Resto qui: il titolo stesso è il Leitmotiv che attraversa le pagine di Marco Balzano. Il racconto crudo della Resistenza, di radici che non possono essere strappate, di una lotta inascoltata, combattuta chiedendo soltanto di poter restare. A Curon, «il paese che non c’è più» (p. 55).
Curon è un luogo evanescente, che scolorisce tra le pagine. Protetto dalle sue montagne, al confine con la Svizzera, sembra non conoscere il progresso delle fabbriche. I campi, le stalle, il bestiame, i masi e i prati verdi sono il pane quotidiano dei contadini. Un piccolo spazio di pace dove la storia sembra non arrivare.
Vi arriva, però, il fascismo. Arriva all’improvviso e obbliga a cambiare tutto: toglie i nomi, i vestiti, il tedesco. Ribattezza le strade nella pretesa d’italianizzare ogni cosa. Questo romanzo racconta un’impossibile convivenza tra un potere fulmineo, piombato lì da un giorno all’altro, e «chi rivendica radici di secoli» (p. 17). Italiani e tedeschi non riescono a capirsi. Il tedesco persiste, così l’italiano s’impone, in modi sempre più violenti. Come una tarma, il fascismo s’insinua, affermandosi come status vivendi. La rabbia cresce, ma la stanchezza fa sì che ci si abitui a essere ciò che non si è.
La valle tirolese non conosce il mondo, perché le montagne glielo nascondono. Tuttavia, il mondo conosce Curon come una miniera d’oro bianco che fa gola al potere. È Trina a raccontarci questa terra, in una lunga lettera che rimane l’unico testamento di una vita spesa a sperare che la figlia torni a casa.
Attraverso il sogno di Trina di fare la maestra, Balzano ci svela la realtà delle scuole clandestine: il terrore durante le ore di lezione, la paura del confino, l’innocenza dei bambini che talvolta fa dimenticare tutto, le irruzioni violente delle guardie. E la necessità di crescere in fretta, per poter fieramente sostenere lo sguardo degli oppressori.
La voce di Trina racconta una ragazza che, scontrandosi con la vita, diventa donna. E il coraggio, Trina, l’ha imparato da Erich. Balzano ce lo presenta come il ragazzo «col cappello abbassato sulla fronte e la sigaretta al lato della bocca» (p. 7), le mani nodose, orfano, ottimo lavoratore ma povero. Erich è il simbolo concreto della Resistenza e delle radici. Egli, che «la vedeva come un fiume, la vita», rende Trina una donna e poi una madre. Percorriamo scene familiari, la fatica, l’arrivo dei due figli che trasformano Trina completamente. Lei, che voleva andar via da Curon, a un tratto a Curon ha tutta la propria vita.
Restare o andar via: il dilemma di Curon. Quella gente semplice che si salutava per strada a un tratto si trova divisa, ingannata dal nazismo e oppressa dal fascismo. La vana speranza che Hitler regalerà la libertà lacera “i restanti”: gridano tutti che vogliono andar via, ma non hanno il coraggio di farlo. Perché non sanno cosa ci sia dietro le montagne, temono le bugie della propaganda e non sanno riordinare il concetto di una vita lontana dai masi.
A Curon è tutto sospeso. Ma Balzano rende quest’atmosfera universale, gridando l’inettitudine di un essere umano che venderebbe tutto in cambio di un po’ di quiete. Quella gente «assetata solo di tranquillità. Contenta di non vedere. Incurante di ciò che accade intorno» (p. 139), perché, mentre qualcuno sacrifica la vita per difendere ciò che gli appartiene, nel cono d’ombra «la gente con un dito sulle labbra lascia ogni giorno che l’orrore proceda» (p. 68).
Le parole possono essere un’arma? Probabile. Ma è difficile stabilire il valore delle parole, quando si parlano lingue diverse. La lingua, ai tempi del fascismo, non unisce ma divide. Balzano ci presenta gli idiomi come «marchi di razza». Armi. I fascisti, «impassibili dentro i loro abiti di lana fina» (p. 64), si prendono gioco dei modi villani dei contadini, che non sanno leggere gli annunci e restano ignari di ciò che accadrà il giorno dopo. Se non parli la loro lingua, non puoi difenderti e sei disarmato. Permetti loro di prendersi gioco di chi non può essere nemmeno ascoltato perché tanto non viene capito.
La rivalsa sta, allora, nell’affrontare il nemico imparando la sua lingua: Trina, infatti, scoprirà il valore catartico delle parole. Che danno corpo alla rabbia e riordinano i pensieri, ma soprattutto disegnano una parziale via d’uscita.
Nel susseguirsi degli eventi, la vita di Trina sprofonda in una lenta perdita di senso. Balzano dipinge l’assenza che corrode, il dolore che si trasforma in rabbia sorda, poi in indifferenza cieca. «Diventa una vertigine, il dolore. Qualcosa di familiare e nello stesso tempo di clandestino, di cui non si parla mai» (p. 55). Trina crede di dimenticare, ma poi il sogno risveglia ogni cosa, diventando rifugio e poi orrore.
È la guerra, che tira fuori la malvagità degli uomini. Chi parte torna cambiato e chi ha visto in faccia la guerra non vuole più farla. Chi non sta in prima linea non conosce il vero volto di Hitler: non sa delle torture né del razzismo e delle stragi sanguinarie.
Nella lotta di Trina ed Erich ci sono il freddo, la neve e la fame. Nascondersi tra le montagne che avvolgono Curon significa non riconoscersi più. Sopravvivere vuol dire uccidere a sangue freddo, scoprire dentro di sé un estraneo che agisce come e quando vuole. La fuga è solidarietà tra i disertori, i compagni di nascondiglio e di Resistenza. Non si distingue il tempo che passa. Non si sa se domani si muore. Giornate infinite e senza un senso. C’è bisogno di ottimismo, perché «neanche oggi siamo morti!» (p. 114), e c’è il disperato bisogno del nòstos.
Le donne di Balzano sono voci intime e irrimediabilmente coraggiose. Divise tra dovere e famiglia in un inesauribile ventaglio di capacità, raccolgono la fatica e la trasformano in qualcosa di buono. Sono fortezze, come la madre di Trina, che porta le cicatrici del vissuto, che «ancora stringeva i pugni, ancora lottava per non farsi derubare i giorni dai troppi pensieri» (p. 133), nonostante la vecchiaia e i colpi bassi della vita. Donne capaci di rinunciare, talvolta, e preferire un compromesso a una disfatta.
Gli uomini, invece, sono motori sempre accesi rifugiati nella quotidianità, spesso travolti dai sentimenti impulsivi che cercano di respingere. Come Erich, che finge di non pensare per non lasciarsi oltrepassare dalle emozioni. Piuttosto, tacitamente, le trasforma in disegni. Le mette su carta, come se dovessero rimanere lì, perché nella sua lotta non c’è spazio per sentimentalismi e rimorsi. Mentre uomini come il padre di Trina ripongono la loro forza nel cercar sempre di vedere le cose da una prospettiva diversa, per altri come Erich è «tutto un corpo a corpo e coraggioso era solo chi si spendeva anche quando la sconfitta era già stata decisa dal fato» (p. 66).
In questa guerra si può avere fede? Sì. Perché la fede è sempre stato il rifugio preferito degli uomini nelle avversità. Ma è solo una magra speranza per alzarsi ogni giorno, poiché la fede non può nulla contro la guerra, e persino un prete abituato ad alzare le braccia al cielo adesso imbraccia un fucile. Per portare il peso di certe cose «non ti basta nemmeno Dio» (p. 172).
Curon è un paese destinato a non avere un futuro, perché non ha saputo cavalcare il progresso ed è rimasto immobile nel mutare dei tempi: nessuno vuole più tornare. Chi resta non può far altro che osservare i caterpillar che distruggono i masi e guardare dall’alto mentre tutto viene sommerso dall’acqua, consapevole che, anche senza dittature e senza guerra, non avrà mai la libertà.
Spetta a noi, lettori, ricordare questo testamento: senza queste pagine di Balzano, Curon non avrebbe mai avuto giustizia.
Nelle case rimangono gli oggetti, i ricordi in essi intrappolati di ciò che è stato e non sarà. Perché il dolore cambia le persone e si smette anche di volersi bene, a volte persino tra padri e figli. Ci si continua a proteggere, ma qualcosa si è rotto e non si può ricostruire. Ci si attacca a chi rimane, si dimentica chi è lontano. Per non impazzire ci si disfa dei ricordi: «forse perché dopo la guerra, insieme ai morti, bisogna seppellire tutto quello che si è visto e che si è fatto, scappare a gambe levate prima di diventare noi stessi macerie» (p. 131).
(fasc. 37, 25 febbraio 2021)