, celebrativa e statica, ma problematica e dialettica, accrescendo, a mio avviso, il fascino che può esercitare sul lettore, il quale non si sente, in tal modo, indottrinato e “fidelizzato” acriticamente, ma reso partecipe di un dibattito ancora in corso e ancora aperto.
La «fede nella storia» che deve sostenerci nell’azione non è cieca o irrazionale, ma Croce non trascura mai il senso d’insicurezza e di provvisorietà che a volte sembra sopraffare chi cerca di preservare il «retaggio»[40. Ivi, p. 26.] delle generazioni passate per il futuro e, insieme, di contribuire a creare, con la propria azione, il mondo di domani.
In conclusione, Roberts rileva come il postmodernismo abbia riscoperto l’interesse per “ciò che è veramente morto” e insieme per le discontinuità che impediscono di considerare la storia come un «singolo processo coerente»[41. Ivi, p. 29.]; non manca di aggiungere, però, che, sebbene la concezione della storia di Croce possa apparire per certi aspetti “antiquata”, il risalto da lui dato alla storia stessa rappresenta un tentativo di dimostrare la possibilità di una reale «alternativa a posizioni basate sulla trascendenza, il fondamentalismo o la teologia», e che il suo orientamento «offre la basi per connettersi in modo positivo e costruttivo»[42. Ivi, p. 30.] con il nostro mondo.
Parlando di Storia, però, pur nell’esiguità del tempo a disposizione, non ci si può esimere dall’accennare rapidamente almeno a un’altra importante voce del Lessico crociano: quella sullo Storicismo di Fulvio Tessitore, la quale risulta caratterizzata da una pregnante ampiezza di sguardo e dalla particolarità di inserire il termine e il concetto di “storicismo” in Croce nel più vasto panorama del clima culturale dal quale ebbe origine, ovvero quello dell’Historismus menzionato negli scritti di Novalis e Friedrich Schlegel, per poi attraversare Feuerbach, Hegel e, per grandi linee, la tradizione otto-novecentesca.
L’analisi del concetto in Croce prende avvio dalle Tesi del 1900 per approdare al fondamentale snodo della Logica del 1909, in cui, secondo Sasso – sottolinea Tessitore ‒, si raggiunge «sul piano concettuale l’idea positiva dello “storicismo assoluto”»[43. Ad vocem, p. 11.], tappa che, per l’estensore della voce, prelude alla successiva «rottura»[44. Ibidem.] dell’unità di storia e filosofia, cui si è già accennato. Stringente è la logica con la quale Tessitore descrive la complessa evoluzione del pensiero crociano sull’argomento, caratterizzato, come egli stesso conclude, da un «ritornante tentativo di suturare le esigenze idealistiche con il realismo desanctisiano, prima di sfociare nell’ultima sconsolata e tuttavia davvero rinnovata “terza filosofia dello spirito”, che quel perenne tentativo di comporre l’incomponibile finalmente abbandona»[45. Ivi, p. 14.].
Molto interessanti sono anche le sue riflessioni sull’originalità della sintesi che Croce opera tra vichismo e kantismo, ripensando, in pagine del 1934, la propria affermazione di Teoria e storia della storiografia che «il conoscere che davvero ci interessa e il solo che ci interessa, è quello delle cose particolari e individue»; nella fattispecie, si allude alla riconsiderazione dell’«intuito» e del «giudizio»: anche al lettore poco esperto di lessico filosofico misurarsi con queste dense pagine consentirà, di certo, di recepire una delle caratteristiche precipue della riflessione filosofica crociana, ovvero il suo costante tornare a riesaminare questioni alla luce delle nuove acquisizioni.
Grande rilievo viene, poi, più volte attribuito, nel corso della trattazione, alla relazione oxoniense del 1930, dal titolo Antistoricismo, che si conclude «all’insegna dello storicismo come umanismo, contro le disumane barbarie dell’antistoricismo»[46. Ivi, p. 16.]:
Chi apre il suo cuore al sentimento storico non è più solo, ma unito alla vita dell’universo, fratello e figlio e compagno degli spiriti che già operarono sulla terra e vivono nelle opere che compierono, apostoli e martiri, geni creatori di bellezza e verità, umile gente buona che sparsero balsamo di bontà e serbarono l’umana gentilezza[47. Cit. alle pp. 16-17 della Voce.].
Com’è noto, dinanzi all’ormai evidente «crisi della civiltà europea», nella Storia d’Europa del secolo XIX del 1932, Croce avrebbe “tradotto” la propria «storia etico-politica» in «storia etico-religiosa»: temi che senza dubbio s’intrecciano anche con la voce Civiltà, alla quale sto tuttora lavorando. Non di attivismo, comunque, ma di «agonismo» parla Tessitore riguardo a tale snodo del pensiero crociano.
Ovviamente, successiva tappa obbligata risulta La storia come pensiero e come azione del 1937-1938, sulla quale si registra una convergenza delle due voci esaminate nel sottolineare la negazione crociana di ogni dualismo tra storia e storiografia, tra idee e valori; Tessitore, però, giunge ad affermare che «questo storicismo» crociano «diventa, in senso rigorosamente hegeliano, la storia come conoscenza di sé, fino a risolvere la storia nella storiografia e la storiografia nella storia e, involontariamente, tutte e due nella filosofia della storia, sempre negata da Croce. Insomma ‒ conclude ‒ un monismo assoluto»[48. Ivi, p. 20.].
Pagine dense e, direi, mosse e “drammatiche” sono dedicate alla questione dell’assoluto e al rapporto tra il pensiero di Croce e quello di Gentile; basti ricordare che, dopo la guerra, Croce ripensò la dialettica in senso kantiano, più che hegeliano, «come esercizio di alta etica e non fatto logico»[49. Ivi, p. 23.]. Dopo la catastrofe, infatti, l’Assoluto da fondare, per Croce, doveva essere di carattere etico, «capace di allontanare ogni rischio per lo storicismo d’essere confuso con l’indifferentismo etico del relativo»[50. Ibidem.].
Tessitore dedica la terza sezione della propria ampia e problematica voce alla dettagliata considerazione del contesto europeo della discussione, a partire dall’interpretazione d’ispirazione marxistico-comunistica: ciò al fine di caratterizzare meglio «la complessità e fin ambiguità dello “storicismo” di Croce»[51. Ivi, p. 26.]. Approda, infine, alla nuova fase della storia della parola Storicismo/Historismus, facendola risalire alla polemica tra Croce e Gentile avviata dal saggio gentiliano Storicismo e storicismo del 1942.
In conclusione, tengo nuovamente a ribadire che considero questa felice intrapresa del Lessico anche un’occasione preziosa per avvicinare, o riavvicinare, ampie fasce di pubblico al pensiero crociano, pure (e, forse, soprattutto) in tutte le sue criticità e nei suoi nodi irrisolti: traendo vantaggio anche dalla lungimirante politica editoriale della Scuola di Pitagora editrice, che, in vista della pubblicazione in cartaceo, sta preliminarmente procedendo a un’iniziale diffusione delle voci su supporto digitale, a un prezzo davvero assai contenuto e accessibile a tutti.
A questo fine, credo sia di fondamentale importanza che, sulla scorta di quanto già pubblicato e in linea con i volumetti appena commentati, gli estensori delle voci ‒ ed è un monito che rivolgo in primo luogo a me stessa ‒ non manchino di cogliere l’occasione per rielaborare contenuti in gran parte noti, almeno agli specialisti, in modo personale e coinvolgente, ma sempre avvalendosi di una prosa che tenda, almeno idealmente, alla limpidezza di quella crociana, e insieme mantenga un tangibile legame con la concretezza del vivere.
Ritengo, infatti, il Lessico una preziosa occasione che ci è stata offerta proprio per non mancare l’incontro con la Storia e con le generazioni future. Perché il “breviario” – si ricordi – è, sì, un ‘sommario’, un ‘compendio’, ma è prima di tutto un volume che si tende a portare sempre con sé, e al quale si dovrebbe poter ricorrere quotidianamente[52. Si tratta del testo della Presentazione (che ha avuto luogo il 9 giugno 2014 presso l’Aula Verra dell’Università degli Studi di Roma Tre) delle voci dedicate alla Storia sino ad allora edite nel Lessico crociano, a cura di Rosalia Peluso, con la supervisione di Renata Viti Cavaliere e il patrocinio della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce e dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (http://www.scuoladipitagora.it/component/content/article/56-uncategorised/92-lessico-crociano), ancora in via di pubblicazione (a partire dal 2013) per i tipi della casa napoletana Scuola di Pitagora editrice. Nella corrente stesura, si è deciso volutamente di mantenere alcune marche dell’oralità tipiche di una relazione.].
(fasc. 7, 25 febbraio 2016)