Il pianeta Plutone entrava nel segno zodiacale del Capricorno all’inizio del 2008, il 26 gennaio, ed era destinato a rimanere in quella posizione astrologica per diciassette anni. La posizione è “astrologica”, appunto, perché, a causa della precessione degli equinozi, dal punto di vista “astronomico” le cose stanno un po’ diversamente, ma questo è tutt’altro discorso (segni e costellazioni da tempo non coincidono più perfettamente). Per chi crede nell’astrologia, questa lunga permanenza ha ripercussioni niente affatto trascurabili, non solo sui nativi del segno ma anche, in generale, sugli abitanti della Terra nel loro complesso. Gli esperti tendono a nascondere le conseguenze sinistre, addirittura allarmanti, di questo transito planetario, perché rivelarle ci getterebbe nel panico. Qualche indizio lo lascia intravedere la cronaca degli ultimi decenni: crisi mondiali, surriscaldamenti globali, cataclismi, guerre, pandemie. Ma non è il caso di spaventarsi più di tanto, anche perché contro le posizioni astrali non si può fare assolutamente niente. Al di là di aspetti simbolici più o meno vaghi, come lo sprigionarsi di energie profonde, sotterranee o inconsce, uno degli effetti più evidenti e concreti del passaggio di Plutone nel Capricorno, segno del destino e dei compimenti, è il risveglio, l’incremento, il parossismo dell’odio nei cuori umani, cosa che purtroppo appare oggi con ogni evidenza, in maniera innegabile.
Valerio Magrelli, capricorniano (chissà se crede o no nell’astrologia), possiede un animo olimpico ed è esente da questo sentimento, ma forse proprio per questo ne è incuriosito e forse si è chiesto: perché prevale la pochezza umana, e la meschinità più in generale? Perché certe persone perdono così tanto tempo a disseminare per il mondo una quantità così consistente di aggressività inutile, quando ci sarebbero tante cose migliori da fare? Magrelli deve aver percepito con distacco l’acuirsi planetario dell’odio e ha deciso di osservarlo scientificamente, dal punto di vista letterario; il risultato è un breve libro alquanto intenso, scritto con grazia e wit settecenteschi: Proust e Céline. La mente e l’odio (Torino, Einaudi, 2022). Testo mirabile, per precisione e limpidezza, che sostiene di aver trascurato gli approfondimenti bibliografici mentre si dimostra, al contrario, dotato di solidissime basi critiche. A questo proposito Magrelli, molto opportunamente, offre l’esempio di Erich Auerbach, il quale
nel 1936 fu costretto dalle leggi razziali naziste a lasciare la Germania e rifugiarsi in Turchia […]. Fu qui che, tra il 1942 e il 1945, nacque Mimesis. La redazione dell’opera fu particolarissima, e per certi versi senza precedenti, in quanto la stesura avvenne in condizioni di emergenza, durante la quale le relazioni internazionali erano interrotte e non esistevano biblioteche fornite per studi europeistici. […] In ragione di ciò, il sommo filologo dovette rinunciare alla consultazione dei periodici, ignorando le nuove ricerche e talvolta facendo a meno (quanto ai testi di riferimento) anche di edizioni critiche fidate[1].
Viene in mente quel che ammetteva, onestamente, Paul Valéry: «Le peu qu’on sait, parfois est plus actif et fécond que le beaucoup. Car il excite ou oblige à inventer le manque. […] L’excessivement peu que je savais de Platon et qui eût tenu en dix ou quinze lignes m’a produit Eupalinos – cf. Léonard aussi, et Goethe»[2]. Infatti, come dice Auerbach stesso a proposito di Mimesis, «è possibilissimo che il libro debba la sua esistenza proprio alla mancanza d’una grande biblioteca specializzata; se avessi potuto far ricerche, informarmi su tutto quello che è stato scritto intorno a tanti argomenti, forse non mi sarei più indotto a scriverlo»[3].
Valerio Magrelli fa suo l’esempio di Auerbach come campione di diving, «ovvero di immersione libera in senso non tanto subacqueo, quanto bibliografico»[4], e propone:
Perché non immaginare una nuova disciplina, paragonabile a ciò che è il «corpo libero» rispetto alla ginnastica «con l’ausilio di attrezzi», o a quel che nel canottaggio è il «quattro senza», privo cioè di timoniere? […] Parliamoci chiaro: uno studio sui rapporti fra Céline e Proust avrebbe richiesto decenni di ricerche. Non è stato così, poiché ho appunto preferito affidarmi a un leggerissimo kit da passeggiata. Se infatti avessi studiato in biblioteca, come di norma faccio in quanto docente, non avrei mai potuto scrivere un «libero libro». Proprio per evitare i condizionamenti tipici della produzione accademica (la quale, sia ben chiaro, rappresenta per me il sale della terra), ho preferito un’esposizione alleggerita dal peso di riferimenti specifici[5].
Il risultato è un libro davvero libero e agile, costruito come un’indagine da detective della cultura, ma soprattutto un modello per scritture a venire: docile al gusto della digressione e anche alla curiosità per le coincidenze fortuite quanto rivelatrici (dettagli, sincronicità sorprendenti, giochi di parole illuminanti rispetto all’arte segreta del Caso), dotato, anche, del necessario accumulo di supporti critici, che però evita magistralmente di incagliarsi tra le secche dell’eccessivo sfoggio di erudizione. Un divertente esempio è il modo con cui Magrelli liquida nelle prime pagine un fenomeno recente e – si spera – alla lunga storicamente irrilevante:
Chiudo la parentesi sugli «haters» a venire, con uno studio di Marc Knobel, Cyberhaine. Propagande et antisémitisme sur Internet (Hermann 2021). L’ho trovato recensito da Roger Pol-Droit, su «Le Monde», in questi termini: «L’odio è una marea che sta montando». Saluto i cyber, e riprendo il discorso[6].
Così si fa. Inutile dilungarsi su un tema caduco, circoscritto nel tempo, che con la letteratura c’entra ben poco. Molto più interessante è prendere la direzione interpretativa di Valerio Magrelli, che si rende archeologo di un’idea attraverso i secoli, in un viaggio rapido e penetrante fra i labirinti dei concetti:
Se il termine «misologo» (dal greco misología, composto di miso– «odio» e lógos «discorso, ragionamento») non fosse già esistito, da Platone fino a Kant e Hegel, per indicare «la sfiducia o addirittura l’avversione per il ragionamento e la ragione», mi sarebbe piaciuto proporlo. Avrei infatti voluto appropriarmene per declinarlo in un’altra accezione, ossia per designare chi fa dell’odio l’oggetto del proprio studio. Anche in questo caso, però, qualcuno mi aveva preceduto…[7]
Come il professor Otto Lidenbrock, protagonista del Viaggio al centro della Terra di Jules Verne, Magrelli scopre che questa ricognizione nel profondo istintuale della mente umana, fino al suo nucleo più antico, quel cervello rettiliano che conserva i nostri impulsi primitivi e le nostre reazioni più violente – paura, aggressività, ferocia –, è stata già compiuta, in tempi non lontani, da Jan Miernowski, autore della monografia intitolata La Beauté de la haine. Essais de misologie littéraire (Paris, Droz, 2014). Così non gli resta che ripercorrere le orme dello studioso, incontrando altri esegeti dell’odio e della collera ed espandendo lo sguardo dalla letteratura in senso proprio ai nuovi media, come il programma televisivo Celebrity Deatmatch.
In questo ricco e vasto repertorio di insopportazione, c’è un unico dettaglio che Magrelli ha omesso o forse non ha voluto includere: il meraviglioso Nanni Moretti che, in un suo film, faceva collezionare al protagonista sapide schede segnaletiche di gente detestabile in una cartellina da ufficio – non so più esattamente come si intitolava, se Personaggi orribili o Personacce orrende. Magrelli non ha voluto ricordare questo particolare forse per ragioni personali, per elegante ritrosia, perché in qualche modo lo coinvolge: infatti, il regista lo scelse per recitare in uno dei suoi film, Caro diario, la parte di un medico. Ma sono solo supposizioni, forse infondate. Bisogna tornare al saggio, che dalla metà in poi presenta le sue due figure cardinali: Proust e Céline. Ancor di più, si propone di indagare sull’odio del secondo per il primo (forse un eterno primo e un mai rassegnato, altrettanto eterno secondo).
L’inerme Proust, ormai inerme da tempo in quanto defunto, è preso di mira dall’accanito Céline. Che lo attacca brutalmente, forse segretamente lo ammira, e per distruggerlo ostenta disprezzo. E lo imita, maldestramente o no. Addirittura, secondo qualche ipotesi ben motivata, fa della sua opera intera una parodia della soverchiante, inattaccabile, sconfinata Recherche. Non è giusto anticipare gli sviluppi di un’inchiesta che tortuosamente, ma sapientemente, intreccia i suoi elementi in modo così acuto e selettivo; basterà arrivare a qualche considerazione finale.
La grettezza di questo sentimento dovrebbe farci vergognare. Ci si mostra così deboli e piccini, esprimendolo; poi, una volta che lo abbiamo espresso, inesorabilmente ne siamo pentiti. Una forte sensazione pervade chi legge questi capitoli, a volume chiuso. È quello che si chiamava una volta “il messaggio” e che Magrelli si guarda bene dall’esplicitare, con saggezza, ma che comunque si trasmette al lettore e resta impresso nella sua mente in maniera indelebile: quanto arido e improduttivo è l’odio. Quanto è esibizionistico. Quanto si riduce a mostra di sé con le peggiori intenzioni, quanto svela infine un’intrinseca debolezza. E quanto si ritorce contro chi lo prova, perché, mostrandosi odiatore di Proust, Céline non fa che allineare in una grottesca vetrina oramai polverosa tutte le sue idee preconcette, la sua vetusta ideologia pregiudiziale, l’inerzia di un giudizio che si basa sostanzialmente, e unicamente, sul disgusto per l’ebraismo e tutte le sue fantasmatiche propaggini.
La critica letteraria non deve affatto vergognarsi di proporre, in un mondo confuso, l’insegnamento di un pensiero morale che separi finalmente, nel tempo che non sa più farlo, il giusto dall’ingiusto, l’innocente dal colpevole, la vittima dal carnefice. E soprattutto il costruttore indomito e speranzoso dal distruttore compulsivo.
- V. Magrelli, Proust e Céline. La mente e l’odio, Torino, Einaudi, 2022, pp. 79-80. Va ricordato che, più o meno nelle stesse condizioni e per le medesime circostanze, fu composto fra innumerevoli difficoltà un altro capolavoro critico auerbachiano, Introduction aux études de philologie romane (Introduzione alla filologia romanza, 1949). ↑
- P. Valéry, Cahiers, Paris, édition CNRS, 1957-1961, vol. XVIII, foglio 82. ↑
- E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abendländischen Literatur [1946], traduzione italiana di A. Romagnoli e H. Hinterhauser, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, con un’introduzione di A. Roncaglia, 2 volumi, Torino, Einaudi, 2000, secondo volume, p. 343. ↑
- V. Magrelli, Proust e Céline. La mente e l’odio, op. cit., p. 81. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 5. ↑
- Ivi, p. 11. ↑
(fasc. 46, 30 dicembre 2022)