Recensione di “Primo contatto”, a cura di Franco Forte

Author di Luciano Parisi

C’è stato un tempo in cui gli scrittori italiani di fantascienza usavano uno pseudonimo straniero per essere presi sul serio dai lettori: Luigi Naviglio diventò Lewis Flash e Maria Teresa Maglione si fece chiamare Elizabeth (e talvolta Lionel) Stern[1].

C’è anche stato un tempo in cui i direttori di «Urania» (in questo caso Carlo Fruttero e Franco Lucentini) rifiutavano a priori i testi italiani di fantascienza, ritenendoli troppo deboli per competere con la produzione in lingua inglese, francese o russa. Quei tempi sono lontani.

Già nel 1998 Giuseppe Lippi diede a Franco Forte l’incarico di preparare un’antologia di autori italiani per «Urania Millemondi», affiancando idealmente in quella collana Vittorio Curtoni, Valerio Evangelisti e Giampaolo Simi ad Isaac Asimov, Murray Leinster e John Wyndham. Diventato responsabile di «Urania», Forte ha curato negli ultimi quattro anni altrettante antologie di scrittori italiani per quella stessa collana, visto che oggi, dice, c’è «la possibilità di pescare gli autori in un panorama molto più ampio e qualitativamente elevato rispetto a un tempo» (p. 7).

L’antologia del 2022 conferma questo suo giudizio. Le storie hanno strutture complesse che catturano l’attenzione dei lettori e si fanno quasi imperiosamente seguire. Ogni storia ruota intorno a un’idea originale. La psicologia dei personaggi è delineata con chiarezza e in qualche caso approfondita in maniera brillante. Lo stile è svelto senza essere superficiale. I dettagli scientifici e tecnologici sono presi in seria considerazione: chi scrive di bimotori s’intende di aerei, chi parla di cristalli sa quali sono – e quali potrebbero essere in altri contesti atmosferici – le loro caratteristiche. Le donne non sono più relegate in ruoli minori (escludendo, forse, la settima storia) e ben poco è dato per scontato nei rapporti di genere. Soprattutto, come nella migliore fantascienza, ci sono ambientazioni e personaggi indimenticabili. Penso all’enorme foresta immaginata da Nicola Fantini, con le sue riconfigurazioni periodiche, e al pianeta viola descritto da Nino Martino, con tenui variazioni cromatiche provocate da un manto unicellulare. Penso anche a personaggi decisi e saggi insieme, come la protagonista di Fossae Medusae e ad altri, frastornati ma non arresi, come la protagonista di Un diverso tipo di silenzio.

L’antologia ha un tema impegnativo: il first contact, il primo contatto fra civiltà provenienti da pianeti diversi. È un tema classico e molto trattato, destinato a suscitare confronti fra i maggiori autori della fantascienza internazionale e gli scrittori italiani (più donne che uomini) che hanno contribuito a questo numero di «Urania Millemondi».

First contact è il titolo di un racconto di Murray Leinster (autore statunitense), pubblicato nel 1945[2]. Racconta la storia di due astronavi (una terrestre, una di origine ignota) che s’incontrano a 4000 anni luce dal nostro Sole. Ogni equipaggio teme di essere distrutto dall’altro o di rivelare la posizione del proprio pianera d’origine, mettendolo a rischio d’invasione. Le astronavi si separano dopo lunghe trattative che garantiscono il pieno anonimato all’una e all’altra. È una storia dominata dalla sfiducia nell’“altro”. Quattordici anni dopo, Ivan Efremov (autore russo) racconta la storia di un altro first contact rifacendosi esplicitamente a Leinster, criticando gli errori tecnici del suo racconto e, insieme alla sfiducia che domina quel racconto, l’idea che il conflitto fra esseri razionali debba essere permanente o estendersi al cosmo[3]. Quest’idea è per Efremov «il cuore del male, il cuore di un serpente nascosto che continuerà a mordere perché mordere è parte della sua natura» (p. 128). Nessuna civiltà può conquistare lo spazio senza aver prima raggiunto un livello avanzato di responsabilità morale, sostiene Efremov, e la sua affascinante storia, credibile o no che sia, è coerente con questa convinzione. La foresta oscura di Cixin Liu (autore cinese), un altro grande della fantascienza internazionale, ripropone invece, e accentua addirittura, l’approccio di Leinster in un contesto culturale e politico simile a quello di Efremov[4]. Solaris di Stanislaw Lem (del 1961) e Picnic sul ciglio della strada di Arkadij e Boris Strugackij (del 1972) raccontano altri tipi di primo contatto[5].

I migliori racconti dell’antologia italiana sono ammirevoli per il tentativo di sottrarsi alle distinzioni troppo nette fra “noi” e “loro” dei testi che ho appena citato. In almeno tre di questi racconti la civiltà più avanzata, quella terrestre, entra in contatto con forme di vita rudimentali o comunque meno avanzate e decide del loro future, dividendosi però sulla questione.

Il cercatore di minerali preziosi di Pianeta viola sacrifica la grande scoperta che lo arricchirebbe per salvare degli storni che gli ricordano quelli terrestri della sua infanzia. Cambia idea, poi. Ma è troppo tardi: gli storni sono salvi.

Il pilota Serghei di Fossae Medusae è invece indifferente alla sorte di esseri primordiali inaspettatamente trovati su Marte, ma Amelia Parodi (personaggio decisamente genovese) glielo impedisce, minacciando di trapanargli il cranio. L’equipaggio ammutinato d’una astronave terrestre, in Oltre l’“event horizon”, pensa di aver fatto esplodere un veicolo alieno senza riuscirci, come il capitano abbandonato dai ribelli è poi felice di scoprire. In tutti questi casi i terrestri non sono mai compatti.

In altri casi, gli extraterrestri sono più avanzati dei terrestri, e disposti ad aiutarli, ma gli aiuti non sono distribuiti omogeneamente. In Nella serra, una crisi ambientale fa sì che i terrestri si dividano in due gruppi: quelli che si rifugiano in sotterranei o in stazioni orbitali, e quelli che resistono o sono costretti a resistere sulla superficie di un pianeta esausto. Gli extraterrestri aiutano i secondi. Pochissime storie, insomma, contrappongono “noi” a “loro”. Le opposizioni sono fra “noi” o “parte di noi” e “noi”; fra “loro” e “loro”, o addirittura fra “io” e “io”.

In Il bloop di Claudio Chillemi, la contrapposizione sembra essere quella tradizionale fra “noi” e “loro”, ma “loro” sono i discendenti di terrestri scappati dal nostro pianeta dopo una crisi ambientale migliaia di anni fa, come potremmo fare noi in un prossimo futuro: «siamo così, la nostra razza è maledetta. Ripetere gli errori fa parte della nostra natura» (p. 74). Non credo che questa battuta sia un omaggio alla teoria vichiana dei ricorsi storici. Se una cultura italiana traspare da queste storie è, semmai, quella di una nazione che, per vie diverse (la tradizione mercantile, l’universalismo cattolico, l’internazionalismo socialista), ha sempre evitato di assumere un’identità forte, definita o chiusa e che, con qualche cautela, è più aperta all’altro di quanto ci si ostini a credere.

  1. Giulia Iannuzzi, Fantascienza italiana: Riviste, autori, dibattiti dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, Milano, Mimesis, 2014; Laura Coci, Fantascienza, un genere (femminile). Italia, anni Cinquanta. Parte prima, 30 gennaio 2021 [consultato il 13 luglio 2022].
  2. Murray Leinster, First Contact [1945], in First Contacs. The Essential Murray Leinster, a cura di Joe Rico, Framingham, NESFA, 1998, pp. 85-108.
  3. Ivan Yefremov, Cor Serpentis [1959], in Russian Science Fiction, a cura di Robert Magidoff, Londra, Allen & Unwin, 1963, pp. 102-50 (126).
  4. Cixin Liu, The Dark Forest [2008], Londra, Head of Zeus, 2021.
  5. Stanislaw Lem, Solaris [1961], Palermo, Sellerio, 2013; Arkadij e Boris Strugackij, Picnic sul ciglio della strada, Milano, Marcos y Marcos, 2020.

(fasc. 45, 25 agosto 2022, vol. I)

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