Recensione di “Storie d’amore per lo studio. Primi passi per capire i testi che leggiamo”, di Paolo Pellegrini (2023)

Author di Luigi M. Reale

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La lettura e lo studio della letteratura quale incontro e dialogo con gli autori: «un incontro con persone che continuano a vivere e a parlarci attraverso le loro opere». Relazione che può giungere a un’intimità tale da essere paragonabile a “una storia d’amore”. Con questa espressione di Santorre Debenedetti inizia le proprie riflessioni Paolo Pellegrini in un volumetto prezioso: Storie d’amore per lo studio. Titolo che pone in immediata evidenza il concetto basilare della “passione”, di un coinvolgimento emotivo forte, che la lettura e lo studio possono suscitare.

Primum auscultare è sentenza classica. Il presupposto della relazione che stabilisce un dialogo è «una disposizione all’ascolto attento e paziente». Tuttavia, ci avverte e ammonisce l’autore, a volte se non troppo spesso la lettura è egocentrica o autoreferenziale, come le conversazioni e relazioni in cui può accadere di sperimentare addirittura un “rifiuto dell’ascolto”; perciò, per vivere con autenticità la passione, è necessaria la reciprocità del rapporto.

Diremmo, allora, che con “amorosa cura” la filologia anzitutto deve fornire un testo attendibile, affidabile, corrispondente per quanto possibile a quello concepito dall’autore e stabilito nella sua (almeno per i destinatari attuali) ultima definizione: questo lo scopo della disciplina, che infatti, nell’accezione etimologica del termine, significa ‘amore per la parola’, e dunque ‘amore per lo studio’. La critica di conseguenza dovrebbe interpretare le opere in accordo con l’istanza originaria dell’autore, senza sovrapposizioni che nei casi peggiori comporterebbero una “manipolazione” e “prevaricazione” del suo dettato.

«Leggere, capire e spiegare i testi richiede di avvicinarli con la massima cautela, cercando di illustrarli in primo luogo secondo il messaggio che a essi è stato affidato dal loro autore». La funzione prioritaria della filologia e della critica consiste oggi nel rimettere al centro il “messaggio dell’autore”: leggere le opere del passato per «cogliere il messaggio che quegli autori hanno affidato alle proprie opere» e «coglierlo nel suo significato più vero». Un’ottica ribaltata, invece, dalla new philology d’oltreoceano, che enfatizza il ruolo del lettore, attribuendo notevole peso alla ricezione dell’opera e legittimando interpretazioni che non considerano la “volontà” dell’autore. Resta pur sempre vero che, in mancanza dell’autografo ovvero dell’archetipo o in altre situazioni che non permettano di identificare il testo come “autoriale”, la “volontà dell’autore” è un’ipotesi ricostruttiva del filologo, ma proprio per questo richiede maggiore cautela e disponibilità ricettiva nel vaglio delle testimonianze.

In base a quanto abbiamo precisato (riassumendo l’Introduzione di Pellegrini), il titolo del libro si spiega, quindi, con chiarezza: Storie di filologia. A mano a mano che se ne percorrono i 14 capitoli, ci si accorge infatti che esso si configura come un “manuale di filologia” o meglio un’“introduzione alla filologia” sui generis, dove non si trovano trattate in maniera sistematica le nozioni, ma vengono introdotti con gradualità i concetti fondamentali, fornendo la spiegazione di termini tecnici, da lectio difficilior, codex descriptus, cruces desperationis al tanto temuto sciolus scriba, il ‘copista saputello’. Concetti esposti attraverso precisi riferimenti ad autori e testi (“casi concreti di studio”), da Francesco Sacchetti a Dino Buzzati, per concludere con un ampio ragguaglio sull’ecdotica basata sui criteri fondativi di Karl Lachmann e, in appendice, con una Breve storia della critica tra Otto e Novecento. Una guida dunque che, in uno stile pacato e con intento divulgativo, imposta un percorso che parte dalla sistematica verifica delle fonti, da puntuali riscontri intra- e intertestuali anche per dirimere questioni attributive; dalla necessità di sondare, approfondire, confrontare, per sanare corruzioni, smascherare falsificazioni (come ci ha insegnato il principe degli Umanisti, Lorenzo Valla): una lezione di metodo.

Paolo Pellegrini si rivolge in particolare ai giovani, i quali iniziano a muovere – come dichiara il sottotitolo – i “primi passi” appunto nello studio della letteratura, per stimolare la loro “disposizione critica” verso autori e testi, affinché possano comprenderli e acquisiscano gli strumenti idonei per interpretarli senza tradirne il messaggio originario.

Il volumetto reca in copertina il dettaglio di un affresco del 1503, che costituisce la decorazione della “Libreria” del vescovo Antonio Albèri, a Orvieto. Il dipinto raffigura (sul modello delle cosiddette drôleries frequentissime nelle miniature medievali) una scimmietta accovacciata, con gli occhiali inforcati, intenta a sfogliare un codice sulla cui pagina è scritta nitidamente la sentenza che suggella il prologo ai Disticha Catonis: legere et non intelligere est negligere. Illustrazione – suggerita (ci rivela l’autore) da Massimiliano Bassetti – che, con sapida ironia, sembra ammonirci: quanto siete sciocchi! Non dimentichiamo che “il Babuino” (un babbuino è infatti la scimmietta dell’affresco) era un sillabario per fanciulli; uno di questi è coevo al dipinto: Questo sie uno libreto utilissimo a chi non sapesse littere de imparare presto elqual se chiama Babuino (finito di stampare a Venezia da Giovan Battista Sessa il 14 giugno 1505). La parola celtica baban, a cui il termine è stato associato, si riferisce all’infante, il bambino che ancora stenta a parlare. Insomma, la scimmietta con gli occhiali sfoglia il libro, ma sa davvero leggere?

(fasc. 48, 11 luglio 2023)

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