Nel 2016 Donald Trump vince le elezioni per la presidenza degli Stati Uniti d’America. Il popolo americano è spaccato, ma i democratici hanno una propria zona sicura: la California. A Los Angeles, la candidata Hilary Clinton prende due milioni e mezzo di voti, contro i settecentomila di Donald Trump; a San Francisco, invece, si parla di trecentoquarantacinquemila contro una minoranza di soli trentasettemila voti. Michele Masneri comincia da qua. Il primo racconto del suo libro si apre su una California sconsolata, dove gli abitanti sembrano cercare di capire come poter andare avanti.
È una bella partenza. Il libro, Steve Jobs non abita più qui, pubblicato da Adelphi nel 2020, racchiude molti dei reportage che l’autore ha scritto per «Il Foglio», nel corso della sua carriera giornalistica come inviato speciale presso la Silicon Valley di San Francisco, California.
Non si tratta, tuttavia, dei soliti reportage. Michele Masneri è originale e dimentica gli stereotipi che gli italiani adottano nei confronti degli americani per narrare di una città insolita, particolare. Sfrutta le esperienze personali con ironia, utilizzandole per chiarire alcuni dei concetti-cardine del viaggio che ci aiuterà a compiere – come per la questione del trovare una sistemazione all’interno della città, che, a causa della poca disponibilità di terreni (San Francisco è grande quanto la cittadina di Siena) e della precaria densità abitativa, si ritrova ad affrontare una bolla immobiliare difficile, dove anche solo trovare un posto-letto per la notte risulta impossibile.
Nei successivi reportage incentrati sulla “fauna locale” e sulle sue abitudini, invece, Masneri ci tiene a dipingere la città come una scelta tutt’altro che casuale. Sembra dire: chiunque scelga di abitare a San Francisco è conscio di cosa lo aspetti. Lo dovremmo essere anche noi, in quanto, con una penna caratterizzata e protagonista, non si premurerà di darci i mezzi per poter comprendere la terminologia di cui fa uso, contemporanea e pop, più che mai digital. Titoli come Castro Gentrificato e L’altro Weinstein sono congeniali a trasportarci in questo mondo, dove i social sono i protagonisti e che esclude chiunque non abbia i mezzi per coglierne i riferimenti.
E, proprio per questo, non è sempre semplice seguire i suoi spostamenti e le sue elucubrazioni riflessive. L’impostazione multisfaccettata del suo racconto non permette una visione lineare e logica come in altri reportage del genere (ad esempio: Francesco Costa, Questa è l’America, Milano, Mondadori, 2020); eppure, è difficile abbandonare la lettura, perché Michele Masneri è bravo nel suo ruolo di giornalista e non ha timore di far risultare il proprio scritto congestionato, troppo descrittivo o eccessivamente incalzante. La ritmica veloce è, infatti, funzionale. Il linguaggio è semplice, sempre ironico – con picchi di vera comicità. In fin dei conti, Masneri sta fotografando, rimanendo altamente descrittivo e minuzioso in ogni paragrafo, ma non racconta. Da bravo giornalista lascia che sia il lettore a farsi, infine, un’idea generale. Non prende parte come narratore attivo, ma riporta, diligente, ciò che gli viene detto. La sua voce narrante rimane neutrale. Non permette né alle proprie opinioni né ai toni di intralciare in alcun modo le riflessioni che ogni racconto vuole innescare. E, in fondo, perché farlo? Il mondo di San Francisco è insindacabile. Non si può giudicare perché, nella sua assenza di mezze misure, mancano gli appigli per determinarlo in chiave critica.
Nel narrare la storia della città – che arriva troppo tardi, ma rimane utile a introdurre un altro macro-argomento del romanzo (l’omosessualità e la rappresentazione Queer nella città) –, non si concentra su fatti storici fini a sé stessi ma soprattutto su come essi siano stati in grado di disegnare una tipologia demografica molto definita. I capitoli dedicati alla città come capitale dell’omosessualità – un primato che San Francisco mantiene dal 1964, quando iniziarono a uscire articoli di giornale che alludevano alla “Gay San Francisco” – occupano l’intero blocco centrale. Anche in questo caso, non si tratta solamente di descrivere ciò che è avvenuto, ma gli episodi narrati vengono utilizzati da Masneri soprattutto per delineare le tipologie di vita e d’intrattenimento presenti.
Gli argomenti toccati dal libro sono tanti: il movimento #MeToo, la cucina (anche l’evoluzione della California Cuisine, con la storia di Alice Waters e il suo Chez Panisse), le università più prestigiose e un giro nei loro campus e dintorni. Ma anche tematiche più generaliste, come i bitcoin e l’uso delle droghe.
Per la conclusione Masneri si sposta a Sud. Intervistando due scrittori molto celebri, ci permette di ricollegarci all’immaginario collettivo. Il dipinto che mette a fuoco su Santa Monica e Palm Springs viene usato per richiamare una zona e uno stile di vita con cui andare incontro a ogni lettore.
La scelta di utilizzare anche interviste fuori-luogo, come quella a Jonathan Franzen, verso cui si mostra impaurito e in apprensione, e quella a Bret Easton Ellis, a Los Angeles – che viene raffigurato come una macchietta che ricorda quelli che sono stati, al tempo, i suoi personaggi più straordinari –, è utile in questo senso, richiama all’appartenenza al territorio: la California che tutti conosciamo, infatti, è anche questa.
Purtroppo, il finale sembra essere la nota dolente del volume. Dopo un viaggio esilarante e tematiche effervescenti, non c’è niente che permetta al lettore di anticipare che quelle che sta leggendo sono le ultime battute. Si rimane sospesi, a ricalcare i sentimenti dello scrittore, che nella scena finale si ferma a guardare l’orizzonte: «Al ritorno in hotel, le piscine sono vuote. La nebbia artificiale è ancora spessa. Una palla galleggia sull’acqua della piscina. A terra, uno slippino dorato che brilla».
(fasc. 37, 25 febbraio 2021)