Mario La Cava ha viaggiato tantissimo in Italia e all’estero: eccolo in Lucania, come al solito alla ricerca di storie, persone, ambienti da conoscere, per acquisire nuove esperienze che poi confluiscono nelle sue opere narrative e in giornali e riviste a cui collabora.
Tra l’autunno e l’inverno del 1952 visita la Lucania su invito del poeta lucano Leonardo Sinisgalli: «Furono quindici giorni che non passavano mai, varie ragioni personali influivano per accrescere la malinconia del mio cuore, a me ora pare di aver trascorso colà una lunga stagione» (p. 15).
Lo scrittore venne accolto bene dagli abitanti: i contadini lo sentivano affine a loro «perché calabrese, chi diceva che i calabresi fossero di natura più risentita e per questo li ammiravano, chi pensava che i costumi nei rapporti tra uomo e donna fossero più moderni in Calabria che non in Lucania» (ibidem).
La Cava coglie molto bene le differenze tra la propria regione e la Lucania. In quest’ultima, afferma, mancano «facili linee di comunicazione»; inoltre, nota che vi sono nati uomini come Giustino Fortunato o Francesco Saverio Nitti. Vengono visitati vari paesi: La Cava parte la mattina con «lo scuro e con lo scuro» arriva nei diversi centri abitati.
A Montemurro (PZ), paese natale di Sinisgalli, visita i familiari del poeta: il padre Vincenzo, vecchio e sordo, e la sorella, intelligente e gentile. In questo paese alloggia in un «albergo, ch’era una casa ospitale di paese, ove la padrona mi offrì quello che aveva riservato per la sua famiglia; il padrone era un buon uomo svelto, ch’era stato in America, dove aveva fatto i denari che erano serviti per la costruzione di quella casa» (p. 25). Si leggono descrizioni puntuali di persone e ambienti, ed ecco il già citato padre del poeta Sinisgalli: un uomo triste per la sordità in cui era caduto, già malato. «Comunque dove andasse il viaggiatore veniva accolto bene e si commuoveva al pensiero della buona accoglienza che la gente del luogo gli faceva». Eccolo ora a Potenza, «una città più bella di quello che si crede, con grandi palazzi costruiti controvento, quartieri nuovi in posizione pittoresca, e solo i poveri negozi fanno intendere che siamo appunto in una città di regione trascurata» (p. 2).
La Cava viaggia, poi, da Potenza a Rionero, ove rende omaggio a Giustino Fortunato, del quale non ha potuto visitare la casa perché chiusa. Si sposta, poi, a Lagopesole, ove si trova il meraviglioso Castello di Federico II, il cui fianco sinistro è inondato dal sole, mentre tutto il resto sembra nero, «nell’alto della collina, con il paesucolo al fianco» (p. 33).
Inoltre, viene segnalata la bontà dei prodotti tipici della regione: consigliato da un contadino, lo scrittore acquista in una stalla vicina una mozzarella e un po’ di burro, e subito s’accorge che mai nella vita ha assaggiato una cosa simile: quella mozzarella e quel burro «avevano il profumo dei prati freschi di erbe, sui quali liberamente le mucche vi avevano pascolato, ed erano di un sapore straordinario, così come il pane scuro mangiato a Montemurro e a S. Arcangelo» (p. 34). Non manca neanche Venosa, ove vede il monumento a Orazio e visita la cosiddetta casa di Orazio, un edificio di cui non si sa granché né perché sia attribuito a lui.
In vari paesi della regione sono nati vari personaggi noti, come Francesco Lo Monaco, di Montalbano Jonico. La Cava è meravigliato dal fatto che uno studioso abbia riunito tanti libri e poi con grande spirito di generosità li abbia donati al comune, nella speranza che altri dotti nel futuro si potessero avvantaggiare del suo sapere.
Tra i personaggi ricordati non può mancare nemmeno il celebre Rocco Scotellaro, visto per la prima volta l’11 novembre 1953, anzi «il 12 perché la mezzanotte era suonata, ed egli era seduto un po’ di fianco accanto alla porta d’ingresso, davanti alle tavole scintillanti dell’Albergo delle Pale a Palermo, affollate per il pranzo di gala offerto in onore dei vincitori di vari premi letterari» (p. 49). La Cava è stupito dalla «freschezza giovanile» del volto, quasi di adolescente, di Scotellaro, che lo sorprende. Scotellaro «era biondo di colorito, con delle lentiggini sparse sulla pelle, robusto nella taglia e piuttosto basso di statura, come sono spesso i lucani, almeno da come appariva nel posto dove era seduto» (ibidem).
La Cava ha scritto pagine di critica valide ancora oggi sia su Scotellaro sia su Sinisgalli. Nell’Uva puttanella si parla per immagini ˗ annota lo scrittore calabrese ˗ del popolo meridionale delle campagne e dei paesi della regione. Pure della poesia di Sinisgalli viene fornita una penetrante e chiara analisi che fissa molto bene la poetica dell’autore. La conclusione di La Cava è che, dopo «quattro secoli di silenzio dalla morte di Isabella Mora, la Lucania ha avuto in Leonardo Sinisgalli il primo poeta dell’età moderna che fosse degno della sua storia tormentata» (p. 77).
Il prefatore, Giuseppe Lupo, ha colto molto bene l’essenza e il significato delle pagine dedicate da La Cava alla Lucania; osserva che sono due le Lucanie «che Mario La Cava conosce». Una è, appunto, la «terra osservata con gli occhi di Leonardo Sinisgalli e Rocco Scotellaro»; l’altra è quella «geografica», sperimentata nel viaggio del 1952, con il fine di scrivere un «reportage da dare a un giornale». Le due Lucanie non si contrastano ma si completano a vicenda, «pur non condividendo modi e forme con cui autorappresentarsi». In sostanza ˗ dice bene Lupo ˗, La Cava va alla ricerca di una «terra profonda, una terra interiore, addirittura schiacciata dalla storia».
(fasc. 32, 25 aprile 2020)