Recensione di Franco Zangrilli, “Pianeta dei misteri”. Il neofantastico in scrittori postmoderni

Author di Biagio Coco

Molti scrittori postmoderni di racconti fantastici non rinunciano a rappresentare l’attualità della vita contemporanea e il pianeta misterioso che abitiamo: le loro opere e la loro scrittura vivono del rapporto insolubile tra realtà e finzione. Sono queste le premesse dalle quali parte il nuovo studio critico di Franco Zangrilli che da anni indaga le sfaccettature e le dinamiche della scrittura narrativa nell’universo vasto del postmoderno, gravitante attorno all’impossibilità delle grandi narrazioni, alla coscienza perduta della storia e alla consapevolezza che ogni scrittura non possa che essere riscrittura. Questi scrittori non producono, come si sostiene di frequente, in un dibattito critico-estetico tutt’ora in corso, opere narrative solipsistiche, ripiegate in una dimensione autoreferenziale e metaletteraria. Il dialogo ininterrotto di ciascun autore con la propria tradizione letteraria e la rivisitazione dell’ampio serbatoio dei temi del fantastico occidentale, se possono obbedire a un principio di rottura, raramente conducono al disinteresse verso la realtà della vita oggettiva e quotidiana. Anche quando dà vita a visioni singolari, attraverso processi di ibridazione e narrazioni frantumate, il racconto fantastico postmoderno «è una favola dei fatti, una fine rappresentazione neofantastica della realtà dei nostri tempi».

Il titolo del saggio di Zangrilli, Pianeta dei misteri, non è solamente di forte suggestione ma diventa un contrassegno ermeneutico di questo (neo)fantastico postmoderno. Non stupisce, pertanto, se nei cinque densi capitoli in cui è suddiviso vengono presi in esame differenti tipi di racconti fantastici in altrettanti scrittori esemplari, da Leonardo Sciascia a Tommaso Pincio, passando attraverso Giuseppe Bonaviri, Oriana Fallaci e Antonio Tabucchi. Quella che emerge dalla scrittura degli autori indagati, in apparenza così diversi, è infatti l’immagine e il comune confronto con un mondo visto come pianeta enigmatico, nel quale ogni scrittore ˗ come del resto ciascun individuo ˗ sperimenta la propria presenza, ricercando segni e parametri con cui rapportarsi a una realtà sempre più sfuggente, indecifrabile.

In Todo Modo Sciascia smantella i «moduli canonici della detective story» attraverso una narrazione intermittente, ellittica, da monologo interiore che si nutre di memorie intertestuali da Pirandello a Gide e di commistioni di materiali iconici, mitici e archetipici. In questo spazio enciclopedico del fantastico, don Gaetano, grazie al suo demoniaco cinismo da diavolo occhialuto e all’utilizzo, a un tempo, di un lessico biblico ed evangelico, riesce a personificare in se stesso e a descrivere lucidamente come la Chiesa di Cristo si sia identificata in un certo momento storico con un tipo di ordine sociale. Parimenti, nella seconda parte del romanzo, che è quella maggiormente concentrata sulle modalità del poliziesco, l’uso amplificato del metagiallo, con il pittore-narratore che dapprima si fa detective e poi confessa inaspettatamente un delitto senza movente, sottolinea l’impossibile rinvenimento della verità e della giustizia, senza il sostegno delle istituzioni e della società. Il fantastico di Sciascia diventa un modo per descrivere il paradigma del potere nell’Italia degli anni Settanta e della coscienza individuale, nel loro comune travalicare i confini della ragione.

La narrazione fantastica di Bonaviri, di cui Zangrilli ripercorre le opere e l’itinerario artistico, è sin dai suoi esordi una modalità che «non intacca la sostanza neorealistica, ma la drammatizza». Il paesaggio dei dintorni di Mineo e la Sicilia diventano luoghi dell’anima e macrocosmo, un universo in cui sono depositate culture e mitologie millenarie, trasfigurate e contaminate, che Bonaviri originalmente riprende non per farne parodia ma attualizzazione, per inscrivervi idee, eventi storici e timori che tormentano il suo tempo. Così, la Divina Foresta, l’infinita e idilliaca metamorfosi della vita, dalla particella Fermenzio all’avvoltoio Apomeo, si chiude con gli uomini che scoprono il fuoco e distruggono il paesaggio naturale, con il volo di ricerca di altri spazi nel cosmo, divenendo «allegoria della società postmoderna, che sta distruggendo se stessa». Allo stesso modo nel racconto Il giovane medico e don Chisciotte, per riferire solo di alcuni esempi, il gioco metacreativo con al centro lo spazio labirintico dell’ospedale di Frosinone (così lontano da Mineo!) diventa l’occasione per riflettere sulla società neocapitalistica e i suoi meccanismi, autentico baratro «che schiavizza e fossilizza in un prigione di intollerabile solitudine».

Vicina alle esperienze del New Journalism newyorkese, la Fallaci nei Sette peccati di Hollywood ricorre nell’affabulazione all’iperbole, alla caricatura, al grottesco, a similitudini combinate «con un selezionato bestiario». Più ampiamente recupera le tradizionali rappresentazioni del giardino dell’Eden e della ghost house, del santuario o del mito di Sodoma e Gomorra. E rappresenta così, da narratrice e personaggio, non solo quel paradiso artificiale di mummie e manichini che è l’industria del cinema hollywoodiano ma anche la frivolezza, il livello culturale e l’effimero della «società globalizzata alla ricerca di se stessa», che in quel microcosmo si riflette. Nel reportage Se il Sole muore vengono utilizzati procedimenti diversi: dal citazionismo (di Verne, Huxley, Orwell) al discorso meta-fantascientifico. L’intento è quello di descrivere e rappresentare tra curiosità e paure gli scenari possibili del futuro, attraverso un’inchiesta, a un tempo, reale e letteraria, «piena di disperato ottimismo».

Tabucchi decostruisce e recupera temi e strutture del fantastico in un complesso “gioco del rovescio” realizzato attraverso l’attenzione al «doppio della scrittura» e la «mimesi di vari generi letterari». Zangrilli analizza i suoi racconti più significativi gravitando attorno a macrotemi principali e a immagini ossessive della sua narrativa: le figure di padri defunti, a metà tra ricordo, fantasticheria, visione e presenza (Pomeriggi del sabato); il vedere e il sentire che rimarcano il carattere evanescente e misterioso di ogni comunicazione (Voci); il doppio e l’identità (Lettera da Casablanca); lo specchio come congegno che «incanta e strega il personaggio» e la metascrittura che crea personaggi che sono il doppio dell’autore e proiezioni della sua identità spezzata (Cinema, Vagabondaggio). Pur nella loro diversità, i racconti di Tabucchi sono dei congegni perfetti, accomunati dalla capacità di rivelare il carattere labirintico, enigmatico, misterioso dell’interiorità umana.

Il capitolo conclusivo del saggio di Zangrilli è dedicato a uno degli scrittori contemporanei più interessanti, Tommaso Pincio, esponente dell’Avant-Pop, e principalmente a due suoi romanzi: Lo spazio sfinito e Un amore dell’altro mondo. Entrambi hanno al centro personaggi “diversi”, disadattati, in una fuga da loro stessi, ora nei meandri di un viaggio cosmico ora nel mondo allucinato della droga. L’evasione impossibile dall’alienazione e da «una società disfunzionale» a livello dell’economia, dell’individualità e della parola si riflette nel meccanismo sconvolto di scomparsa e ricomparsa di memorie, identità e personaggi. E la diegesi adottata da Pincio non può che svelare una cosa e poi subito dopo il suo opposto, in una dimensione fatta di ellissi e immagini, incongruenze e simulacri.

Dietro il sogno, la menzogna, l’allucinazione ci sono, del resto, le verità più vere: quest’ultimo lavoro di Zangrilli, analizzando il legame tra immaginazione, racconto neofantastico e realtà contemporanea, ne fa il ritratto con la consueta chiarezza e con una tempestività insolita per gli studi critici.

(fasc. 11, 25 ottobre 2016)

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