Recensione di Luigi Pirandello, “Taccuino di Bonn. Manoscritto” (2022)

Author di Alfredo Sgroi

È molto più che una semplice raccolta di saggi e di documenti il poderoso volume, frutto di un grande lavoro di squadra, magistralmente coordinato da un pirandellista e germanista di lunghissimo corso quale Fausto De Michele, affiancato dagli altri due curatori Cristina Angela Iacono e Antonino Perniciaro. Il Taccuino di Bonn (Biblioteca Museo Regionale Luigi Pirandello – Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, 2022), infatti, è un’imponente miniera di informazioni, sorprese, puntigliosi scandagli dell’universo letterario dello scrittore agrigentino, esplorato in tutte le direzioni. Senza tralasciare dettagli, contestualizzazioni, proiezioni verso le opere della maturità. Un libro da leggere e da vedere. Dall’impeccabile impostazione grafica (di Vincenzo Cucchiara), anche grazie al sapiente lavoro della casa editrice Lussografica; dalla scansione congegnata con calcolata strategia, in modo da consentire una lettura (e una visione) che può procedere per sondaggi successivi. Il che è particolarmente importante per un testo dalla mole davvero amplissima. Ma non solo di quantità rilevante, si tratta: la qualità non è da meno. Ciò vale per tutte le sezioni che compongono il testo le quali, pur nella loro autonomia, sono come le tessere di un cesellato mosaico: tutte perfettamente integrate. Ne emerge così un’immagine caleidoscopica dell’ancor giovane aspirante poeta e filologo, freneticamente in movimento tra Girgenti, Palermo, Bonn e Roma.

Il titolo del volume non tragga quindi in inganno poiché, se il filo rosso che lega le diverse componenti è proprio quell’eccezionale documento che è il taccuino di Bonn, finalmente ripubblicato nella sua integralità, attingendo al pregiato fondo custodito presso la Biblioteca di Agrigento diretta da Rosario Maniscalco, tanto altro vi si trova: dalla fitta rete di trame culturali e familiari alla ribollente vocazione artistica che circola tra i Pirandello; dall’acuta riflessione critica, epistolari e testi alla mano, alla suggestiva proposta di nuove sollecitazioni, mediante l’esplorazione di territori eccentrici dell’opera pirandelliana, a cominciare dal gusto pittorico e letterario per la caricatura. Insomma, un autentico gioiello che la generosa disponibilità di Enti e singoli mette a disposizione degli studiosi pirandelliani. Tanti i nomi da fare: dal ricordato Fausto De Michele, che si è sobbarcato una titanica fatica traducendo le parti in tedesco, e che ha appunto curato la preziosa edizione del Taccuino assieme a Cristina Angela Iacono e Antonino Perniciaro; al direttore del Parco Archeologico di Agrigento, Roberto Sciarratta. Decisivo il sostegno dell’Assessorato regionale siciliano e dello stesso Parco Archeologico. Da segnalare preliminarmente è anche la preziosa e densa Prefazione di Rino Caputo nonché la presenza tra gli estensori di un grande studioso degli epistolari pirandelliani del calibro di Elio Providenti. Né si può sottacere il lavoro di coordinamento svolto da Vincenzo Salemi, Armida De Miro e Rosario Maniscalco. E, ancora, la ragguardevole fatica della trascrizione di cui si sono fatti carico Fausto De Michele, Filomena Capobianco, Cristina Angela Iacono, Antonino Perniciaro ed Elio Providenti. Pregevole pure la composizione dell’apparato documentario, a cura di Giovanna Iacono. A cui si dovrebbero aggiungere tanti altri nomi di rilievo, che in questa sede non possono essere tutti ricordati, a riprova di un dispiegamento di forze con pochi precedenti.

Apre il volume, con una nota illuminante, Roberto Sciarratta. Seguono la presentazione di Rosario Maniscalco e la densa Prefazione firmata da Rino Caputo. Basti citarne in questa sede l’incipit: «La bella impresa delle Operatrici e degli Operatori della Biblioteca Museo regionale di Agrigento è ragguardevole per più aspetti e si raccomanda come un riscontro d’ora in poi ineludibile nel pur sterminato panorama degli studi ecdotici ed euristici effettuati intorno all’opera di Pirandello» (p. 15). Ed in effetti, senza timore di risultare enfatici, di vera “impresa” si tratta. Così come, sottoscrivendo la notazione di Caputo, si può dire che in futuro gli studiosi dell’opera pirandelliana non potranno prescindere dalle novità che impreziosiscono questo volume. Legittimamente, dunque, De Michele, Iacono e Perniciaro possono rivendicare nell’Introduzione (pp. 17-20) la portata del puntiglioso lavoro di ricerca compiuto da tanti studiosi, incuneandosi tra diverse difficoltà e «scogli», per puntare saggiamente su un approccio pluridisciplinare, seguendo cioè una precisa strategia ermeneutica.

Tale feconda coralità ha confermato l’intuizione da cui i curatori del volume sono partiti; e cioè «che il Taccuino di Bonn è una vera e propria miniera di informazioni su pensieri, suggestioni e intuizioni giovanili, insomma di idee ancora allo stato di crisalide che poi nel tempo sarebbero diventati temi, motivi, momenti narrativi e testi dei più diversi generi letterari dalle strutture originali e innovative» (p. 18). Una “miniera”, dunque, che davvero meritava un’accurata esplorazione, per consegnare ai futuri studi pirandelliani nuovo e prezioso metallo da forgiare.

Nella prima parte del volume si legge un’agile ma esauriente descrizione catalografica (pp. 23-34) firmata da Iacono e Perniciaro, indispensabile per addentrarsi nel labirinto documentario senza il rischio di smarrirsi. Il manoscritto del Taccuino pirandelliano, infatti, è scandagliato con pazienza certosina, affiancando la riproduzione integrale con fitte note esplicative, ricche di informazioni bibliografiche e di accurati riferimenti contestualizzanti. Il raggio d’azione, così, si amplia fino ad abbracciare lo sconfinato universo pirandelliano.

Suscita inevitabilmente emozione nel lettore la visione della nitida grafia del giovane Pirandello, sia pure costellata da cancellature e correzioni che attestano un attento lavoro di cesellatura. Non tutti i versi giovanili riprodotti nel testo confluiranno nella successiva versione a stampa, come rilevano puntualmente i curatori. I quali segnalano opportunamente l’importanza delle cospicue aggiunte a matita da Pirandello, sicuramente destinate a perdersi se non si fosse provveduto alla digitalizzazione tempestiva del testo. C’è poi da sottolineare, in questa sezione, la rilevanza di un sommario della letteratura tedesca, interamente riprodotto, stilato dal Pirandello studente a Bonn. Vi sfilano nomi celebri come Hoffmann, Lessing, Goethe, destinati a influire sensibilmente sulla futura produzione pirandelliana. Come quel Lenau, poeta prediletto da Jenny, di cui lo scrittore siciliano scriverà in seguito. Incuriosisce anche, in questi fogli, il continuo alternarsi di francese e tedesco, a riprova che Pirandello, pur privilegiando l’approccio letterario inframmezzato da schegge filosofiche, non trascura quello squisitamente linguistico innervato dal gusto per la sperimentazione. Prefigurano rilevanti sviluppi soprattutto alcuni passaggi cruciali, come quello in cui lo scrittore menziona i berretti a sonagli utilizzati nel carnevale di Bonn, o negli abbozzi poi confluiti in raccolte poetiche come Fuori di chiave e Zampogna, e perfino in Belfagor.

La successiva, corposa sezione (pp. 245-353) comprende diversi saggi dedicati alle varie sfaccettature del Taccuino, e non solo. Apre Elio Providenti (pp. 247-258), proponendo un excursus che, a partire dall’indicazione di Alvaro, il quale parlava a suo tempo di ben duemila fogli autografi che componevano il Taccuino stesso, segnala che, al di là delle lacune causate dallo smarrimento di alcune parti, la digitalizzazione del materiale disponibile è un’opportunità eccezionale per gli studiosi dell’opera pirandelliana: un documento indispensabile per ricostruire le varie tappe del soggiorno a Bonn e a Roma; gli interessi del giovane Pirandello; la preistoria compositiva di diversi testi, come Belfagor.

Lo studioso sottolinea, inoltre, la rilevanza delle lettere inviate alla sorella Lina, più sincere e affidabili di quelle indirizzate agli altri familiari. Così, a smentire quanto scritto ad esempio al padre, si scopre che a Bonn Pirandello non si comportava affatto da studente-modello. Al contrario, conduceva una vita da svagato gaudente, precocemente distaccato dagli studi filologici, preferendo la composizione di versi e l’amore con Jenny, di cui condivideva il temperamento romantico. Da rilevare, aggiunge Providenti, che dall’esame del Taccuino depositato ad Agrigento emerge l’assenza della prosa intitolata originariamente La fanciulla di Kessenich (p. 255), conseguenza di una mutilazione successiva all’edizione curata da Alvaro.

Nel saggio di Domenica Elisa Cicala, Il giovane Pirandello e le donne conosciute a Bonn (pp. 259-65), l’attenzione è focalizzata sull’intreccio tra arte e vita. Nel senso che, nel periodo vissuto in Germania, Pirandello compie delle esperienze cruciali non solo sul piano umano, ma anche in funzione di una visione del mondo in fase di consolidamento. Non a caso il Taccuino, rimarca la studiosa, con la sua «miniera di spunti» (biografici e non), si intreccia con il folto epistolario coevo e con esso costituisce un ricco serbatoio da cui lo scrittore attingerà profusamente per comporre poesie e novelle.

Procedendo a ritroso, Marina Castiglione, in Luigi, «demonio raso» ed ex filologo, prima di Pirandello (pp. 267-83), scandito in tre parti, analizza le vicende biografiche del giovanissimo Pirandello, studente a Palermo; il periodo della composizione della Tesi sulla parlata di Girgenti; le parti dialettali del Taccuino. La studiosa, documenti alla mano, riconferma la condotta non proprio ortodossa (quasi da scapestrato) dello studente destinato ad essere, poi, espulso dall’Università di Roma per approdare a Bonn. Là dove, a ben considerare, il suo stile di vita non muta significativamente.

Salvatore Ferlita (pp. 285-92) punta sulla centralità della produzione poetica pirandelliana presente nel Taccuino in misura cospicua, da contestualizzare nell’ambito delle letture, anche filosofiche, che poi saranno decisive per il futuro smarcamento dall’opzione verista. Michele Cometa (Pirandello a Bonn, pp. 293-308) propone, invece, una suggestiva lettura incrociata dei testi presenti nel Taccuino con elementi figurativi che rivelano un aspetto sorprendente dell’immaginario pirandelliano. In particolare, si segnalano la declinazione espressionista e la congeniale vena dissacratoria, consegnata a diverse figurazioni caricaturali, con le quali lo scrittore siciliano esibisce quel «doppio talento» per il quale scrittura e pittura si intersecano in maniera feconda. Perciò nel Taccuino, anche per quanto attiene alla componente visiva, abbondano materiali che poi confluiranno nelle opere mature. Da qui la proposta di accostare il siciliano a Goethe, anch’egli «uomo dell’occhio», e di riconsiderare con cura quei ritratti grotteschi, quelle foto e cartoline inviate alla sorella Lina, quelle descrizioni di luoghi e immagini astronomiche di cui il Taccuino stesso è disseminato.

Sull’apparato iconografico illuminanti notazioni si leggono anche nel successivo intervento di Rita Ferlisi (pp. 309-32). Ne risulta che il Taccuino presenta una vera e propria concentrazione di espressioni artistiche sensibilmente influenzate dall’atmosfera culturale di Bonn, come dimostra ad esempio la frequentazione del tema dell’ombra, poi diventato uno dei più celebri Leitmotiven dell’opera pirandelliana, da Il fu Mattia Pascal ai Sei personaggi in cerca d’autore. Sbocco umoristico, dunque, che impronta molta produzione novecentesca, in cui precipitano suggestioni desunte da Nordau, da Grosz e Dix, maestri della caricatura che Pirandello apprezza, e che probabilmente non sono estranei alla fase espressionista e grottesca, di chiara matrice germanica, della sua attività. Altrettanto significativo è il richiamo alla topica dello specchio, già presente nel Taccuino, che la studiosa utilizza per tracciare una rete di riferimenti ai saggi, alla narrativa e al teatro. Da segnalare anche, oltre alla ricchissima bibliografia, l’attenzione riservata alle caricature tracciate da Pirandello, ad esempio a margine di alcune composizioni di Mario Rapisardi.

Sulla qualità transculturale dell’opera di Pirandello indugia sapientemente nel successivo saggio Michael Rössner (pp. 333-39). Lo studioso segnala che l’opera dello scrittore siciliano contamina, lungo l’arco cronologico che parte da Bonn per giungere alla Favola del figlio cambiato, l’elemento mediterraneo con quello mitteleuropeo. Il che giova anche a spiegare il duraturo successo riscosso nell’area germanica, confermato da Fausto De Michele (pp. 341-53), che nel suo puntuale e documentato intervento spazia tra le diverse stagioni artistiche vissute dall’autore siciliano, per sottolineare la connotazione insopprimibilmente rivoluzionaria della sua arte. Emerge in tal modo l’immagine di un Pirandello che, sulla scia di Gramsci, è uno e trino: «siciliano, italiano, europeo» (p. 341). Legato visceralmente, come rimarcava Sciascia, alla terra d’origine, eppure al contempo capace di mantenere vivo questo cordone ombelicale, senza però scadere in angustie provinciali, ma al contrario misurandosi apertamente con Storm; con una Germania che lo aiuta a prendere coscienza della propria identità; con Chamisso, amaro e amato umorista; con il Tardo Romanticismo; con Goethe e il Jean Paul dei Setteformaggi (il tema del doppio) e del Titano (il cannocchiale capovolto). E c’è ancora il dopo Pirandello, in cui si misura la portata dello smottamento provocato dall’irruzione dell’opera dell’agrigentino nel panorama culturale novecentesco. De Michele menziona in questo senso, tra gli altri, Tabucchi e Camilleri. Quest’ultimo, notoriamente, debitore consapevole, discepolo infedele e devoto allo stesso tempo.

Suggella il volume l’ingente Apparato documentario (pp. 357-470) curato con grande perizia da Giovanna Iacono. Qui, l’ennesima sorpresa: alle trenta lettere si aggiungono preziosi inediti. Come la missiva a Pipitone-Federico del maggio del 1890; o quella indirizzata alla sorella Lina il nove giugno del medesimo anno. Diversi documenti sono attinti dall’archivio di Renata Marsili Antonetti, e la curatrice offre anche preziose indicazioni nel poderoso apparato di note che correda la sezione. Qui, da segnalare, anche un’altra chicca: una breve storia della Biblioteca Lucchesiana, frequentata dal giovane Pirandello alla ricerca di testi rari, su sollecitazione di Ernesto Monaci. E, soprattutto, luogo reso mitico dalle pagine del Fu Mattia Pascal.

(fasc. 45, 25 agosto 2022, vol. II)

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