Intervista a Emilia Lodigiani, fondatrice della Casa editrice Iperborea

Author di Alice Paoli

Laureatasi in lingua e letteratura inglese presso l’Università degli Studi di Milano, Emilia Lodigiani ha vissuto a Boston e a Parigi dal 1972 al 1985, lavorando come giornalista. Nel 1981 ha pubblicato per Mursia un volume intitolato Invito alla lettura di J. R. R. Tolkien. Nel 1987 ha fondato la Casa editrice Iperborea e nel 1996 il Re Carlo XVI Gustavo di Svezia e il Parlamento svedese l’hanno insignita del più alto riconoscimento che la Svezia attribuisce ai cittadini stranieri: l’onorificenza di “Cavaliere dell’Ordine della Stella Polare”.

Emilia Lodigiani ci ha gentilmente concesso l’intervista che segue[1. L’intervista fa parte dell’Appendice alla Tesi di Laurea Magistrale in “Mediazione editoriale e cultura letteraria”, dal titolo L’editoria è donna. Le figure femminili che hanno ricoperto ruoli direttivi nella storia dell’editoria italiana, dall’Unità a oggi, discussa a luglio 2018 presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”: relatrice la Prof.ssa Maria Panetta e correlatore il Prof. Giulio Perrone.].

Com’è nata l’idea di fondare una casa editrice?

È nata dalla scoperta degli autori nordici: il mio primo approccio al Nord risale a quando ho scritto il libro su Tolkien; quindi, ho cominciato a conoscere e a leggere la mitologia: credo che moltissimo del mio amore per l’argomento sia dovuto al meraviglioso saggio che Borges ha scritto sulle letterature germaniche; e poi la lettura delle saghe, perché in effetti, come ben dice lui, sono romanzi, una ricchissima letteratura medievale fiorita quando noi avevamo Dante, che non è uno scherzo, ma forse quella relativa alle mitologie è la più ricca letteratura medievale rimasta.

In seguito, avevo cominciato, stando a Parigi, a lavorare su un progetto su Karen Blixen, un’autrice che conoscevamo molto bene in famiglia perché mio padre lavorava molto in Africa, anche prima del film, quando era ancora poco conosciuta in Italia. Vivevo a Parigi e ho cominciato a leggere i contemporanei, per caso da lettrice, e tornata in Italia ho scoperto che non erano pubblicati, non erano conosciuti. Da lì è nata l’idea, cioè mi è sembrato quasi un dovere far conoscere questi scrittori eccezionali, e la prima ipotesi è stata quella di andare da Einaudi, Adelphi, che mi piacevano, che stimavo e che leggevo, a proporre questa lista di autori che mi ero fatta nella testa, ma poi ho detto «io non so niente di queste letterature, sono una banale e normale lettrice e quindi perché dovrebbero affidare a me il progetto?». Poi, per una serie di coincidenze, ci sono stati incontri con piccoli editori che cominciavano a essere noti in quel periodo, e da lì ho capito che potevo lanciarmi nella sfida.

Iperborea nasce nel 1987, nel pieno dei processi di grande concentrazione editoriale. Come ha vissuto quel particolare momento?

In realtà, credo che, proprio a causa del processo di concentrazione, che ha spinto le grosse case editrici ad avere bisogno sempre più di, diciamo, best-seller, c’è stato moltissimo spazio per la nascita di molte piccole case editrici.

Era un periodo in cui, mi ricordo, nelle statistiche si diceva: «In Italia nasce un editore ogni due giorni e muore un editore ogni due giorni», perché c’era proprio un ricambio. Io stessa ho visto nascere moltissime case editrici che andavano, un po’ come noi, a fare delle esplorazioni che i grandi non si potevano permettere, anche perché per noi un libro pubblicato in 2.000 copie e venduto in 1.500 copie era già un buon risultato: per un grosso editore, quelle cifre contraddistinguono un autore che abbandona. Per cui credo che il processo di concentrazione abbia anche un po’ favorito questa espansione di piccole sigle.

Qual era il rapporto tra donne e mondo dell’editoria quando lei vi ha fatto il proprio ingresso?

Quello che rimane tuttora: c’è sempre più un aumento del numero delle donne, come è successo nella scuola, come succede in tutti i campi in cui non si guadagnano molti soldi (ride, n. d. r.). Ovunque le risorse finanziarie sono poche si trovano donne, perché si lanciano di più in mestieri di passione, credo, e non trovano barriere all’ingresso perché gli uomini cercano di guadagnare di più.

All’inizio, quando ho cominciato, le grandi figure di donne nell’editoria erano Sellerio, Inge Feltrinelli, c’era La Tartaruga, c’era Rosellina Archinto, quindi c’erano già delle case editrici dirette da donne, ma direi che nel tempo il numero è decisamente aumentato, ed è decisamente aumentato il numero delle libraie e delle addette in generale alla redazione. Insomma, c’è stata una continua, progressiva femminilizzazione del mondo editoriale.

Ha dovuto scontrarsi con dei pregiudizi negli anni in cui ha fondato Iperborea?

Assolutamente no; anzi, dico sempre che credo che per me sia stato un vantaggio essere donna: intanto, nel mondo maschile non ero percepita come una concorrente, forse perché non mi si prendeva molto sul serio, non lo so (ride, n. d. r.). Però, ricevevo aiuti, anche perché il mondo dei piccoli editori è un mondo in cui ci si aiuta, ci sono molte amicizie, è facile fare progetti insieme. Abbiamo fatto anche dei tentativi di creare dei gruppi, fare fiere insieme: finché i progetti sono rimasti limitati a uno scopo immediato, hanno tutti funzionato; quando sono diventati più a lungo termine e con degli equilibri economici diversi fra i vari editori, è stato molto più difficile, non ha funzionato perché in effetti c’è anche un altissimo individualismo. Cioè, siamo amici e collaboriamo, però non si riusciva a creare un gruppo.

Adesso, devo dire che questa nuova associazione degli indipendenti è una bella sfida e siamo molto contenti di esserci arrivati, unendo le varie associazioni.

Oggi, quindi, qualcosa è cambiato?

Direi di sì, in questo senso, anche perché c’è un gruppo di editori (come Iperborea che ha 30 anni, e/o che ha 40 anni, Marcos y Marcos che ha 40 anni, minimum fax che ne ha 25), cioè un gruppo di amici, con gli stessi obiettivi culturali diciamo, delle case editrici cosiddette di catalogo che hanno acquistato abbastanza rilevanza. Credo che abbiano un po’ influito sulla realtà, anche economica, dell’editoria: non sono per niente pessimista.

La redazione di Iperborea è composta quasi esclusivamente da donne: è una scelta?

Non è una scelta di principio: abbiamo trovato delle persone bravissime, ed erano donne. Comunque, devo dire che le scelte di tutti gli ultimi anni le ha fatte mio figlio, che è un uomo.

Io ho sempre avuto, tranne in brevi periodi, collaboratrici donne, e mi sono sempre trovata molto bene. Lui ha lavorato per quattro anni in un’altra casa editrice, al Saggiatore, e, quando è uscito, più o meno in contemporanea, sono uscite di lì anche diverse persone con cui aveva lavorato e con cui si trovava benissimo, che conosceva bene, e si è affrettato a prenderle da noi, con grande gioia.

C’è una squadra eccezionalmente brava, con un’atmosfera bellissima, e tutte personalità diversissime, però non abbiamo assolutamente niente contro gli uomini, a parte che l’editore adesso è un uomo: abbiamo avuto degli stagisti temporanei, che poi riprendiamo quando ci sono degli eventi, sono tre o quattro ragazzi che vengono e lavorano bene, e siamo molto contenti. Per esempio, hanno delle doti anche tecnologiche che forse mancano un po’ di più alle donne. Però, credo che l’atmosfera così collaborativa (adesso dico una banalità) un po’ sia legata al fatto di essere tante donne.

Ritiene, dunque, che ci siano qualità femminili che si prestano meglio al lavoro editoriale?

Ci sono delle qualità, sì, e lo vedo anche nel mondo delle librerie questo avanzamento delle donne, che sono arrivate a essere libraie, non più solo commesse: ho l’idea che la libreria sia un luogo che deve essere accogliente, un po’ come una casa, e in questo le donne sono più brave. Sono più aperte.

Come vede il futuro del libro in Italia, soprattutto per le piccole e medie imprese?

Come dicevo prima, sono abbastanza ottimista, anche se devo dire che ho sempre mantenuto un enorme ottimismo anche sull’aumento della lettura in Italia, e, ahimè, le statistiche vanno assolutamente nel verso opposto: quando Iperborea è nata, i dati dicevano che il 49% degli italiani comprava almeno un libro all’anno, e siamo passati al 43%, quindi i lettori sono diminuiti. È anche vero che, con internet, gli ebook sono considerati acquisto di libro; però, credo che per forza la lettura debba crescere, perché sennò finiamo tra i Paesi sottosviluppati.

Viviamo in un mondo estremamente complesso, in cui la cultura, la capacità di capire cosa succede intorno, è indispensabile per trovare lavoro: quando si dice che i giovani non hanno lavoro, forse non si considera che spesso non hanno la preparazione, le competenze alte che chiede il mercato del lavoro, adesso. Per cui, si deve aumentare la lettura.

E, sul mercato editoriale, ho visioni diciamo un po’ ideali e non so quanto di ottimismo naturale: faccio fatica a pensare che non si vada avanti in meglio. È l’enorme aumento dei libri nel settore dell’infanzia e della giovinezza che può darmi ragione: la speranza è che chi ha capito quanto è bello leggere poi continui.

Dopo oltre trent’anni di attività, qual è il momento, o i momenti, che ricorda con più affetto, in quella che è a tutti gli effetti la sua casa?

Ne ho avuti talmente tanti che secondo me è difficile selezionare: posso dire che i momenti più belli sono comunque sempre gli incontri con gli autori, perché sono persone assolutamente speciali. Già il lettore ha un rapporto privilegiato con lo scrittore, perché lo conosce: uno scrittore vero comunica a un livello talmente profondo che noi lettori lo conosciamo a un livello profondo, e ci fa conoscere parti di noi a un livello più profondo.

L’editore ha in più questa sorta di chiamiamolo “amore da collezionista”, per cui avere un autore nel proprio catalogo è motivo di orgoglio, di possesso, e da parte dell’autore c’è di base un po’ di riconoscenza. Diciamo che è un rapporto che parte benissimo (sempre che l’editore pubblichi in maniera decente i libri), perché appunto c’è una conoscenza profonda, un rapporto di orgoglio da una parte, e di riconoscenza dall’altra, per cui è facile che nasca una vera amicizia: per noi è stato così, ed è veramente un’enorme gioia, perché sono persone che ti danno molto, ti arricchiscono molto, con tutti i loro difetti, ovviamente; sono anche persone che hanno delle fragilità, hanno dei narcisismi, però direi che è molto meglio l’aspetto positivo.

E poi, naturalmente, il fatto che nel mondo nordico il ruolo di Iperborea è stato così riconosciuto, che ci hanno riempito di onorificenze, anche quella è una bella soddisfazione, sono momenti belli: credo che tutti noi abbiamo bisogno di un po’ di gratificazioni nella vita, anche se il mestiere che si fa è in sé già bello. Vedere, poi, che è anche apprezzato aggiunge tanto. Le gratificazioni possono venire da un’onorificenza data dal re, e dalla gioia del lettore che proviamo qua nelle fiere: quando il lettore viene a ringraziare per un libro pubblicato, posso dire: «ho fatto qualcosa di buono, di bello».

(fasc. 22, 25 agosto 2018)