Pubblichiamo l’intervista concessaci il 23 febbraio 2015 dal romanziere Mario Desiati, autore del Libro dell’amore proibito, edito da Mondadori nel 2013.
Lei ha lavorato per tanti anni nel campo editoriale, con Mondadori prima e con Fandango Libri poi, in qualità di direttore editoriale. A un certo momento ha deciso di abbandonare tutto per dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Come mai?
L’unica cosa ufficiale nella mia vita al momento è che sono giornalista pubblicista! Comunque, a furia di lavorare nel campo editoriale, a un certo punto si dismette uno sguardo innocente su qualunque libro ti approcci: hai lo sguardo corrotto. Siccome sono corrotto su tante cose, almeno nella lettura, che è la fonte della scrittura, credo di voler mantenere questo orto di innocenza. Ovviamente, dato che l’unica cosa che so fare è lavorare coi libri, sfrutto la scrittura per campare. Ma scrivere solo libri non basta. Adesso, per esempio, sto lavorando molto con la letteratura per ragazzi, in un progetto che mi vede attivo su un altro fronte, ma vivere di scrittura è molto complicato. Non si scrivono solo romanzi, ma bisogna ampliare le proprie collaborazioni coi giornali, i quali, ahimè, oggi pagano sempre meno. Si vive, poi, soprattutto di anticipi.
È da circa un anno e mezzo che faccio questa vita, che mi permette di studiare e stare dietro a un progetto narrativo che porto avanti, ormai, da molti anni, dal 2005/2006, e che aveva alla base come tematica la pornografia. Detto così sembra abbastanza stucchevole perché è stato trattato da molti, ma io lo voglio considerare in maniera molto alta, come un luogo dell’anima: voglio mostrare come un personaggio nella pornografia investa la parte migliore di sé.
Proprio nel Libro dell’amore proibito l’elemento pornografico è molto presente. Ma viene sublimato dal tema amoroso.
Esattamente. Ti dirò di più: il libro che sto scrivendo è pornografico in senso stretto. È da un anno e mezzo, ormai, che mi sto dedicando a questo progetto. E ho fatto anche una cosa che non ho mai fatto prima: ho ingaggiato, pagando a mie spese, un editor, in modo tale da avere una persona con cui confrontarmi quotidianamente. Gli mando ogni capitolo e mi fa tutte le obiezioni.
È molto favorevole, quindi, all’editing, dato che sente la necessità di avere a fianco un editor. È così?
Beh, sì: l’editing è la presenza dell’editore. Mi viene in mente Antonio Franchini, uno dei più grandi editor italiani viventi, che, in un saggio uscito su «Nuovi Argomenti» almeno una ventina d’anni fa, I lettori editoriali, parte da un’idea romantica del lettore di manoscritti, definendolo come una persona che dorme nella stanza da letto con uno sconosciuto, condividendo, quindi, con lui una cosa molto intima. E aggiungeva che la storia della letteratura è fatta dai funzionari editoriali ˗ come li chiama lui ˗, da intermediari culturali. Non esiste libro che non sia passato da un editore: persino la tradizione orale è stata lavorata ˗ anche solo oralmente ˗ da funzionari! Condivido questa concezione: gli scrittori nella storia della letteratura hanno sempre avuto un primo lettore grazie al quale molte stesure sono migliorate. L’editor ovviamente deve metterci passione e, secondo me, per lavorare al meglio il libro deve piacergli: se per contratto devo sottoporre a un editore un mio manoscritto che non lo convince, che editing può farmi? Oppure, se gli interessa solo un’idea del libro, ma è l’idea sbagliata, finirà per cassare le parti migliori. È molto pericoloso fare editing con una persona in cui non hai fiducia e che non ha fiducia in te.
Come nasce Il libro dell’amore proibito?
Il libro dell’amore proibito era parte di un… catalogo di racconti. Catalogo è la parola giusta: c’era un vero e proprio progetto sugli amori proibiti, che doveva avere il titolo di Il catalogo degli amori proibiti. Questo racconto che è uscito da solo in una collana del «Corriere della Sera» ebbe molto successo. Sentivo sinceramente di non aver esaurito le mie argomentazioni e, così, il testo mi è scoppiato in mano, divenendo un romanzo breve. È diverso sia da un romanzo che da un racconto: è un oggetto non identificato per l’editoria. Su questa stesura, dopo aver eliminato i cinque racconti che componevano il catalogo, ho lavorato per inserire delle modifiche, completando sostanzialmente dei personaggi, come Pippo Lanzillotti, lo psicologo, e Nappi, che diventa poliziotto e subisce il processo.
Tra i temi principali del romanzo c’è il tradimento nei confronti della società, dei dettami morali che vigono: l’amore, infatti, viene condannato da tutti. Ciò mi sembra emerga soprattutto per contrasto rispetto ai riferimenti alla colpa e al sacro. È plausibile questa lettura, secondo lei?
Devo dire che il tradimento non l’avevo considerato: sei il primo che mi dà questo sguardo nuovo! Giustissimo quando parli di colpa: una questione che è sempre stata legata al cinema e alla letteratura, da Kafka a Fantozzi, è quella del capro espiatorio. In un paese moralista e moraleggiante quale l’Italia, Donatella e Veleno rappresentano da questo punto di vista il male assoluto, non avendo filtri nella realtà. Quindi se parliamo ˗ come dicevi ˗ di tradire regole prestabilite, allora sì.
Molto spesso nel testo il narratore si rivolge a una «giuria», che all’inizio sembra fittizia, ma che si rivelerà reale nelle ultime pagine, quando si tratta del processo a Nappi. Tramite l’istituzione della giuria è come se ci si volesse rivolgere al lettore, affinché giudichi se quello è effettivamente un amore proibito oppure no. È corretto?
Sì. Si tratta di una sinestesia sintattica. Ho usato questo espediente anche per mettere un po’ a disagio il lettore. Di solito, s’imboccano due strade per rivolgersi al lettore: ammiccare o mettergli dei punti interrogativi. Io preferisco gli scrittori che mettono a disagio (non a caso citavo prima Kafka), soprattutto perché ti mettono davanti la realtà. Riesci, così, a vederla in maniera diversa: questo dovrebbe essere il fine della letteratura. In ogni rigo del mio romanzo c’è sempre un conflitto tra me e il lettore. E sinceramente non penso mai a quello che gli potrebbe piacere. Questo l’ho imparato a mie spese.
Avevo ventiquattro anni, non era ancora uscito il mio primo libro, ma sapevo che avrei pubblicato con una casa editrice, PeQuod, che oggi esiste limitatamente alla città di Ancona. Iniziai a bazzicare nel mondo dell’editoria, leggendo manoscritti, redigendo schede di lettura. Stare per anni in posti in cui i manoscritti arrivavano mi dava un delirio di onnipotenza. Non li leggevo tutti ovviamente, ma me ne portavo a casa un buon numero: li sfogliavo, cercando di capire cosa ci fosse dentro. Ero talmente “avvelenato” che la persona con cui lavoravo quel periodo mi portava dietro con sé a seguire delle lezioni di alcuni master. Una volta ci trovammo a Milano Marittima per un incontro e avevo già firmato il contratto per il mio primo libro. A un certo punto mi fece delle domande, ad esempio «cosa ti aspetti dal lettore?», «cosa scriverai?»… Nelle risposte aggiunsi che pensavo di seguire ciò che il mio lettore si aspettasse. E il mio editore mi rispose che avevo sbagliato a pubblicare con lui e che sarebbe stato meglio se mi fossi trovato un editore che ammicca al lettore. Mi chiese, poi, quali erano i libri che mi piacevano: erano tutti quei libri in cui l’autore non ammiccava al lettore.
Ritornando al suo romanzo, come si è rapportato all’editing?
Non ho molta fiducia nell’editing delle case editrici: una decina di anni fa c’era una maggiore cura e attenzione per tutti gli autori, mentre oggi per alcuni autori questa cura non c’è. Per quelli affermati, che non devono aspettare, su cui si punta per aumentare il fatturato, si procede a un editing molto rapido. Ho preferito, perciò, sottoporre il mio manoscritto a un editor, Edoardo Albinati, e mi sono fatto fare a mie spese un editing. È stato un lavoro abbastanza invasivo. Fatto ciò, l’ho consegnato a Mondadori, il cui editing si può dire sia stato sostanzialmente una correzione di bozze.
Del romanzo c’è stata una prima stesura, risalente al 2011, dal titolo È proibito amare, di una novantina di pagine, sulla quale ho lavorato in seguito da solo. È stata sottoposta a un agente, il cui lavoro non mi convinceva molto. L’ho, perciò, proposta ad Albinati (nel 2012), che l’ha editato in maniera pregevole. Inserite le correzioni, gliele ho sottoposte nuovamente e ha fatto un’ulteriore revisione. Dopo tutto questo iter il romanzo è arrivato a Mondadori, presso cui è uscito a ottobre del 2013.
Anche il titolo ha subito una modifica…
Sì. Io lo presentai come Il libro dell’amore proibito, ma Albinati mi aveva proposto Proibito amare, che divenne poi Amore proibito. Alla fine, con Mondadori siamo ritornati al titolo originale.
(fasc. 6, 25 dicembre 2015)