Una raccolta di novelle: “Historias peregrinas y ejemplares”, di Gonzalo de Céspedes y Meneses

Author di Giovanna Fiordaliso

Nel vasto campo delle esperienze narrative che segnano l’epoca barocca, un caso singolare, su cui la critica si è espressa ormai da tempo con contributi decisivi1, è rappresentato dalle raccolte di novelle, le cui origini sono rintracciabili nelle forme e nelle possibilità offerte dai raggruppamenti di componimenti brevi medievali: si tratta di un complicato percorso che, nonostante alcune lunghe pause, attraversa le letterature di diversi paesi a cominciare dal Duecento per arrivare al Seicento, quando si registra la più alta presenza di novellieri e novelle alla spicciolata in varie realtà europee. La conoscenza del fenomeno, sfaccettato, ampio e nuovo nelle letterature del periodo, è ormai da tempo stata approfondita: tenuto conto di analoghe esperienze coeve, delle tendenze degli scrittori e delle disposizioni dei lettori, un generale accostamento critico ci permette di individuare tratti comuni senza per questo mortificare l’individualità delle particolari manifestazioni. Siamo ben consapevoli che parlare di raccolte di novelle porta a confrontarsi con un binomio che pone l’accento su un duplice problema di natura critica: da un lato, la novella – voce che in modo complesso si fa progressivamente strada nella coscienza degli autori, prima, e dei lettori, poi – rimanda a un genere letterario che presenta molteplici interferenze con altri microgeneri della narrativa del tempo, ma anche con altre forme di racconto (il roman cortes, per esempio) e con altri generi in prosa (dialogo, epistola, commedia). Dall’altro, la sua storia è inestricabilmente legata ai modi con cui compare, sia in antologie, raccolte, collezioni, miscellanee, sia in opere non direttamente legate al genere in questione. Sotto l’insegna della novellistica si ritrovano infatti quei racconti brevi che, inclusi in testi di varia tipologia, vengono in essi utilizzati marginalmente o con scopi diversi2.

Nel suo complesso e articolato percorso in tempi e luoghi diversi, questa modalità narrativa presenta i caratteri che derivano da nuove e consapevoli scelte di poetica, in dialogo con i modelli letterari precedenti, così come da dinamiche sociali inedite che tengono conto di un nuovo pubblico, con una diversa sensibilità, espressione di un’originale visione del cosmo. La novella si presta perciò ad essere un atto rivoluzionario su cui potrà fondarsi la prosa narrativa moderna, dal momento che in essa si sintetizzano vari mondi: saranno il talento e il genio di autori provenienti da epoche e letterature diverse a coglierne le potenzialità e a farne il trampolino di lancio da cui avviare una seria revisione dei generi letterari in voga. Attraverso il filo rosso della beffa, dei rapporti tra città e campagna, della donna, dell’eros e dell’amore, solo per elencare alcune tematiche ricorrenti, troviamo infatti forme narrative che vanno a costituire un patrimonio ampio e variegato, dall’acquisito prestigio letterario, costruito in tempi e spazi diversi, eppure non distanti tra loro. Queste, sinteticamente, le caratteristiche di quelle modalità letterarie di cui la novella sarà un punto di approdo finale: se questi tratti sono infatti presenti nella narratio brevis come tendenza, nel processo di trasformazione dei racconti in novella le trame si attualizzano, la narrazione tende ad aderire al reale dando rilievo alla parola, attraverso cui si manifesta l’ingenium dei protagonisti.

1. Le novelle in epoca barocca

Dinnanzi a un fenomeno estetico e letterario di tale portata, è interessante percorrere il sentiero rappresentato dalle raccolte di novelle, restringendo il campo di indagine a un paese, la Spagna, e a un’epoca, quella aurea: un tempo e uno spazio significativi nella costituzione del genere, che si trova al centro di un crocicchio di strade la cui via maestra è data senza alcun dubbio dalla novellistica italiana e che diventa luogo di un vero e proprio «ingorgo narrativo»3.

Il contributo spagnolo è segnato da due elementi fondamentali: da un lato, in un’atmosfera cosmopolita in cui cultura scientifica e cultura umanistica sono saldamente intrecciate, la Spagna ha rappresentato per l’Europa la porta d’ingresso dei materiali narrativi provenienti dall’Oriente; dall’altro, il 1613, anno in cui Cervantes pubblica le sue Novelas ejemplares, segna la storia di questa esperienza narrativa con modalità e novità pari a quelle rappresentate dal Decameron, a cui Cervantes si ispira4.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la mescolanza tra la raffinatezza romanza e la ricchezza tematica araba ed ebraica determina forse i caratteri, nonché la maturità, del racconto ispanico, dato che gli autori mostrano una forte coscienza dei problemi relativi alla sua letterarizzazione, in particolare della problematica legata all’inserimento di narrazioni sciolte all’interno di un’opera unitaria5. Troviamo in Spagna esempi in cui la tradizione novellistica s’incammina verso l’unificazione tra l’utile, l’esemplare, l’edificante, legato agli exempla medievali, e il dilettevole: la Disciplina clericalis, il Libro de los engaños e los asayamientos de las mugeres; il Libro de los estados; il Conde Lucanor di Juan Manuel; il Calila e Dimna6, solo per fare qualche esempio. Queste opere presentano un uso consapevole della prosa e il ricorso alla cornice: il racconto, prodotto autonomo e di alta qualità artistica, ha come obiettivo primario il gusto per la narrazione, mentre il bisogno di organizzare le storie all’interno di una cornice, di strutturare il materiale narrativo secondo modalità che influenzeranno poi profondamente l’evoluzione della narratio brevis, dipende dalla presenza di una dimensione autoriale, in cui il patrimonio narrativo ereditato dal passato viene sottoposto e inserito in una cornice che è essa stessa un racconto, una storia portante sulla quale si innestano altre storie aventi la funzione sia di provare l’assunto principale di questa, sia di risolvere le varie tematiche ad essa allacciate.

Le novelle sono perciò subordinate alla cornice, vengono scelte in funzione di essa ed orientate verso un particolare tipo di persuasione retorica, che mira alla veritas concreta del racconto, non certo a una morale astratta, portata avanti con consapevolezza dall’autore. È così che prende avvio il processo di problematizzazione del racconto, oggetto di riflessione in autori che vengono fortemente influenzati dalla novellistica italiana, che in Spagna ha una fortunata circolazione, insieme a opere contraddistinte da elementi didattici, satirici, pastorali, bizantini e picareschi: tutte componenti che fanno delle raccolte ispaniche un prodotto originale, con una struttura formale e semantica destinata ad essere consumata da un pubblico sempre più ampio7.

Alla crescente richiesta, da parte dei lettori, di un prodotto di evasione e di consumo risponde, nel Seicento spagnolo, un nutrito gruppo di scrittori che, sull’esempio delle Novelas ejemplares cervantine e nonostante la proibizione di stampa da parte della Junta de Reformación tra il 1625 e il 1627, dà vita a un corpus variegato e interessante. Secondo la stima di Laspéras8, vengono pubblicate in Spagna non meno di duecentocinque raccolte di novelle, senza considerare le collezioni di exempla e facezie, entro il 1640, considerata tradizionalmente la data che segnerebbe l’inizio del declino del genere9.

A che cosa è dovuto tutto questo successo? «El auge – afferma P. Ruiz Pérez – correspondía a una forma de narración caracterizada por la extensión reducida, la frecuencia de la agrupación en colecciones y un ambiente urbano en el que se mezcalban residuos caballerescos-cortesanos con una presencia constante de la picaresca, más como factor de ambientación o repositorio de argumentos que como verdadero género en los límites de los modelos canónicos»10. I lettori del tempo hanno a disposizione una modalità narrativa la cui formula consente la varietà entro schemi riconosciuti e riconoscibili. Non solo. Alla raccolta cervantina si rifaranno necessariamente coloro che, dopo il 1613, scriveranno novelle, trovando in quest’opera il testo fondativo di una nuova stagione novellistica, quella dei Secoli d’Oro, con punte di elevata caratterizzazione e connotazione iberica11. Allo stesso tempo, la novellistica italiana circola per le vie più diramate delle traduzioni: sebbene il Decameron venga inserito nell’Index librorum prohibitorum del 1559, promulgato dal Sant’Uffizio durante il pontificato di Paolo IV, e anche se dal 1564 il testo non sarà più stampabile né commerciabile, la moda dei novellieri non sarà compromessa in Spagna, grazie alla circolazione dei racconti di Bandello, Giraldi Cinzio, Sacchetti, Straparola, Sercambi.

Nonostante la novela non si sia ancora liberata del tutto dalla taccia di genere letterario inferiore, al pari di maraña o patraña, identificandosi poi con la produzione e la fortuna della novellistica italiana quanto basta per presentarsi a segno di scandalo, il successo è garantito da vari fattori: la realtà presentata al lettore secondo le regole della verosimiglianza; l’essenza di una forma narrativa caratterizzata dalla brevitas, che combina in una varietà quasi infinita un materiale narrativo poco originale e ridondante ma riorganizzato in una struttura testuale che mira al piacere del racconto, sono solo alcune delle caratteristiche di una struttura formale e semantica che va incontro ai gusti del pubblico, per una letteratura che si fa progressivamente “di consumo”, di massa, nella quale gli ambienti descritti, i sentimenti e le avventure narrati convergono nel provocare l’admiratio secondo una tecnica, quella della persuasione, che intende commuovere il pubblico, colpire, risvegliare e muovere gli affetti e gli animi. Solo impressionando e meravigliando il destinatario dell’opera d’arte, sia essa una novella, un quadro o uno spettacolo teatrale, si riesce a trascinare l’individuo mettendone in moto la volontà: al docere-delectare si unisce perciò il movere come finalità da raggiungere per far presa sull’uomo e sulla sua coscienza12.

Ancora Laspéras indica gli anni 1493-1637 come la finestra temporale che rappresenta lo spazio sociale e ideologico della produzione novellistica spagnola: uno spazio relativamente stabile «dans ses grandes lignes de forces, dominé qu’il est par cette ‘culture dirigée’ dont les conclusions tridentines sont l’émergence la plus spectaculaire»13. Anziché soffermarsi sugli aspetti teorici che contraddistinguono un’architettura narrativa in fieri, Laspéras propone però di approfondire i rapporti e le relazioni che si stabiliscono in quegli anni tra i testi e la loro codificazione per individuare un codice di riferimento che è sociale e morale, poiché mette l’accento sul dibattito post-tridentino del matrimonio e dell’amore coniugale, ma che allo stesso tempo diventa letterario, grazie alla riflessione teorica e alle scelte di poetica che molti autori esplicitano nelle pagine che aprono i loro testi. L’attenzione si sposta così su una diversità di forme, su un vasto arco di soluzioni strutturali che vanno dalle novelle incentrate su una vicenda semplice, lineare e unitaria, a quelle invece che presentano un intreccio complicato e articolato, formato da vari episodi: in questo modo, sia che la novella diventi l’esplicitazione di un unico caso, sia che si presenti come un’accumulazione di casi diversi, viene costruita come spazio narrativo nel quale dare rilievo al gusto per il racconto, nel quale provare e sperimentare un nuovo modo di narrare che tenga conto del principio di verosimiglianza. Con questo tipo di approccio, in Spagna assume un nuovo valore il concetto di “esemplarità”, con cui dobbiamo fare i conti in modo inedito e originale dal 1613 in poi grazie al contributo di Cervantes: un concetto solo in apparenza religioso e morale e che è invece in realtà assolutamente estetico e letterario, frutto del prodesse ac delectare, o del deleitar y aprovechar che impregna tutta la prosa del Seicento spagnolo14.

Nel Prologo alla raccolta, Cervantes afferma con orgoglio: «yo soy el primero que he novelado en lengua castellana, que las muchas novelas que en ella andan impresas, todas son traducidas de lenguas estranjeras, y estas son mías propias, no imitadas ni hurtadas; mi ingenio las engendró y las parió mi pluma, y van creciendo en los brazos de la estampa»15. E aggiunge: «Heles dado nombre de ejemplares, y si bien lo miras, no hay ninguna de quien no se pueda sacar algún ejemplo provechoso; y si no fuera por no alargar este sujeto, quizá te mostrara el sabroso y honesto fruto que se podría sacar, así de todas juntas, como de cada una de por sí»16. Si tratta di dichiarazioni programmatiche che indicano la sua alta coscienza artistica e letteraria: elaborando una sua «art nouveau de faire des nouvelles»17, riprende motivi tradizionali, situazioni narrative consolidate, per raccogliere nelle sue dodici novelas ejemplares storie d’amore e di matrimoni, gelosie e desideri, rapimenti, duelli, fughe, travestimenti e riconoscimenti, tempeste e naufragi, così come episodi filtrati sul tessuto sociale dell’ormai decadente impero asburgico, quali per esempio quelli legati alla malavita sivigliana. Sono dodici storie di «finzioni sperimentali, che esplorano sistematicamente le vie della creazione romanzesca»18; e se nel Medioevo si legittimavano le storie presentandole come exempla, Cervantes, nel clima spirituale della Controriforma, attenta al potere di persuasione della letteratura, eleva l’esemplarità delle sue novelle rendendole non un modello morale, bensì un esempio di scrittura: offre al suo lettore un ventaglio di casi che mostrano la realtà con i suoi compromessi e le sue menzogne, con la sua parte di caso e di necessità, in cui l’esemplarità coesiste con il racconto stesso, diventa sperimentalismo e si affianca alla convinzione, convenzionale ma anche personale, che i racconti debbano assoggettarsi ai canoni dell’eutrapelia, cioè distrarre piacevolmente con moderazione e onestà.

Le Novelas ejemplares presentano una molteplicità di storie, diverse e diversamente significanti, che non costituiscono né un’antologia né una miscellanea e che non sono raccolte entro una cornice; ciò nonostante, hanno i tratti del lavoro compiuto, costituito secondo un disegno predeterminato ed esemplato sulla misura del più illustre modello della tradizione novellistica italiana19: con un titolo di questo tipo, in cui l’aggettivo si salda ossimoricamente al sostantivo, Cervantes propone ai suoi lettori un genere rinnovato, ammesso e rifondato teoricamente. Le Novelas ejemplares daranno perciò una virata decisiva alla produzione novellistica spagnola – e non solo –: grazie alle parole contenute nel Prologo, l’opera si professa come un libro di racconti nuovi, di novità, di novelas appunto, mettendosi in questo modo al riparo dalla condanna dei dotti contro il genere frivolo e volgare, su cui in Spagna non si erano risparmiati i più autorevoli intellettuali dell’epoca, e rileggendo allo stesso tempo la novellistica italiana, che aveva ormai fama di segno di scandalo per la sua divertita licenziosità e, soprattutto, per le sue irreligiosità e trasgressività.

3. Un novelliere minore: Gonzalo de Céspedes y Meneses

Si inserisce in questo “laboratorio di scrittura” un autore oggi relegato ai margini delle attenzioni critiche, e che godette invece di una certa fama tra i suoi contemporanei: si tratta di Gonzalo de Céspedes y Meneses (Talavera de la Reina, 1585-Madrid, 1638), autore di una raccolta di novelle dal titolo Historias peregrinas y ejemplares, pubblicata nel 1623 a Zaragoza. Si tratta di sei novelle ambientate in altrettante città spagnole, descritte sia storicamente sia da un punto di vista paesaggistico, scenario privilegiato in cui ambientare altrettante storie urbane, con protagonisti nobili e ricchi coinvolti in feste, amori e avventure belliche in una società basata sulla legge dell’onore: una raccolta che, come vedremo, deve molto alle Novelas ejemplares cervantine, ma anche ai novellieri italiani.

Céspedes y Meneses, personaggio dalla vita avventurosa, autore di opere di natura narrativa e storiografica20, è infatti una voce interessante in quanto espressione del suo tempo, rappresentante di una realtà letteraria legata all’autentica euforia di scrittura e lettura che caratterizza la letteratura aurea21: i suoi testi, frutto della penna di uno scrittore che ha saputo far propria un’esperienza artistica tesa, nel complesso, ad accontentare i gusti di un pubblico sempre più vasto, presentano una serie di aspetti, temi, modelli che i grandi autori del suo tempo – Cervantes, Alemán, Lope de Vega, Quevedo – hanno saputo rielaborare creando veri e propri capolavori, e che riscontriamo però anche in un nutrito numero di autori secondari, poco conosciuti nell’attualità ma che, nel variegato panorama letterario secentesco, sono sicuramente degni di attenzione in quanto protagonisti di una tendenza, tutta barocca, di crescente creatività22.

Le Historias peregrinas y ejemplares con el origen, fundamentos y excelencias de España y ciudades adonde sucedieron sono il frutto dell’interesse di Céspedes y Meneses per la realtà del suo tempo, ricreata e raccontata nella finzione. Come afferma Scudieri Ruggieri, la raccolta risente dell’influenza dei novellieri in voga all’epoca, tra cui, oltre a Boccaccio, Guicciardini, Straparola, Bandello, Giraldi Cinzio: «testimonia la contrazione dell’ampio romanzo d’avventure nella brevità intensa della novella cortese; e ciò anche sull’esempio, possiamo credere, della novella italiana ora naturalmente sottoposta a un processo di selezione e depurazione»23. Il debito è però forte anche nei confronti di Cervantes, la cui influenza è evidente ed esplicita fin dal titolo24: nel Prologo che apre la seconda parte della sua prima opera, Poema trágico del español Gerardo y desengaño del amor lascivo, l’autore aveva annunciato di voler pubblicare una dozzina di racconti di «admirables y peregrinos casos que por sucedidos en nuestra patria parecerán tan maravillosos como notables en su disposición y novedad»25. Nella dedica alle Historias peregrinas y ejemplares, Céspedes y Meneses si rivolge al suo «lector discreto» ricordando quella promessa: «doce historias te prometí en mi Gerardo y otras tantas diera hoy a la emprenta»26. Esplicita poi il suo proposito: «dibujarte el alma de la historia, su verdad efectiva, y tan calificada como la oí a personas de crédito, si bien en el cumplirlo corra peligro el mío»27. Le novelle pubblicate saranno in realtà solo sei, nelle quali historia e verdad sono parole-chiave, denominatore comune per esemplificare l’unione e la relazione tra realtà e finzione attraverso l’invenzione di fatti verosimili, stratagemma col quale proporre una fusione tra storia e letteratura.

Come nelle Novelas ejemplares cervantine, non c’è cornice, sostituita dall’apologia di sei città spagnole, descritte in una sezione preliminare dal titolo Breve resumen de las Excelencias y antigüedad de España, teatro digno de estas Peregrinas historias: in questa parte, l’autore mette in relazione «tales acaecimientos peregrinos» e «sus discursos» che, narrati con uno stile ricercato, potrebbero «competir con los de Aquiles Tacio, del cantado Heliodoro, o con los ingeniosos y sutiles del divino Ariosto»28.

Ogni historia è inoltre preceduta da un capitolo sulla Origen, fundamento y antigüedad della città che si presta come scenario, ovvero, non a caso, Zaragoza, Siviglia, Cordova, Toledo, Lisbona e Madrid. Ogni città diventa teatro della historia, ma non solo: El buen celo premiado, El desdén del Alameda, La constante cordobesa, Pachecos y Palomeques, Sucesos trágicos de don Enrique de Silva e Los dos Mendozas sono i titoli di queste sei novelle, avventure amorose grazie alle quali lo scrittore, imitando Cervantes e la novella italiana, lega la cronaca alla corografia, creando una cornice che unisce materiale storico verosimile all’invenzione e alla finzione. In una costruzione che Cros ha definito «a stella»29, a causa dei fili che le descrizioni topografiche intrecciano col quadro apologetico generale della Spagna, Céspedes y Meneses fa dell’encomio geografico un vincolo tra i racconti, ambientati in epoche più o meno lontane dal presente della narrazione. Ogni novella è infatti facilmente databile: la prima è ambientata a Zaragoza nel 1589; con la seconda, ci troviamo durante il regno di Filippo II; siamo a Cordova nel 1520; a Toledo nel 1521 e a Lisbona e Madrid durante il regno di Carlo V. Non mancano inoltre personaggi storici, a cui si allude o che intervengono nell’azione narrata: il duca d’Alba, Filippo II, il duca di Medinasidonia, solo per fare qualche esempio. I luoghi non sono solo quelli spagnoli, dato che le avventure dei protagonisti escono dai confini del paese toccando l’Italia, le Fiandre – mete consuete nella letteratura del tempo –, e diventano il pretesto per includere storie urbane, i cui temi sono legati all’amore: l’ambiente urbano è infatti non solo scenario, ma vero e proprio protagonista della materia narrata, con la quale Céspedes y Meneses può esaltare la grandezza urbanistica, economica e demografica della Spagna del tempo, cantandone l’incomparabile animazione e la ricchezza della popolazione.

Facciamo un breve riferimento alle trame delle sei novelle prima di entrare nella peculiarità della raccolta, frutto dell’originalità di un autore mosso dall’intenzione di lasciare un segno come narratore e come storico. La prima, El buen celo premiado, è la più complessa in quanto costruita su un duplice livello narrativo: Federico, mascherato da frate perché inseguito dalla giustizia, è infatti l’eroe dell’episodio che serve da cornice al racconto centrale della novella, ovvero la storia d’amore tra don Félix e doña Elena, traditi dall’infedele servo Fulgencio, testimone e quindi narratore intradiegetico dell’intreccio. Protagonista della seconda novella è invece la Siviglia ricca e cosmopolita della seconda metà del ’500, nella quale sono ambientate due storie parallele: da un lato, le tese e problematiche relazioni familiari tra don Pedro e il suo fratello minore, don Sancho; dall’altro, la violenza subita da parte della bella Floriana da don Sancho stesso, motivo presente in una delle Novelas ejemplares di Cervantes, La fuerza de la sangre. Il matrimonio con colui che le ha tolto l’onore garantisce il finale felice, dopo una serie di avventure che culminano nell’agnizione, associata ad un’analessi nella quale Floriana ricorda a don Sancho il suo peccato presentandogli suo figlio. Nella terza novella, ambientata a Cordova, doña Elvira, una ragazza povera ma di nobili natali, viene corteggiata da don Diego, ricco cavaliere già sposato. Nonostante le resistenze della dama, la passione amorosa di don Diego non si placa e sarà premiata nel finale, quando il giovane, rimasto vedovo, potrà finalmente rendere pubblico il suo amore per Elvira, che accetterà così di sposarlo. Pachecos y Palomeques è la storia di due famiglie rivali che vivono a Toledo: l’intreccio è costruito attraverso le peripezie amorose di due amanti appartenenti alle due famiglie nemiche, esplicito richiamo alla novella del Bandello. Nella Lisbona spagnola andiamo a conoscere invece i Sucesos trágicos de don Enrique de Silva, che presenta molti degli ingredienti tipici del romanzo bizantino: tempeste, naufragi, fughe e travestimenti arricchiscono una trama in cui ancora una volta si raccontano le vicende amorose di un nobile, innamorato della bella doña Leonor. È l’unica novella dal finale tragico. Los dos Mendozas racconta infine le vicende di due fratelli che decidono di trasferirsi a corte: in questa novella assume un valore importante l’elemento soprannaturale, dato che una figura fantomatica annuncia l’imminente pericolo in cui si troverà Diego, innamorato della giovane Ippolita. Dopo una serie di avventure, il matrimonio sarà garanzia del finale felice30.

Questa rapida e parziale sintesi permette di soffermarci su due aspetti, che sono due tratti distintivi della raccolta: per prima cosa, la materia narrata è data come credibile e verificabile perché garantita dagli interventi del narratore, che interviene, commenta, guida, si rivolge al lettore, chiamato in causa non solo in quanto destinatario del racconto, ma soprattutto in virtù della sua funzione di testimone. Non si tratta perciò solo di compiacerlo e di attirare la sua attenzione: la prima persona narrativa, che non coincide mai con uno dei personaggi, tiene le fila della narrazione caratterizzando in modo tutt’altro che neutro l’enunciazione, di cui si prende cura servendosi di tutti i mezzi che conosce e di cui dispone, appresi dai modelli italiani e cervantini. I suoi interventi sono frequenti: in alcuni casi, di natura retorica, con cui scandire il ritmo del racconto; in altri, parentesi con cui commentare i fatti narrati, alternando così consejas a consejos31. Se da un lato prevalgono i verbi dichiarativi, con cui il narratore introduce il discorso – pienso, digo, , diré, dudo, puedo afirmar, sospecho, creo, tengo por cierto, e altri ancora –, dall’altro il richiamo al lettore è costante: come afferma Moner, si tratta di «autant de chevilles qui émaillent le récit et témoignent de ce parti-pris du narrateur de se produire à l’avant-scène d’où il n’hesite pas à apostropher les personnages ou à interpeller le lecteur»32.

Nella novella La constante cordobesa, per esempio, leggiamo:

Y así no pienso yo que debe aquella generosa ciudad a ningún hijo suyo más honrosas hazañas en su provecho ni mayores servicios en su defensa que a los de aquestas casas referidas, de quien si me fuera lícito contarlas fácilmente desempeñara mi verdad su crédito. Pero aunque se alargue el suceso, ya que no las mayores, diré, entre tantas, dos, en que, supuesto que voy a realzar y engrandecer más convenientemente el héroe principal de esta historia habrá de suplírseme su breve dilación; fuera de que también apetecerá el curioso saber con gusto, con la antiguedad y excelencia de sus claros ascendientes de don Diego, la causa original y tan decantada en España de haberse llamado Campo de la Verdad aquel llano extendido que tiene su ciudad pasado el puente. […] Y así, por escribir solamente lo importante al intento, diré… (pp. 166-167; 173)33.

Altro esempio è il VI capitolo della Constante cordobesa, in cui il narratore interrompe il racconto per inserire una serie di commenti relativi alla decisione di Elvira che, per salvaguardare il suo onore, sceglie di allontanarsi da don Diego. Ci troviamo davanti a varie interrogazioni retoriche con cui il narratore sollecita l’attenzione del lettore: «¿Quién, pues, en este punto, supiera ponderar la locura y el furor que se apoderó de este perdido mozo? ¿Quién el sangriento ánimo con que se puso en términos de quitarse la vida? […] De mí puedo afirmar que no me atrevo; y así sólo diré que fue no poca suerte el haber escapado sin lesión de sus manos» (p. 185)34.

In altri casi, il narratore gioca con il suo lettore o con i personaggi delle novelle, come avviene per esempio in un passo tratto da Sucesos trágicos de don Enrique de Silva: «Ya yo estoy esperando en don Enrique si el verse con tan nuevo estado y sin remedio las cosas de su prima le obligan a desengañarla, le fuerzan a declararse con ella» (p. 305). È frequente il passaggio dal passato remoto al passato prossimo o al presente, per prendere le distanze dal racconto e commentare i fatti narrati dal presente della narrazione.

Altra caratteristica che merita di essere considerata è l’argomento amoroso: tutte le novelle presentano casi d’amore più o meno felici o fortunati. Seguendo l’esempio della novela cortesana spagnola, della novela bizantina e guardando ai novellieri italiani, Céspedes y Meneses riflette sulla natura umana attraverso l’esperienza amorosa: ma di che tipo di amore si tratta?

Siamo di fronte a un ampio ventaglio di possibilità: è amore coniugale (El buen celo premiado), extraconiugale (La constante cordobesa), o prematrimoniale (Pachecos y Palomeques, Sucesos trágicos de don Enrique de Silva, Los dos Mendozas); ostacolato e poi premiato (Pachecos y Palomeques, Los dos Mendozas), è un’esperienza che si inserisce in un quadro di convinzioni e convenzioni ideologiche, nonché di valori sociali che mettono in risalto l’onore, fondamentale nella società secentesca. L’amore può unirsi alla violenza (El desdén del Alameda, Pachecos y Palomeques, Sucesos trágicos de don Enrique de Silva, Los dos Mendozas), sempre presente nelle lotte e negli intrighi cortigiani. Ci sono dunque duelli, fughe, agguati, travestimenti e cambi di identità, con conseguenti agnizioni perché, ci ricorda Conrieri,

sotto l’ammanto decoroso, formalistico, pretenziosamente aristocratico – testimoniato dalle galanterie preziose e ricercate dei discorsi e delle lettere dei personaggi, dallo sfarzo di abitazioni, addobbi, consuetudini di vita che a essi appartengono – la società secentesca rivela un altro volto, quello violento e rissoso, fatto di arroganza, di pronte accensioni dalle tragiche conseguenze per futili motivi, di quotidiane intimidazioni e sopraffazioni35.

L’amore offre perciò un’ampia gamma di possibilità narrative e si presta ad attualizzare il principio ciceroniano dell’otium cum dignitate. Ma l’amore è anche il pretesto per esprimere le proprie idee sulla natura umana, e in particolare su quella femminile, continuamente esposta ai venti delle passioni. Se nelle altre due opere narrative di Céspedes y Meneses le figure femminili sono portatrici di vizi e di difetti più che di virtù, ci sono, nelle pagine di queste historias, eroine che si presentano come personaggi forti e determinati, come Floriana (El desdén del Alameda), Elvira (La constante cordobesa), Juana (Pachecos y Palomeques): tutt’altro che succubi delle regole e delle leggi familiari, sono giovani dame, belle e di alto rango sociale, di cui si approfondisce la componente psicologica e che sanno indirizzare gli eventi dove meglio credono. Oggetto delle attenzioni dei galanes, alcune di loro mostrano tratti maschili, come la bella Juana (Pachecos y Palomeques) che, per difendere il suo amato don Lope dall’attacco dei suoi due fratelli, si traveste e si arma da cavaliere; tenace e determinata è anche Elvira (La constante cordobesa), la protagonista di cui si approfondisce forse maggiormente la psicologia, mentre in Sucesos trágicos de don Enrique de Silva la giovane Clara muore per amore36. Ci sono poi delle costanti che si cristallizzano in topoi fortunatissimi, quali l’innamoramento al primo sguardo, la bellezza della donna, il dubbio sulla fedeltà o l’infedeltà dell’amante, la presenza e il ruolo dell’autorità paterna nelle scelte coniugali ecc.

Insomma: nella maggior parte dei casi, tutto è bene quel che finisce bene. L’amore viene utilizzato per presentare situazioni nelle quali i personaggi vengono messi alla prova, avendo così la possibilità di mostrare le proprie qualità: non si tratta di eventi ordinari e di persone qualunque, ma di esperienze estreme nelle quali l’onore, il coraggio, il valore contraddistinguono i vari eroi, protagonisti così di storie peregrinas y ejemplares. A uomini eccezionali corrispondono storie eccezionali ambientate in luoghi altrettanto eccezionali, historias distinguibili tra loro per il grado di verità referenziale e di inverosimiglianza ornamentale. Le loro alterne fortune appariranno tanto più esemplari quanto più saranno in grado di perturbare e muovere gli animi, di suscitare curiosità e coinvolgimenti emotivi, attraverso la narrazione di casi verosimilmente costruiti mescolando la storia e la finzione: per questo motivo, la novellistica italiana fornisce temi e motivi con cui pensare e complicare l’intreccio, mentre sono di chiara ispirazione cervantina la struttura narrativa, la presenza costante della voce narrante e il richiamo al destinatario in quanto funzione inclusa nel testo.

Questo perché la finzione non deve essere intesa come volontaria menzogna o intenzionale contraffazione del vero: come afferma Blasco, Cervantes insegna che «no todo “fingimiento” es necesariamente “mentira”», per cui è necessario «distinguir entre la mentira que simplemente busca el engaño y el artificio de una “fábula” que esconde en su seno una “verdad”, si no de carácter histórico, sí de carácter moral. El lenguaje de la ficción no es, necesariamente, el de la mentira, sino el de la figuración de la verdad»37.

4. Tra exemplum e historia

Se componendo le sue novelle Céspedes y Meneses ha dunque ben presente l’originalità e la novità letteraria rappresentata dalle Novelas ejemplares, allo stesso tempo aderisce ai canoni e alla mentalità del suo tempo, costruendo un quadro di convinzioni ideologiche, di atteggiamenti sentimentali e di valori sociali conformista e tradizionale: le sue Historias peregrinas y ejemplares, così come i due romanzi sopra citati, possono essere considerate per molti versi opere da manuale, costruite sulla scrupolosa osservanza dei canoni morali, politici, sociali ed estetici vigenti nei primi decenni del XVII secolo, attraverso un’accurata selezione della materia narrativa e dello stile scelto, aderenti ai nuovi generi letterari dell’epoca, preventivamente codificati. L’uso di un materiale conosciuto e di facile identificazione da parte del pubblico viene perciò utilizzato per proporre un elogio delle principali città spagnole, ma anche per contribuire alla prosa di invenzione barocca attingendo dai principali modelli letterari dell’epoca, in primis dal romanzo bizantino e di avventure. Rapimenti, menzogne, inganni, travestimenti e false morti costituiscono una ricetta narrativa di cui Céspedes y Meneses si serve sapendo di andare incontro ai gusti del pubblico; sono però anche gli elementi che permettono di rappresentare l’epoca barocca in tutte le sue contraddizioni. Viaggi e avventure, peregrinazioni e incontri portano sempre verso un finale in cui l’ordine, sentimentale e sociale, individuale e familiare, viene ripristinato, e nel quale gioca un ruolo fondamentale l’intervento di un’autorità esterna e superiore (siano essi i giudici, l’Assistente del Re, il Correggitore/Corregidor o il Re stesso).

Concludiamo questa breve incursione nel mondo delle novelle di Céspedes y Meneses ricordando con Blasco che

junto a las traducciones de Heliodoro y junto al éxito de la fórmula guevariana de falsificar la historia, la “novella” va a nutrir los orígenes de la “novela” de una manera mucho más profunda de lo que la crítica ha querido ver hasta ahora. Si el “poema épico” orienta la teoría de los preceptistas que, a partir de la segunda mitad del siglo XVI se hallan preocupados por encontrar una salida para la narrativa de ficción, la “novella” es la que va a orientar el trabajo de quienes, como Cervantes, conducen la práctica de su escritura hacia ese espacio y hacia ese público que arriba se han descrito38.

Il senso di ejemplar è a questo punto autorizzato a raggiungere altri livelli di significato: non è solo l’osservanza delle leggi tridentine del decoro, sempre più inteso come decenza, rispetto dell’autorità e consenso all’ordinamento religioso, politico, sociale, ma anche la presentazione e la narrazione di un caso tipico, eccezionale, illuminante o, se vogliamo, di emblematica modernità; un caso che sintetizza in un’unica soluzione il doppio binario dell’esempio e della historia. La novella italiana ha infatti secolarizzato e attualizzato l’exemplum, introducendo nella tematica la rappresentazione dei gusti dell’intrattenimento e della mentalità di un precapitalismo e di una borghesia nascente sia nei rapporti sociali sia in quelli amorosi; la novella spagnola si appropria di tutto questo, diventando uno dei generi privilegiati della cultura di massa, urbana, tipica della società barocca.

A fornire le nuove situazioni, le motivazioni, i meccanismi delle trame, a rinnovare il repertorio e le problematiche, sostituendo le precedenti e ambientandole in Spagna con reinventate tecniche e un linguaggio peculiare, troviamo il sostrato dell’umanesimo cristiano erasmiano, insieme alla casistica postridentina, che regola l’amore e il matrimonio, a cui si uniscono il particolare codice nobiliare spagnolo, la nascita e l’affermazione di nuovi generi narrativi, codici e norme particolari quali l’honor e la honra, confronto e prova, condotta morale e sociale. Tutto questo trova nella struttura narrativa della novella una nuova possibilità di espressione e di riflessione: in particolare, Céspedes y Meneses cerca di unire e di bilanciare lo spazio dedicato alla descrizione e all’azione, alla storia e alla poesia, riunendo nelle sue novelle situazioni che, insieme ai vari personaggi che in esse si muovono, richiedono un’ambientazione nuova, ma allo stesso tempo conosciuta e nota al lettore, un paesaggio e uno scenario che si fanno in queste pagine luoghi vissuti, non semplici fondali. Il tutto destinato a un pubblico colto, disponibile e predisposto nei confronti di un nuovo tipo di letteratura di intrattenimento e di riflessione, che mostra un impegno alto e ardito di scrittura.

  1. Cfr. A. González de Amezúa, Formación y elementos de la novela cortesana, Madrid, Tip. De Archivos, 1929; J. M. Laspéras, La nouvelle en Espagne au Siècle d’Or, Montpellier, Université de Montpellier, 1987; G. Mazzacurati, All’ombra di Dioneo. Tipologie e percorsi della novella italiana da Boccaccio a Bandello, a cura di M. Palumbo, Firenze, La Nuova Italia, 1996; M. Menéndez y Pelayo, Orígenes de la novela, Madrid, C.S.I.C., 1962; S. Nigro, Le brache di San Griffone. Novellistica e predicazione tra ’400 e ’500, Bari, Laterza, 1983; W. Pabst, La novela corta en la teoría y en la creación literaria, Madrid, Gredos, 1972; M. Picone, Il racconto nel Medioevo. Francia, Provenza, Spagna, Bologna, Il Mulino, 2012; V. Šklovskij, La struttura della novella e del romanzo, in I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, a cura di T. Todorov, prefazione di R. Jakobson, Torino, Einaudi, 1968, pp. 205-229; M. J. Vega Ramos, La teoría de la Novella en el siglo XVI: la Poética neoaristotélica ante el Decameron, Salamanca, Johannes Cromberger, 1993; «Studi sul Boccaccio», n. 36, vol. 8, 2008.
  2. Un contributo fondamentale proviene dai volgarizzamenti e dalle prediche in latino e in volgare. Nel Medioevo, exempla, fabliaux, lais, legendae, fables e dits vengono raggruppati a prescindere dall’affinità di contenuto o di forma, sulla base di un unico criterio distintivo: la brevitas. Leggiamo così vere e proprie antologie del narratif bref, nelle quali il profano confina con il religioso, il serio con il comico, il morale con l’osceno, la poesia con la prosa, in una coincidentia oppositorum avente come denominatore comune la tipologia retorica della narratio brevis. Nel contesto delle teorie medievali, si tratta di un elemento che serve a formalizzare il testo e che detta le regole compositive fondamentali, nelle quali si uniscono, oltre alla brevità, anche la linearità, la delectatio e la veritas: l’azione narrativa segue infatti una progressione lineare e la sua principale aspirazione è quella a divertire e intrattenere il pubblico per allontanarlo dalle preoccupazioni dei negozia e per proiettarlo nel regno degli otia dello spirito. Tutto ciò senza però perdere di vista il senso del racconto, che fa sempre meno riferimento a idealità religiose e morali imposte dall’alto o dall’esterno e tende sempre più a coincidere con le parole stesse che servono all’affabulazione. Ricordiamo infine che già nel Decameron la novella è sinonimo di «favole, o parabole o istorie che dire le vogliamo».
  3. S. Nigro, Il romanzo barocco della “torre”. Luis Vélez de Guevara, Il diavolo zoppo, 1641, in Il romanzo. Lezioni V, a cura di F. Moretti, Torino, Einaudi, 2002, pp. 95-108.
  4. Nel saggio Cervantes. Novelar el mundo desintegrado, Güntert sottolinea il debito di Cervantes nei confronti di Boccaccio, debito che si manifesta innanzitutto nelle dichiarazioni contenute nel Prólogo al lector. Cfr. G. Güntert, Cervantes. Novelar el mundo desintegrado, Barcelona, Puvill, 1993; Id., Cervantes: narrador de un mundo desintegrado, Vigo, Editorial Academia del Hispanismo, 2007.
  5. Motivo per cui Menéndez Pelayo, sostenitore di un patriottismo o nazionalismo culturale che avrebbe portato allo sviluppo autoctono della novela in Spagna, afferma che «los orígenes más remotos del cuento o novela corta en la literatura española hay que buscarlos en la Disciplina clericalis, de Pedro Alfonso, y en los libros de apólogos y narraciones orientales traducidos e imitados en los siglos XIII y XIV» (M. Menéndez Pelayo, Orígenes de la novela, op. cit., p. 251).
  6. Tradotto dall’arabo nell’ambiente della corte di Alfonso X, il testo presenta una struttura complessa, con un prologo e un’introduzione che illustrano l’intento didattico del libro, a cui seguono sedici capitoli nei quali il medico-filosofo Berzebuey cerca di curare lo spirito umano servendosi di racconti tratti dal mondo animale.
  7. Nel suo studio sulla novela corta, Pabst sottolinea la prossimità e la vicinanza tra commedie e novelle nei Secoli d’Oro, non solo a livello diegetico, ma soprattutto nella coscienza di autori e lettori. In particolare, secondo lo studioso, le novelle permettono una libertà espressiva mantenendo aperte le frontiere tra la narrazione e il dialogo, commedia ed epica (W. Pabst, La novela corta en la teoría y en la creación literaria cit.). Ricordiamo inoltre che in Spagna riscuote un notevole successo la traduzione dell’Asino d’oro di Apuleio, realizzata da Cortegana. Come afferma Guarino, «haciendo del protagonista metáfora del libro mismo, Cortegana presenta al lector su traducción como un proceso de domesticación, de adaptación a un nuevo contexto. En este sentido, él hace todo los esfuerzos posibles para acercar el lector a los objetos, a las costumbres, a los ambientes de la época clásica. (…) Desde el punto de vista literario, es significativo que al momento de comentar la fábula de Amor y Psiquis Cortegana traduzca la “bella fabella” del original como bella novela. Es cierto que la palabra “novela” venía utilizándose en castellano al menos desde el Siervolibre de amor (Aquí acaba la novella, se titula su capítulo final) pero también hay que recordar que a lo largo de todo el siglo XVI queda envuelta en un halo de sospecha y que habrá que esperar al 1613 de las Novelas cervantinas (en todo caso Ejemplares) para que el término pueda encabezar una obra original española» (A. Guarino, Las huellas del asno. Presencia de Apuleyo en la narrativa española del siglo XVI, in Modelli, Memorie, Riscritture, Atti del Convegno Internazionale, Napoli-Cassino, 10-12 maggio 2000, a cura di G. Grilli, Napoli, IUO, 2001, pp. 43-59).
  8. J. M. Laspéras, La nouvelle en Espagne au Siècle d’Or cit., pp. 21-24.
  9. Secondo González de Amezúa, il 1640 è il limite temporale con il quale far coincidere la fine della produzione novellistica spagnola e il declino politico ed economico della Spagna. Cfr. A. González de Amezúa, Formación y elementos de la novela cortesana cit., p. 95.
  10. P. Ruiz Pérez, Historia de la literatura española. El siglo del arte nuevo, Barcelona, Crítica, 2010, p. 267.
  11. Basti citare qualche titolo: Tarde entretenidas (1626), Jornadas alegres (1626) di Castillo Solórzano; Casa del placer honesto (1624) di Salas Barbadillo; Doze novelas morales (1620) di Agreda y Vargas; Novelas ejemplares y prodigiosas historias (1624) di Juan de Piña; Novelas amorosas y ejemplares (1637) di M. de Zayas y Sotomayor; Sucesos y prodigios de amor en ocho novelas ejemplares (1624) di J. Pérez de Montalbán (cfr. a questo proposito il capitolo Narrativa corta, picaresca y costumbrismo, a cura di P. Ruiz Pérez, in Historia de la literatura española. El siglo del arte nuevo cit., pp. 266-287).
  12. Cfr. J. A. Maravall, La cultura del Barroco. Análisis de una estrucutra histórica, Barcelona, Ariel, 1975.
  13. J. M. Laspéras, La nouvelle en Espagne au Siècle d’Or cit., p. 23.
  14. Le Novelas ejemplares ebbero un immediato successo editoriale: basta ricordare che a dieci mesi dalla prima apparizione veniva pubblicata la quarta edizione e che alla fine del secolo si potevano contare, tra edizioni, ristampe e pubblicazioni pirata, ventitré edizioni. Altrettanto importanti furono le traduzioni effettuate in italiano e in francese, e pubblicate negli anni immediatamente successivi alla prima edizione del 1613. Molto interessante da questo punto di vista il lavoro realizzato da D. Pini e da C. Castillo Peña: cfr. http://cervantes.cab.unipd.it/nosoloquijote/home.jsp?lingua=es.
  15. M. de Cervantes, Novelas ejemplares, a cura di J. García López, Barcelona, Crítica, 2001, p. 52: «M’induco a credere di essere il primo ad aver novellato in lingua castigliana: infatti, le molte novelle che in questa lingua sono state pubblicate, sono tutte tradotte da lingue straniere, mentre queste son proprio mie, non imitate né rubate; le ha generate il mio ingegno, le ha partorite la mia penna e ora stanno crescendo nelle braccia della stampa» (M. De Cervantes, Novelle esemplari, introduzione di G. Morelli, cura e traduzione di C. Berna, Roma, Newton & Compton, 2002, p. 18).
  16. Ibidem. «Ho dato loro il nome di “esemplari” e infatti, se guardi con attenzione, vedrai che non ve n’è neppure una dalla quale non si possa trarre un esempio utile; e se non fosse per il timore di dilungare questo argomento, forse ti mostrerei il gustoso e onesto frutto che si potrebbe ricavare sia dal loro insieme, sia da ciascuna presa per sé» (M. De Cervantes, Novelle esemplari, op. cit., p. 18).
  17. Cfr. J. M. Laspéras, La nouvelle en Espagne au Siècle d’Or cit., pp. 177-183.
  18. J. Canavaggio, Cervantes, Roma, Lucarini editore, 1988, p. 265.
  19. Cfr. a questo proposito, tra gli altri, J. Casalduero, Sentido y forma de las Novelas ejemplares, Madrid, Gredos, 1962; Ruth el Saffar, Novel to romance: a study of Cervantes’s Novelas ejemplares, Baltimore, J. Hopkins University Press, 1974; A. Rey Hazas, Deslindes de la novela picaresca, Málaga, Servicio de publicaciones de la Universidad de Málaga, Col. Thema, 2003; J. Blasco, Cervantes, raro inventor¸ Alcalá de Henares, Centro de Estudios Cervantinos, 2005; G. Güntert, Cervantes. Novelar el mundo desintegrado, op. cit.
  20. Sulla produzione di Céspedes y Meneses e per un breve profilo biografico, cfr. i miei precedenti lavori: Introduzione a G. de Céspedes y Meneses, Alterna fortuna del soldato Píndaro, a cura di G. Fiordaliso, Pisa, ETS, 2011; Una vita oltre la picaresca: il viaggio e le peregrinaciones del soldato Píndaro in Italia in Varia fortuna del soldado Píndaro di Gonzalo de Céspedes y Meneses, in Il prisma di Proteo. Riscritture, ricodificazioni, traduzioni tra Italia e Spagna (sec. XVI-XVIII), a cura di V. Nider, Trento, Università degli studi di Trento, 2012, pp. 431-447; Varia fortuna del Soldado Píndaro di Gonzalo de Céspedes y Meneses: un incrocio di modelli narrativi, in Frontiere: soglie e interazioni. I linguaggi ispanici nella tradizione e nella contemporaneità, vol. I, Letteratura, a cura di A. Cassol, D. Crivellari, F. Gherardi, P. Taravacci, Collana Labirinti n. 152, Trento, Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Lettere e Filosofia, 2013, pp. 211-226 (http://eprints.biblio.unitn.it/4259/).
  21. Cfr. B. Ripoll, La novela barroca. Catálogo bio-bibliográfico, Salamanca, Ed. Universidad de Salamanca, 1991, in particolare le pp. 13-18; J. A. Maravall, La cultura del Barroco. Análisis de una estrucutra histórica, op. cit.
  22. Cfr. F. López Estrada, Variedades de la ficción novelesca, in Historia y crítica de la lietratura española, vol. II, a cura di F. Rico, Barcelona, Ed. Crítica, 1984, pp. 271-279, cit. a p. 271.
  23. J. Scudieri Ruggieri, Céspedes y Meneses narratore, in «Anales de la Universidad de Murcia», XVII, 1958, pp. 33-87.
  24. Cfr. a questo proposito il mio lavoro dal titolo: Gonzalo de Céspedes y Meneses entre imitación y experimentación, in Las Novelas ejemplares en su IV Centenario, Actas del Congreso Internacional en honor de Aldo Ruffinatto, Turín, 5-7 de marzo de 2013, n. 14 di «Artifara», 2013 (http://www.ojs.unito.it/index.php/artifara/index).
  25. G. de Céspedes y Meneses, Poema trágico del español Gerardo y desengaño del amor lascivo, ed. di Caytano Rosell, Madrid, Biblioteca de Autores Españoles, 1946, p. 120: ‘casi degni di ammirazione e peregrini che, poiché sono avvenuti nella nostra patria, sembreranno tanto meravigliosi quanto eccezionali per modo e novità’ (la traduzione è mia).
  26. G. de Céspedes y Meneses, Historias peregrinas y ejemplares, ed. di Y. Fonquerne, Madrid, Castalia, 1969, p. 59: ‘dodici storie ti promisi nel mio Gerardo ed altrettante ne pubblico oggi’ (la traduzione è mia). Tutte le citazioni faranno riferimento a questa edizione.
  27. Ibidem: ‘disegnarti l’anima della storia, la sua effettiva realtà, tanto qualificata così come l’ho udita da persone degne di fiducia, sebbene compierlo metta la mia in pericolo’ (la traduzione è mia).
  28. Ibidem: ‘competere con quelli di Achille Tazio, del cantato Eliodoro, o con quelli ingegnosi e fini del divino Ariosto’ (la traduzione è mia). I riferimenti e i richiami intertestuali sono tutt’altro che casuali e rimandano, ancora una volta, alle dichiarazioni programmatiche espresse da Cervantes nel Prologo alle sue Novelas ejemplares, là dove afferma che «tras ellas, si la vida no me deja, te ofrezco los Trabajos de Persiles, libro que se atreve a competir con Heliodoro» (pp. 52-53).
  29. E. Cros, Protée et le gueux: Recherches sur les origines et la nature du récit picaresque dans Guzmán de Alfarache, Paris, Didier, 1967.
  30. I richiami alle Novelas ejemplares sono evidenti anche nella costruzione dell’intreccio. Queste le corrispondenze tra le Historias peregrinas e la raccolta cervantina: El buen celo premiadoEl casamiento engañoso y El coloquio de los perros; El desdén del AlamedaLa fuerza de la sangre; La constante cordobesaEl amante liberal e La ilustre fregona; Pachecos y PalomequesLas dos doncellas; Sucesos trágicos de don Enrique de SilvaLa española inglesa; Los dos MendozasLas dos doncellas e La española inglesa. Cfr. a questo proposito il mio lavoro: Gonzalo de Céspedes y Meneses entre imitación y experimentación, in Las Novelas ejemplares en su IV Centenario cit.
  31. Cfr. F. Rico, La novela picaresca y el punto de vista, Barcelona, Seix Barral, 1976.
  32. M. Moner, Cervantes conteur. Écrits et paroles, Madrid, Casa de Velázquez, 1989, p. 94.
  33. ‘E quindi non penso che quella generosa città debba a nessuno dei suoi figli imprese più onorate a suo vantaggio né servigi maggiori in sua difesa di quelli che si riferiscono a queste famiglie, i cui casi mi è lecito raccontare, mostrando facilmente la mia verità il loro credito. Ma, sebbene si allunghi il racconto, riferirò non i principali bensì, tra tanti, due, con i quali posso evidenziare e lodare in modo più adeguato l’eroe di questa storia; oltre al fatto che al lettore curioso piacerà sapere, insieme alle origini ed eccellenze degli illustri antenati di don Diego, la causa originale e tanto decantata in Spagna del nome del cosiddetto Campo della Verità, riferito a quella piana estesa che si trova oltre il ponte della città. (…) E quindi, volendo scrivere solo ciò che serve al mio intento, dirò…‘ (la traduzione è mia).
  34. ‘Chi, a questo punto, saprebbe ponderare la follia e la furia che s’impossessarono di quel perduto giovane? Chi l’animo violento con cui fu quasi sul punto di togliersi la vita? (…) Per quanto mi riguarda, posso dire che non mi azzardo; e quindi dirò solo che non fu poca la fortuna di essere fuggito incolume dalle sue mani‘ (la traduzione è mia).
  35. D. Conrieri, Introduzione a Novelle italiane. Il Seicento. Il Settecento, a cura di D. Conrieri, Milano, Garzanti, 1982, pp. VII-LXII, cit. a p. XXIV.
  36. Il mistero caratterizza molti episodi: l’ambientazione notturna, il travestimento, la campagna deserta al di là delle mura cittadine sono i tratti con cui creare un’atmosfera di solitudine, incertezza, in alcuni casi di terrore. La morte, sempre presente nelle opere di Céspedes y Meneses, che non si esime dal descrivere cadaveri o corpi feriti e moribondi, è strettamente legata all’esperienza amorosa, dato che ogni storia può realizzarsi solo a costo della vita. Restando saldamente legato alla tradizione, Céspedes y Meneses scrive quindi un’opera in cui non mancano riferimenti al mondo soprannaturale. La constante cordobesa presenta un episodio simile all’epilogo di El burlador de Sevilla di Tirso de Molina, a dimostrazione che l’evento evidentemente circolava ed era conosciuto dal pubblico e dagli autori del tempo: l’ombra del padre della donna compare in chiesa e ammonisce don Diego circa il suo illecito amore, minacciandolo di castigo divino se non cambierà vita. Don Diego non è però uno dei tanti don Juan che deve essere punito: diffusasi la notizia della sua morte dopo questo impressionante episodio, sua moglie dà alla luce un bambino e muore, circostanza che permette al giovane vedovo di unirsi in matrimonio con la dama amata e desiderata. In Los dos Mendozas invece il momento soprannaturale ha una rilevanza ancor più decisiva. Compare infatti una sorta di fantasma annunciando al protagonista un pericolo imminente; si rivelerà essere lo spirito di Ignacio Ortensio, il servo che il padre dei fratelli Mendoza aveva fatto uccidere perché sospettato di aver rivelato alla moglie i suoi amori extraconiugali. L’apparizione porterà a scoprire una verità alquanto complicata: Leonarda, promessa sposa di uno dei Mendoza, è in realtà loro sorellastra, nata da una delle relazioni extraconiugali del padre; Ippolita, destinata a sposare suo malgrado un vecchio marchese, viene salvata da don Diego, che la ritroverà in un monastero. Il triplice matrimonio d’amore chiude la novella: Diego sposa Ippolita, Fadrique sposa la cugina che era stata compagna di segregazione di Ippolita nel monastero e degne nozze saranno celebrate anche per la ritrovata sorella.
  37. J. Blasco, Cervantes, raro inventor cit., p. 32.
  38. Ivi, pp. 52-53.

(fasc. 4, 25 agosto 2015)