Recensione di Benedetto Croce, “Storie e leggende napoletane”, a cura di Andrea Manganaro

Author di Maria Panetta

Il settimo volume degli Scritti di storia letteraria e politica dell’Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce ha visto la luce nel 2019, per gli eleganti tipi della casa napoletana Bibliopolis, fondata nel 1976 da Francesco Del Franco, che non possono che ricordare con particolare stima e affetto tutti coloro che hanno avuto il piacere di conoscerlo e frequentarlo, e la cui opera è oggi egregiamente portata avanti dalla figlia Emilia, che ne ha ereditato la competenza, la raffinatezza e il fiuto editoriale.

I criteri dell’Edizione Nazionale delle Opere di Croce, affidata alla Casa nel 1985, vennero fissati nel 1991 dal Consiglio Scientifico dell’Edizione stessa, presieduto dal filologo e appassionato conoscitore dell’opera del Croce Mario Scotti.

Attualmente, quei criteri filologicamente rigorosissimi sono stati aggiornati, come si legge anche sul sito della casa editrice:

Per quanto concerne il corpus, ciascuna opera sarà affidata ad uno studioso che curerà la pubblicazione nel modo seguente. Il testo dell’ultima edizione pubblicata dall’Autore viene mondato degli errori di stampa, e, per quanto riguarda le citazioni, da errori materiali di trascrizione. Al testo dell’opera crociana così stabilito viene aggiunta una sobria nota che comprende una breve cronistoria della genesi dell’opera, l’elenco delle citazioni del testo, un elenco delle più significative varianti tra il testo adottato e le precedenti edizioni, in fine l’indice sistematico dei nomi e degli argomenti. Questo criterio è il risultato del non facile equilibrio tra l’istanza della pura filologia e la necessità di porre a disposizione degli studiosi e degli uomini di cultura le opere di Croce in una veste che non ne appesantisse la lettura né apportasse sostanziali variazioni rispetto all’edizione stabilita dall’Autore[1].

L’edizione del volume delle Storie e leggende napoletane, amate da chiunque apprezzi la penna di Croce, ha, però, rispettato i criteri originari, assai complessi e gravosi per i curatori. A maggior ragione è da apprezzare il meticoloso e rigorosissimo lavoro portato avanti da chi ha allestito l’edizione delle Storie, Andrea Manganaro, studioso affermato di Croce e raffinato italianista, che, dopo un lavoro faticoso e scrupoloso di svariati anni, ha restituito ai lettori un’edizione critica impeccabile, che ricostruisce la stesura crociana del volume, dà conto della storia dei singoli scritti e delle loro edizioni precedenti all’ultima volontà dell’Autore ed esplica dettagliatamente i Criteri dell’Edizione, che ovviamente riproduce il testo del 1948, ovvero l’ultimo apparso vivente l’Autore, sebbene Manganaro si premuri di precisare che – come sa bene chi frequenta le pagine crociane con assiduità –, nel caso di Croce, «l’ultima volontà non coincide però del tutto con l’ultima redazione» (p. 367).

Proprio al fine di non appesantire troppo la lettura con un apparato a piè di pagina (del resto, lo stesso Croce aveva stabilito, nel 1910, nei Criteri della nuova collana Laterza «Gli Scrittori d’Italia», che i volumi non avrebbero avuto «ingombro di note e commenti, salvo, in fine di ciascun volume, un’appendice critica che desse conto del metodo tenuto nel pubblicare il testo e indicasse la letteratura dell’argomento, perché i lettori sapessero dove rivolgersi per allargare, eventualmente le loro conoscenze»[2]), il materiale è stato suddiviso in due raffinati volumi che mantengono, così, una certa facilità di consultazione: nel primo, come accennato, viene riprodotto il testo dell’edizione del 1948, emendato di refusi ed errori, con le note dello stesso Croce. E, dunque, si susseguono i mirabili e giustamente noti studi su Un angolo di Napoli, La novella di Andreuccio da Perugia, Lucrezia d’Alagno, Sentendo parlare un vecchio napoletano del Quattrocento, Tirinella Capece, Re Ferrandino, Isabella del Balzo, regina di Napoli, La chiesetta di Jacopo Sannazaro, Giulia Gonzaga e l’«Alfabeto cristiano» del Valdés, Passato e presente: I. La spiaggia e la villa di Chiaia, II. La casa di una poetessa e III. Nisida; e infine Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli (fra le quali è da ricordare almeno La leggenda di Niccolò Pesce).

In un volume a parte, invece, sono racchiusi Nota al testo e Apparato critico, con i sopra menzionati Criteri di edizione, l’Indice dei riferimenti, dei rinvii e delle citazioni, quello delle Citazioni e dei riferimenti anonimi e il canonico Indice dei nomi. Si tratta di quattrocento pagine che danno conto dettagliatamente del faticosissimo ma utilissimo lavoro del curatore: ivi, Manganaro illustra al lettore che si tratta di un volume scritto da Croce «nella piena maturità» (p. 333), concepito e steso nell’estate del 1915, per la gran parte, e poi ripreso e ampliato nel 1918, per essere pubblicato nell’anno successivo. Lo studioso sottolinea bene, però, che si tratta spesso di «scritture erudite giovanili» (ibidem), riesumate in seguito e riviste alla luce del sistema filosofico ormai compiuto del loro Autore: si parla, dunque, di un’operazione «non episodica» (ibidem) di «totale riscrittura» (ibidem). A tal proposito il curatore evidenzia con chiarezza come il 1915 rappresenti una data spartiacque molto forte, a partire dalla quale Croce inizia a rivedere alcuni vecchi scritti, consapevole che con la guerra europea si è entrati «in una nuova epoca storica», e ad affiancare loro scritture più recenti, del secondo decennio del Novecento, quali “Andreuccio” (1911), Un angolo di Napoli (1912), Sentendo parlare… (1913) e Re Ferrandino (1918).

Come illustra bene Manganaro, però, se prima l’ordine seguito era rigorosamente cronologico (dalla Napoli angioina a quella di Sannazaro), nella terza edizione, del 1942, Croce aggiunge altri saggi editi nel 1937 e nel 1939, fra i quali gli ultimi due, in cui la connessione fra passato e presente viene a essere rappresentata dai luoghi: il criterio di aggregazione degli scritti diviene, dunque, spaziale anziché temporale. E, nell’ultimo, in particolare, Leggende di luoghi ed edifizi di Napoli,  il fine italianista Manganaro nota come si compia nuovamente un’operazione di riproposizione di diversi contributi usciti sparsamente su riviste ottocentesche, che vengono conglobati e accomunati dall’avere un unico io narrante che rievoca leggende udite durante la propria infanzia: alla predominanza delle notazioni erudite, dunque, nel Croce del Novecento si sostituisce una disposizione autobiografica, che è la stessa che apre il meraviglioso primo scritto, Un angolo di Napoli. Nella terza edizione, dunque, è come se il cerchio si venisse a chiudere: come se la storia dell’amata città di Napoli fosse inglobata in quella del narratore. Il mero dato erudito cede il passo, dunque, alla rievocazione storica intrisa di autobiografismo.

Struggente anche l’osservazione di Manganaro, nella Nota, che nelle Storie e leggende è nettamente percepibile una tensione fra il desiderio di ripiegamento di Croce nel conforto rassicurante delle “vecchie memorie napoletane” e la consapevolezza lucida della necessità di affrontare le «nuove urgenze della storia» (p. 335), senza potersi nascondere o rifugiare nel passato. Passato che, però, di fronte all’incombere dell’«immane tragedia della guerra» (p. 336), veniva ad acquisire un ruolo importante: grazie, infatti, al riattraversamento di quelle scritture giovanili e alla loro attualizzazione nella riscrittura (secondo il celebre adagio che “ogni storia è storia contemporanea”), Croce intendeva offrire ai lettori un proprio contributo al progresso sia dell’“intelligenza storica” (e, dunque, dell’“avanzamento civile”) sia dell’“ingentilimento degli animi”.

Ed è con queste sottili notazioni che anche Manganaro mette in pratica il principio vichiano tanto caro al Croce che «verum et factum convertuntur»: il colto e scrupolosissimo curatore dell’edizione delle Storie e leggende, dopo essersi dedicato per anni, con abnegazione, rigore e dedizione, all’allestimento del testo, alla verifica della sua correttezza, alla ricerca – difficilissima, a volte – della provenienza delle citazioni, dei rinvii, delle allusioni crociane e, compito assai gravoso, soprattutto dei tanti riferimenti anonimi che compaiono nel testo (ad autori di ogni secolo, e non solo italiani) nonché alla metodica trascrizione di tutte le varianti da lui registrate, ha trasformato il rigore del factum nella profondità ermeneutica del verum, dimostrandosi, ancora una volta, sensibile e finissimo interprete di Croce.

  1. Cfr. l’URL: https://bibliopolis.it/storia/ (ultimo accesso: 25 febbraio 2021).
  2. B. Croce, Gli Scrittori d’Italia, in «Giornale d’Italia», 28 settembre 1909.
• categoria: Categories Recensioni