Quest’opera (scaricabile gratuitamente all’URL: http://www.bibliografia.umbria.it/pdf/Bibliografia_Umbra_1_Reale_Curto.pdf) è prefata dal noto critico Gianni Oliva, che è stato uno dei primissimi studiosi della poesia curtiana, dell’allora studente di Lettere presso l’Università di Perugia, ove ha discusso una tesi di laurea sui racconti di Cesare Pavese. Oliva ha delineato molto bene la poetica e il timbro del giovane poeta, i cui «lunghi capelli rossi, portati quasi con l’orgoglio di sfidare il vento, ne facevano una figura di rilievo negli ambienti goliardici perugini degli anni Settanta e i suoi versi si distinguevano per un timbro civile, pronto a denunciare le ingiustizie e i soprusi a danno dei più deboli di una società troppo evoluta ed ingiusta ma senza progresso» (Presentazione, p. 10). La bibliografia riporta pure foto dell’allora giovane poeta acrese e le poesie che datano 1968, Liriche, fino ad arrivare al 2014, con la silloge Effetti diVersi.
Come ricorda lo stesso Curto, i suoi primissimi versi sono databili al 1964; allora frequentava il liceo classico V. Julia, «apprezzato e incoraggiato dal professore di greco e latino, Enrico Belsito», diventato poi «l’amico di sempre nella vita» (p. 17). Dalla bibliografia emergono dati, fatti, notizie che permettono di capire meglio l’iter poetico e la personalità umana di Curto, il suo rapporto con la società del suo tempo, come la sua formazione culturale e poetica è venuta a maturare col passare del tempo, i suoi convincimenti politici. Una seconda silloge, poi, appare nel 1971, a cura di Raffaele Galasso, e prende il titolo Sono vivo; e poi ancora, nel 1975, escono liriche per le quali l’A. adopera il medesimo titolo.
Per ogni raccolta poetica viene offerta un’esaustiva analisi e ovviamente sono citati i vari studiosi che ne hanno scritto: si tratta di esegeti noti come il già citato Gianni Oliva, Pasquale Tuscano, Sandro Allegrini, Oretta Guidi, Annalisa Saccà, Giuseppe Abbruzzo.
La poesia di Curto riflette anche la società, ed ecco Vietato vietare del 1977: qui Curto e Renato Morelli «vogliono […] richiamare ancora la protesta antiautoritaria alla quale avevano partecipato nella loro giovinezza, innestandola nel nuovo corso degli anni Settanta, devastata dalla violenza». Viene spiegato il titolo della silloge poetica, che «corrisponde alla versione italiana dello ‘slogan’ della contestazione francese del Sessantotto: Il est interdit d’interdire». Così pure sono ben introdotte altre raccolte, e ne cito solo alcune: Il rumore sommerso del 1991, Avvisaglie del 1998, le sue poesie dialettali, di cui si parlerà in seguito. Poi segue una ben fatta, puntuale, utile bibliografia ragionata delle opere, a partire dal 1968 per arrivare al 2018, con il ricco e bel volume dal titolo Poesie – 1968-2018, a cura dello stesso Reale e con la prefazione di Oliva (Foligno, Bibliotheca Umbra, 2019).
Questa edizione «propone i testi completi di tutte le raccolte», nell’ordine di pubblicazione da Sono vivo (1975) a Le mie radici; poesie dialettali del 2014. Appaiono pure scritti dello stesso poeta e le sue Considerazioni sulla «presunta» poesia di Curto, in L’apporto della narrativa calabrese del secondo ’900 all’attività letteraria italiana (Atti del convegno di Acri, 3 ottobre 2015, a cura di G. Abbruzzo, Tipolitografia Graphisud di G. Galasso). Qui Curto presenta con autoironia la propria poesia, a partire dall’esilio giovanile. Afferma: «Voglio tentare con la mia poesia di trovare sempre le coordinate per un equilibrio della natura e per la felicità dell’uomo». Inoltre: «L’arte ha il dovere di farsi portavoce di chi voce non ha, o non ne ha abbastanza, di essere sempre dalla parte dei derelitti senza diritto. L’arte è l’unica voce che non si può far tacere, forse l’unica voce di dio» (p. 74).
Seguono le antologie di Curto. Ad esempio, Il mio respiro al vento del 1994 e varie altre elencate e poi ancora altre antologie curtiane dovute a Giuseppe De Vincenti, Sandro Allegrini etc. Sono pure presenti le traduzioni in lingua estera delle raccolte curtiane: la sua poesia è stata tradotta in lingua turca da Necdet Adabag. Ancora molti studi dedicati alla poesia di Curto e poi infine un ricco elenco di saggi, libri, recensioni sulle tante e varie poesie di Curto, a partire dal 1975 per arrivare al 2018. Sono ancora segnalate nella Bibliografia le tesi di laurea discusse in diversi atenei italiani come pure sono richiamati i vari artisti che nel corso degli anni hanno illustrato le sillogi di Curto. Come si vede, disponiamo ora di uno strumento molto utile per indagare e capire meglio la voce di questo straordinario poeta.
Per quanto attiene al volume sopracitato, va detto che esso mostra tutta la produzione poetica dell’A., e come è venuto a maturare – lo ribadisco – nel corso del tempo e durante il suo cammino poetico e linguistico, oltre che tematico. Comunque, tutta la poesia del poeta acrese si configura come un vibrante e toccante racconto poetico della vita, dei sentimenti, delle idee, delle sofferenze, delle gioie di chi da giovane ha sentito il richiamo di Calliope e a questo richiamo è rimasto sempre fedele.
Della poesia di Curto non si può dare una definizione assoluta, una volta per tutte, in quanto contiene vari elementi e componenti: poesia che fa tutt’uno con la vita e rispecchia totalmente l’uomo Curto, che non ama i dittatori, i venditori di fumo, i politici corrotti o di basso livello, gli ipocriti, gli affaristi, gli uomini di potere che «mandano in galera solo i poveri cristi». Poesia che, però, ha pure note sentimentali, legate al suo paese natale, al suo quartiere, agli elementi naturali e atmosferici che hanno caratterizzato la sua vita di studente e che ora richiama nella poesia, in cui si leggono versi dedicati al padre, alla madre, alla zia, alle persone umili del paese, a quelle donne che invece di imbellettarsi sudano e faticano nel raccogliere le olive. L’adesione umana e poetica di Curto va a queste persone e non, per esempio, agli stramaledetti mafiosi. Insomma, ci troviamo davanti a una poesia molto originale per temi, stile, lingua; quest’ultima è molto fluida, nasce dal cuore e ben s’adatta alle situazioni che, di volta in volta, sono presentate.
Chiarezza espressiva e originalità tematica sono le note più evidenti di Curto, che è ben lontano dagli sperimentalismi poetici strampalati e sconclusionati che odiernamente imperversano. A ciò si contrappone Curto con la sua poesia vera e sincera, poesia che non nasce dai libri ma dalla vita, da ciò che si prova nel cuore e nell’anima. Alcuni esempi: «Non c’era nessuno: / solo io te Giacinto / […] / Restavamo solo noi: / anche noi ombre / destinate a svanire» (Ombre, in Sono vivo); «Oggi il cielo è tornato sereno; / son tornate le donne a raccogliere / le olive in campagna, / Anche oggi è passato / e a sera le ho viste tornare / tutte in fila le donne / arrossate nel volto, / stanche / sbuffando, pensando al domani» (Le nostre donne); «L’uomo medio, in paese, che tira alla giornata, che un giorno lavora e l’altro fa festa, / se la spassa tra piazza e cantina» (A mio padre); «La mia preghiera / è una lotta per un mondo libero / in cui la libertà / è un sacrificio di morte» (La mia preghiera); «Hai lasciato la terra / che più volte ha deluso, / quella terra che ogni giorno / diventa più sterile, mio padre / quante volte l’ha bagnata» (All’uomo venuto dal Sud); «Padia era un mucchio di case / e di gente / i catuoj / aperti al sole / diradavano sentori di muffa / i telai sbattevano / come ali di farfalle prigioniere» (Padia); «Voglio fuggire gli schemi / La Storia ufficiale è frutto di menzogne / ho l’antidoto della modestia / resto dentro ad aspettare gli eventi» (Ad un amico) ;«I poeti veri sono cani / randagi / versi sciolti senza museruola / i poeti sono pazzi / e non lecchini da salotto» (Se qualcuno ti da); «Non possiamo ammuffire nella nostra arroganza / c’è bisogno di rapporti sereni / c’è bisogno d’amore» (A mia figlia Marta); «Voglio dormire sognando / uomini senza fucili» (Se fosse l’ultima notte); «Anche oggi il mare ci consegna / un carico di gente disperata / di bocche asciutte che non hanno niente / occhi sperduti senza più domani» (Dannati); «Voglio che siano, rinnegati per sempre / e dai loro discendenti maledetti in eterno» (Ai ragazzi della Locride); «Io sono sempre quel cane sciolto / che ulula alla luna la sua pena / non soffoco più la rabbia dentro e non ho più speranze per il domani» (Effetti diversi): «Metti da parte l’odio / e deponi le armi; / Fai respirare il cuore / dall’affanno di oggi»; «L’ingiustizia aggiusta i ricchi / e nelle patrie galere / chiudono puttane e neri / ladri di polli e tossicodipendenti / da chi detiene il potere»; «È ora di fare la rivoluzione», e infine «Voglio essere la nota stonata / la mosca bianca / o la pecora nera / […] / Sarò per tutti / una contraddizione».
Curto, dunque, è poeta di sostanza, pensiero che sorprende e affascina raccolta dopo raccolta, come pure è ampiamente testimoniato dalle poesie nell’espressivo e incisivo dialetto acrese che segna un ritorno alle origini, ad Acri, a Padia, al vento del Mucone, ai ricordi delle persone conosciute; un ritorno ai vicoli, alle stradine di Acri, inseguendo la poesia. Un dialetto abbastanza semplice da capire pure dai non acresi, molto penetrante, poetico, che dice ad esempio la condizione esistenziale, per il magnifico esito poetico. «’Ssa vita è ’na matassa mudicheata / ca quannu truovi u cheapu è gia finita / viati a ttia chi ti si n’ammuratu / e di chilli frutti ti ’nni si godutu» – ‘Questa vita è una matassa ingarbugliata / che quando trovi il bandolo è già finita / beato te che ti sei innamorato / e di quei frutti ne hai goduto’ (’Ssa vita è ’na matassa mudicheata), traduzione di Curto. Anche in questi componimenti dialettali balza l’amore di Curto per la poesia, molto inseguita nella sua vita e nei versi finali di Alla poisia, in cui dice chiaramente: «Sulu pe’ ttia campu, Amuru miu, / sulu pe’ ttia chiangiu e priego ddiu» – ‘Solo per te io campo Amore Mio, / solo per te io piango e prego iddio’.
In questa raccolta c’è pure l’amore, inteso come fuoco, e poi ancora poesie dedicate a persone che non ci sono più. Ecco il padre che, dopo aver patito tante sofferenze, muore, quel padre che «Ha jetteatu u sangu ’si terre appennini / pe feari e mia ’n uominu e pinna» – ‘Ha buttato il sangue lontano da casa / per farmi studiare e diventare qualcuno’. E ancora ecco il suo quartiere, povero ma caro: Padia. Il poeta vorrebbe, dopo essere morto, esser bruciato dentro «nu’ bellu fuocu […] / E pu intra nu grupu e du riroggiu / allu vientu e Muccunu esser ammuccieatu» – ‘Nel bel fuoco / nascosto al vento di Mucone / in un buco della Torre antica’. Anche qui l’adesione del poeta va alla povera gente e questa volta sono di scena i «Vù cumprà / vieni ccà / io ti fazzu risparmià / simi tutti / figli e ddiu / cussì mangiu puru iu» – ‘Vù cumprà / vieni qua / io ti faccio risparmiare / siamo tutti / figli di dio / così mangio pure io’ (Ninna nanna pe’ Nateali).
In conclusione, Curto è un vero poeta – e lo ribadisco – un eccellente poeta che ben figura, o meglio, può ben stare accanto agli altri poeti odierni reputati per la maggiore. Vale veramente la pena di conoscere e meditare la poesia di Curto, e pure la critica accademica dovrebbe studiarla di più e presentarla anche agli studenti per tesi di laurea.
(fasc. 38, 28 maggio 2021)