Recensione di “Close” (2023), di Lukas Dhont

Author di Francesco Gualini

La vera impossibilità di un recupero

L’estate sta finendo in un paese belga. I tredicenni Léo e Rémi si affacciano all’adolescenza e corrono spensierati in un immenso campo fiorito: due ragazzini legati da una profonda e intima amicizia.

Close, il nuovo film di Lukas Dhont, giovane regista e sceneggiatore belga, porta lo spettatore in un viaggio solo apparentemente prevedibile. Infatti, non si tratta di una pellicola sulla consapevolezza della propria sessualità e identità di genere o sulla scoperta di un’attrazione sentimentale, tematiche che stanno avendo una loro degna rappresentazione in campo cinematografico e seriale. È qualcosa di diverso, se non di nuovo.

Léo e Rémi sono una certezza l’uno per l’altro, condividono esperienze e sentimenti, dimostrando quell’intesa invidiabile e invidiata dei migliori amici: un equilibrio che si altera nel momento in cui varcano la soglia della scuola superiore. Léo, attento ai comportamenti dei coetanei, vuole essere accettato e fare nuove conoscenze. Rémi, un sensibile suonatore di oboe, è più timido e fragile. La loro amicizia affettuosa colpisce alcune alunne che chiedono a entrambi senza pudore e con la tipica sfrontatezza adolescenziale se sono anche una coppia. Questa indiscrezione scatena una lunga serie di conseguenze, in primis l’allontanamento progressivo di Léo da Rémi, che porta via con sé la perdita brutale di un’intimità.

Rispondendo ad alcune domande sull’origine della trama, Dhont ha ricordato la visita alla sua scuola primaria, ai luoghi della sua infanzia. Nella campagna fiamminga ha pensato al desiderio di narrare un’amicizia, ambientandola in mezzo alla natura; poi si è imbattuto in un lavoro di ricerca condotto da una psicologa americana, Niobe Way (Deep Secrets: Boys’ Friendships and the Crisis of Connection). Way ha raccolto le interviste di circa 150 giovani di sesso maschile fra i 13 e i 18 anni: i più giovani hanno parlato dell’importanza capitale degli amici del loro stesso sesso, con toni affettuosi. La psicologa ha poi notato come, nel corso di cinque anni, a causa di una cultura disumanizzante e della cosiddetta mascolinità tossica, gli stessi ragazzi si distaccassero da tale percezione perché avevano paura di essere descritti e additati come effeminati o gay. Infatti, la società non si aspetta tenerezza, sensibilità e, tantomeno, vulnerabilità dai giovani uomini.

Dhont ha voluto sia rappresentare cinematograficamente la tenerezza di un’amicizia maschile, un modo di essere represso e censurato, sia riprodurre in parte il proprio vissuto, contaminato dalla paura delle etichette e dagli stereotipi machisti, dedicando Close agli amici perduti lungo la strada. Durante la prima parte della pellicola, Léo allontana volontariamente Rémi: inizia a evitare contatti fisici con l’amico, sceglie di non dormire più a casa sua, impara a giocare a hockey sul ghiaccio con altri coetanei. Rémi subisce questo distacco improvviso e ne soffre senza capire la ragione. In seguito a uno scontro fisico tra i due ragazzi, è emblematico e toccante un pianto silenzioso di Rémi davanti ai suoi genitori e a un freddo Léo.

La transizione adolescenziale, com’è risaputo dagli studiosi del settore, è un periodo pieno di cambiamenti non solo fisici e intellettivi, ma anche affettivi e sociali e risente dell’influenza del contesto culturale. In particolar modo, nella preadolescenza i problemi legati alla pubertà, all’identità corporea, alla sessualità s’impongono spesso con forza e senza preavviso prima che i ragazzi abbiano gli strumenti psicologici necessari per affrontarli e comprenderli. In Close è evidente come l’ambiente e la pressione sociale condizionino pesantemente il comportamento di Léo e la dinamica relazionale dei protagonisti, e come loro stessi non abbiano ancora la capacità di decodificare certe emozioni, di restituirle l’uno all’altro e di discuterne con la giusta maturità.

L’amicizia dei ragazzi si compromette fino ad arrivare a un punto di non ritorno. I due vanno sempre insieme a scuola in bici, ma un giorno Léo non aspetta Rémi. La reazione di quest’ultimo è dirompente e violenta: di fronte a una spiegazione insoddisfacente di Léo, Rémi piange e prova a picchiare l’altro davanti a tutti i compagni nel cortile scolastico, fino a essere bloccato da un adulto.

Durante la conferenza stampa al Festival di Cannes, Dhont ha specificato l’importanza del linguaggio del corpo e della naturalezza, e la scelta di dare al cast la piena libertà d’espressione, puntando molto sulla chimica creata tra gli attori sul set. I ragazzi sono stati seguiti appositamente da un tutor per la gestione delle emozioni e hanno ricevuto supporto professionale da Léa Drucker e Émilie Dequenne, interpreti, rispettivamente, delle madri di Léo e Rémi.

In seguito all’episodio di forte rottura, i ragazzini non si frequentano più e alcuni sguardi furtivi restano l’unico contatto tra loro. Lo spettatore non intuisce appieno se c’è un effettivo sentimento d’amore, corrisposto o meno e stroncato sul nascere: non è questo il vero cuore del racconto, perché all’improvviso la pellicola prende una piega inaspettata. La classe di Léo fa una gita fuori porta, ma Rémi non partecipa. Ritornando a scuola con l’autobus, tutti i genitori aspettano stranamente i propri figli, creando un presentimento oscuro e, purtroppo, dai risvolti drammatici: Rémi, infatti, si è suicidato. Una verità che la stessa madre di Léo fa fatica a rivelare al figlio, esplicitando, paradossalmente, il tabù che aleggia attorno alla morte. A questo punto inizia la seconda parte del film, segnata dall’elaborazione di un lutto traumatico.

In una società egocentrica con insufficiente educazione affettiva, in cui vige lo stereotipo perpetuato del maschio aggressivo e competitivo, la psicologa Niobe Way ha indicato nei propri studi un incremento del 60% dei tassi di suicidio mondiali negli ultimi 45 anni. Le società industrializzate che prediligono la produttività economica rispetto all’uguaglianza sociale o l’indipendenza rispetto all’amicizia hanno tassi più alti di depressione, criminalità e dipendenze: un quadro negativo e pericoloso su cui converrebbe riflettere.

La morte del ragazzino stravolge le aspettative dello spettatore e, soprattutto, la vita di Léo. Sophie, la madre di Rémi, interpretata da una magistrale Émilie Dequenne, incarna tutto il dolore provato per un lutto così inconcepibile e contro natura. Durante un concerto di musica classica, Léo concentra la propria attenzione su Sophie: la camera resta ferma e fa un lungo zoom sulla donna, il cui sguardo commosso ne rivela i pensieri e comunica uno strazio che non può avere nessuna parola consolatoria.

Prendendo in esame Lutto e melanconia di Freud, Massimo Recalcati ha sottolineato che il lutto è una reazione a una perdita che sconvolge la vita e il suo stesso senso, e costringe a rivedere il proprio modo di guardare il mondo. Chi sopravvive è costretto a rapportarsi non più con la presenza del defunto, ma con la sua assenza: un problema eterno che ha riguardato, riguarda e riguarderà tutti. Inoltre, scrive Recalcati, anche se l’elaborazione del lutto è pienamente realizzata, la perdita è irreversibile: rimarrà sempre una vera impossibilità del recupero. Allora si sente davvero la necessità di una preparazione formativa, di un’educazione alla morte, se così si può chiamare, oltre che di quella sessuale e affettiva. Il mondo degli adulti tratteggiato dal film belga ne è una controprova: al funerale di Rémi il sacerdote riempie l’omelia di metafore retoriche; la psicologa chiamata dalla scuola per alcune sedute di gruppo con gli studenti adotta uno stile professionale discutibile; la stessa famiglia di Léo (i genitori e Charlie, il fratello maggiore poco più grande) non sa come affrontare l’argomento e, alla fine, lo evita. Davanti alla morte di un figlio, di un ragazzino, tutto sembra insignificante e diventa fondamentale saper usare bene le parole. I genitori di Rémi vengono invitati a cena dalla famiglia di Léo e l’elefante nella stanza è ignorato finché Charlie non fa ingenuamente a Peter, il padre di Rémi, una domanda comune che pesa come un macigno: «Come stai?». La risposta imbarazzata di Peter e gli aneddoti raccontati dal ragazzo sulla sua vita personale palesano l’essenza becera delle frasi fatte che tutti usano e subiscono e, nondimeno, la mancanza di una preparazione emotiva adeguata a circostanze delicatissime. La pellicola restituisce, infatti, una realtà tanto autentica quanto dura: Peter scoppia in lacrime e Sophie si allontana dalla tavola di fronte all’inebetita famiglia di Léo.

La reazione luttuosa, scrive Freud, si concretizza mediante depressione, ripiegamento della libido e un generale allentamento dei rapporti col mondo. L’affetto depressivo, se il lutto non è elaborato come un lavoro vero e proprio, può generare due reazioni: maniacale, un atteggiamento negazionista volto al rifiuto dell’esperienza e a sostituire la persona perduta; oppure melanconica, centrata sull’impossibilità di dimenticare e andare avanti.

In Incontrare l’assenza. Il trauma della perdita e la sua soggettivazione, un incontro organizzato dall’ASMEPA, Recalcati evidenzia che con gli adolescenti è più difficile fare un lavoro di supporto al lutto perché il dolore e la memoria trovano spesso sfogo in azioni più immediate, quali la violenza o l’abuso di sostanze stupefacenti.

Inevitabile e silente nel protagonista solitario è il senso di colpa per aver causato la scelta di Rémi assieme all’autorimprovero, i quali raffreddano il rapporto, prima stretto e profondo, con Sophie, alla ricerca di spiegazioni. Léo impiega il proprio tempo aiutando energicamente la famiglia nell’azienda di proprietà, un vivaio, e continua a giocare a hockey sul ghiaccio, uno sport impegnativo e molto fisico su cui riversa la propria rabbia e l’aggressività inconscia. «Lui mi manca», sussurra Léo al fratello maggiore una notte, rendendosi conto di quanto sia inutile e impossibile sostituire l’amico con un altro ragazzo.

Secondo Freud il lutto, per trasformarsi in un lavoro produttivo, esige tempo, l’accesso effettivo al dolore psichico e la volontà di ricordare il defunto: la memoria, infatti, è indispensabile per poter tornare a vivere pienamente. Sarà, infine, un confronto liberatorio di Léo con Sophie a portare entrambi verso nuove direzioni e a una consapevolezza diversa.

Vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2022, il lungometraggio ha vinto il National Board Review Award per il miglior film straniero l’anno scorso e ha ricevuto numerose candidature nella stessa categoria in altri premi quest’anno, tra cui il Golden Globe e gli Oscar: riconoscimenti meritati, che dovrebbero coinvolgere anche i due giovanissimi e strepitosi attori, Eden Dambrine e Gustav de Waele, rispettivamente Léo e Rémi, e la sobria, delicata colonna sonora curata dal compositore Valentin Hadjadj.

In un’intervista, il regista ha dichiarato che oggi viviamo in un momento storico e culturale vicino agli ideali femministi e a un bisogno comune di decostruzione del patriarcato e dell’eteronormatività. Crede che, a causa di modelli di riferimento errati, abbiamo in qualche modo reso invisibile e trascurato il desiderio di connessioni emotive, un bisogno umano imprescindibile. Close è un film politematico e più che mai necessario per la società odierna, già a partire dal titolo, che in inglese non intende solo una vicinanza fisica, ma anche una affettiva: una pellicola da proiettare nelle scuole.

(fasc. 47, 25 febbraio 2023)