Erick Pesenti Rossi, Professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Strasburgo, ha dedicato a Fortunato Seminara studi fondamentali e innovativi, e la stessa cosa si può dire per quelli su Mario La Cava. Lo studioso ha tradotto in lingua francese, per esempio, il romanzo di Seminara Il vento nell’oliveto, e di entrambi gli scrittori importanti opere teatrali.
Per quanto attiene a La Cava (Bovalino, RC, 1908-1988), il suo teatro è ben indagato dallo studioso italo-francese, che ne coglie quelle che sono le componenti fondamentali, mettendolo pure in relazione con le altre sue opere narrative.
Sia La Cava sia Fortunato Seminara, come ancora ribadisce Pesenti Rossi, non sono per nulla scrittori provinciali o meridionali, anche se nelle loro opere parlano della loro regione, dei loro paesi: essi affrontano, infatti, problemi che travalicano l’ambito strettamente locale e hanno una valenza universale. Inoltre, entrambi, per esprimere le loro visioni, guardano pure a dei modelli, ma non pedissequamente a quelli russi, specie Seminara; e sanno bene che ciò che scrivono è stato pure scritto e sentito, sia pure in diverso modo, da altri scrittori, che hanno descritto scene e personaggi, vicende che appartengono ad altri paesi che ricordano quelli calabresi: il Sud del mondo, con tutti i suoi problemi.
Pesenti Rossi per la prima volta presenta al pubblico francese quest’opera drammatica di La Cava, certamente la sua migliore opera teatrale, ben studiata pure da Giuseppe Italiano, che ha dedicato allo scrittore un limpido e magistrale saggio, opportunamente tradotto in francese e inserito in questa pubblicazione da Pesenti Rossi (M. La Cava, Un jour de l’année/Un giorno dell’anno, Edition bilingue traduit de l’Italien par Erik Pesenti Rossi, Introduction de Giuseppe Italiano et Erik Pesenti Rossi, Strasbourg, Presses universitaires De Strasbourg, 2022, pp. 248, eu 19).
Le opere teatrali di Seminara e La Cava meritano, oggi, di essere rappresentate e studiate di più, in quanto mostrano l’evoluzione artistica di entrambi, molto amici e molto affiatati, sebbene differenti per carattere, sensibilità e scrittura.
La Cava ci ha lasciato diverse opere teatrali, pubblicate tutte nel 1988 dall’editore cosentino Brenner e introdotte da Piero Leone: Hai avuto schiaffi sulla tua faccia, L’onorevole Bernabò, La morte del papa, oltre al dramma Un giorno dell’anno – Un jour de l’année. Comunque, come sottolinea giustamente Giuseppe Italiano, già nell’opera Caratteri del 1939 si ritrovano antecedenti di Hai avuto schiaffi sulla tua faccina! e Il procuratore dei matrimoni, che presentano personaggi femminili come Giulietta e Graziella, «embryone d’Elena, personnage principale du roman La ragazza del vicolo scuro (La jeune fille de la rue obscure)» (cfr. G. Italiano, Introduction, pp. 19-20).
Sempre Giuseppe Italiano, per quanto attiene al breve atto unico La morte del papa, in cui alcune popolane commentano i funerali di papa Pacelli (trasmessi in televisione), osserva che quest’opera è «d’immédiateté scénique qui fait penser à la vivacité cancanière des comédies de Goldoni» (pp. 24-25). Soffermandosi su questo atto unico, richiama opportunamente, cogliendo le dovute differenze tra le due opere, anche un «petit poème» di Giovanni Pascoli che ha il medesimo titolo dell’atto unico di La Cava La morte del papa (in Nuovi poemetti, 1909).
Gli ambienti in cui si svolgono le scene sono entrambi rurali: con Pascoli siamo a Barga (provincia di Lucca), «nid et refuge du poète» (p. 26; il saggio di G. Italiano Il teatro di La Cava è stato pubblicato originariamente in «Proposte critiche. Quaderni della Fondazione Fortunato Seminara», a. II, gennaio-dicembre 2008, pp. 199-209). Però, il mondo di Pascoli è «un monde de quiétude, presque mystique, ouaté par des descriptions nostalgiques de la campagne; La Cava met en scène, dans un réalisme net, une condition compagnarde où transparaissent la souffrance et la pauvreté» (p. 26).
Lo studioso poi punta l’attenzione su Un giorno dell’anno, l’unico dramma dello scrittore, scritto tra il 29 ottobre 1957 e il 6 agosto 1959. Anche per quanto attiene a quest’opera, Giuseppe Italiano offre considerazioni condivisibili (il suo saggio già citato lo si legge pure in Il seme nelle terre perse. Scrittori e storie del Sud, Soveria Mannelli, Rubettino, 2016). Un giorno dell’anno è la tragedia di un giovane intellettuale di nome Duccio Malintesta che, per varie circostanze, uccide la sorella Filomena:
Duccio: – Non volevo uccidere mia sorella!
Giudice cattivo: – Falso! Volevate uccidere prima lei, poi gli altri […].
Duccio: – No no, volevo uccidere soltanto il male della vita, il dolore del mondo! Una fantasia, si; ma una fantasia pazzesca, se volete!
(M. La Cava, Un giorno dell’anno, Atto I, Quadro III, Scena II, p. 187).
I personaggi del dramma sono: il già citato Duccio Malintesta; Filomena, giovane sorella uccisa; la madre (contadina); il padre (contadino); lo zio arciprete (gli ultimi quattro si «presentano come se fossero vivi»). E ancora: Cesira («la buona sorella»); il Giudice buono e quello cattivo; il forestiero, Nenè («la servetta»); il Cancelliere; il medico; il parroco; l’avvocato; il giornalista; Nato («il Mafioso»); Antonia («ex amante contadina di Duccio»); il fabbro; 4 carcerati; 5 contadini; 2 guardie; carabinieri; il popolo del paese «ai nostri tempi in una contrada del Sud d’Italia». Avvertenza: «La trama è inventata di sana pianta. Ogni eventuale riferimento a fatti reali deve intendersi puramente casuale».
Alcune scene ricordano Le Coefore di Eschilo, allorquando Clitennestra prova invano a calmare l’ira vendicativa del figlio Oreste. Scopre il seno, dicendo: «Pitié, enfant, respecte, mon fils, ce sein où tant de fois tu as dormi, où tant de fois tes lèvres ont sucè mon lait, le doux aliment de la vie». E La Cava:
Duccio: – Implorava che la salvassi dall’ira di suo marito e dei suoi familiari, perché accusata ingiustamente della stesura della lettera anonima che io avevo ricevuta contro la condotta di mia moglie. Denudò il seno e giurò sul latte che dava al suo bambino ch’ella non era colpevole dell’accusa che le si faceva.
(Atto I, Scena III, p. 175).
Giuseppe Italiano, dopo aver studiato a fondo quest’opera (e altre come Il dottor Pesarino, Il tormento del buon dottore del 1933 e Un medico di campagna del 1937), perviene alla conclusione che le commedie di La Cava fanno pensare più a Terenzio che a Plauto; invece, per quanto riguarda il dramma, come già riferito, a Eschilo.
Ugualmente approfondita e limpida è la lettura critica di Pesenti Rossi sull’atto unico dello scrittore di Bovalino. In quest’opera La Cava si ispira a un fatto realmente verificatosi e vissuto da Severio Montalto, amico dello scrittore (in realtà, il suo vero nome era Francesco Barillaro e Montalto il suo pseudonimo come scrittore).
Nel novembre 1940 Francesco uccide la sorella sposata con un uomo appartenente a una famiglia violenta e prepotente. Per questo delitto viene messo in carcere e ivi scrive un Memoriale dal carcere (una parte fu dapprima pubblicata nella rivista «Nuovi argomenti» di A. Moravia) nell’agosto del 1953. Pesenti Rossi osserva che «la perspective d’Un Jour de l’Annèe est cependant très différente. Le Memoriale de Montalto raconte et reconstitue son histoire de manière chronologique et descriptive, tandis que la pièce de La Cava se caractérise per le désir d’analyser à postériori ces faits et de les comprendre, dans une perspective de synthèse intérieure» (p. 31).
Il critico coglie e analizza molto bene la struttura e le scene del dramma, sintetizzando i vari motivi che hanno spinto il personaggio di Duccio a compiere il crimine, che, per esempio, viene giustificato da Nato, il mafioso, e da altri paesani di Duccio, per i quali egli ha difeso il proprio onore. Pesenti Rossi ancora sottolinea il fatto che La Cava in questo dramma non ha fatto altro che mantenere l’ambiguità del testo di Montalto. Molte le versioni del crimine compiuto da Duccio, che voleva vendicarsi di quella prepotente famiglia che maltrattava sua sorella Filomena. Sono esaminati in profondità i caratteri, la psicologia dei personaggi, e in primo luogo ovviamente quella di Duccio Malintesta del quale si rileva, per esempio, che ha perduto la madre da piccolo.
Duccio sarebbe stato preso da un raptus di follia. Egli stesso parla della sua ira, del suo furore, e dice che questo omicidio da lui compiuto è «nécessairement obscur» (Atto I, Quadro III, Scena II). In sostanza, e dal testo ciò emerge chiaramente, lo scrittore ha moltiplicato, per parafrasare parole di Pesenti Rossi, quelli che sono i punti di vista. Ma alla fine una sola cosa è importante: qual è la verità. L’obiettività è una delle principali preoccupazioni dello scrittore e il dramma spiega la fragilità delle motivazioni di ciascuno dei personaggi.
Mario La Cava, come tanti scrittori meridionali, è affascinato dalla complessità di un reale «praticamente impossibile a sceneggiare» e non si tratta di un caso se tutto il dramma, che si conclude con il suicidio dello stesso Duccio, non è che una riflessione su avvenimenti già accaduti. Pesenti Rossi chiama in causa Pirandello, ma cogliendo bene la differenza tra l’Autore e i suoi personaggi, che «voudraient rejouer le passé pour le transformer; en insistant sur le fait qu’il ne peut rejouer la scène du meurtre» (Quadro III, Scena I, p. 39).
Duccio dà l’impressione infine di non avere alcuna verità:
Duccio: – Sono dunque eternamente segnato come una pecora nera? Quello che feci, lo ripeterei? Sono un uomo di razza infernale?
Filomena: – Non lo saresti più… Non lo saresti più per gli altri […]. Su! Su, Duccio! L’arma ce l’hai!
Duccio: – Lo faccio? Lo faccio? (si tira un colpo di rivoltella; cade senza parola).
E, quando in scena (X) entra la sorella Cesira, «(Cadendo sul corpo di Duccio) Ma perché! Ma perché! Se gli uomini ti avevano perdonato! Se io ti circondavo del mio affetto! Se tu eri un bambino! Duccio! Duccio! Ti sei creduto troppo più grande di quello che eri e troppo più colpevole di quello che apparivi!» (Atto V, Scena VII, pp. 243-244).
Dunque, ancora una volta va ringraziato Erick Pesenti Rossi per averci dato questa bella traduzione in francese del dramma di Mario La Cava, di cui ha saputo cogliere la struttura, il significato e il posto che occupa nell’arte teatrale e narrativa dello scrittore, che con questo testo pose fine alla sua esperienza teatrale, convinto com’era, come Fortunato Seminara, «que l’industrie théâtrale qui s’était développée en Italie après 1945 ne correspondait pas à l’esprit de son propre théâtre et que le public n’était guère prêt à l’accueillir de façon favorable» (p. 49).
(fasc. 45, 25 agosto 2022, vol. II)