La seguente intervista fa parte del contributo dal titolo: La dislessia nell’attuale panorama editoriale italiano.
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Come siete arrivati alla conoscenza dell’universo della dislessia e come avete pensato di affrontare questa problematica nel mondo dell’editoria? Perché proprio un campo così specifico?
Fin dall’inizio era una cosa che volevamo offrire e uovonero è nata da subito pensando di occuparsi di bambini e ragazzi con difficoltà di lettura, anche se come punto di partenza avevamo, per ragioni nostre, di formazione e di competenze, l’autismo. Difatti, Enza Crivelli, socia fondatrice (siamo in tre), è un’esperta di autismo, se ne occupa da parecchio tempo e ha lavorato molto sulla comunicazione, soprattutto sulla comunicazione visiva. Pensavamo fosse importante non soltanto realizzare artigianalmente questi materiali, ma portarli in libreria, dando loro una dignità di libro, di vero e proprio oggetto editoriale, non di semplice materiale fotocopiato e rilegato in qualche modo: un vero libro, addirittura di cartone nel nostro caso (N. d. R.: il formato sfoglia facile), con le pagine di cartone.
Come è iniziata nella pratica questa vostra esperienza editoriale?
Il progetto della casa editrice è del 2008, quindi di due anni prima della nascita vera e propria. Questi due anni ci sono serviti per studiare meglio l’argomento, visto che nessuno dei tre aveva delle competenze specifiche nel campo editoriale, ma ne avevamo solo di tipo letterario. Già nel primo progetto, tra le varie collane, ne avevamo pensata una ad alta leggibilità, anche per ragazzi dislessici, quindi. Quando poi abbiamo iniziato le pubblicazioni, all’inizio del 2010, la collana per dislessici l’abbiamo lasciata da parte. Pur essendo essa presente, volevamo inizialmente dedicarci in modo esclusivo a tutto il resto, in modo da poter dare un’impronta.
Dopo tre anni, abbiamo avuto uno sprint importante per l’uscita di questa collana: siamo venuti a conoscenza dei libri di Henry Winkler e, dopo essere entrati in contatto con il suo agente, abbiamo ottenuto i diritti per la pubblicazione della sua serie con protagonista Hank Zipzer (N. d. R.: scritta in collaborazione con l’autrice Lin Oliver). Ci sembrava particolarmente interessante e importante da pubblicare, soprattutto perché dà la possibilità di parlare ai bambini dislessici attraverso un personaggio dislessico, che è divertente e positivo, creato dalla fantasia di un autore dislessico a sua volta. È un bel messaggio: «ce la potete fare, la dislessia non è stupidità».
Il disturbo specifico di lettura impedisce al bambino dislessico di leggere e comprendere un testo scritto, vista l’enorme difficoltà che ha con le lettere, le parole e i significati di queste ultime. Come vi siete posti di fronte a questa problematica? Quali sono state le scelte redazionali nell’organizzazione del testo (utilizzo di immagini, testi di un certo colore, editing, nonché la vera e propria strutturazione del testo)?
Per quanto riguarda i libri nel formato sfoglia facile, abbiamo utilizzato uno dei nostri vantaggi, ossia la già citata Enza Crivelli, psicologa e pedagoga clinica, nonché responsabile del centro Anffas di Crema, che si occupa di autismo e disturbi dell’apprendimento. Enza ha a disposizione in primis una competenza sua, ma in particolare ha la possibilità di collaudare i nostri materiali con i bambini stessi. Questo è, per noi, molto importante, perché ci dà la possibilità di affrontare diversi layout grafici della pagina e di poterne appunto fare un collaudo vero e proprio.
I libri della collana «pesci parlanti» hanno internamente un lavoro sull’illustrazione, per renderla chiara e leggibile, e uno sul testo, che semplifica molto la sintassi e la rende molto lineare. Al testo sono, poi, associati i logogrammi della PCS, che rendono il più comprensibile possibile il testo di riferimento.
I nostri libri hanno molte illustrazioni per dare un apporto visivo alla lettura, frasi brevi e lineari, con molte andate a capo, mappe concettuali a inizio e fine capitolo (sono semplici anticipazioni degli elementi che si troveranno all’interno dei capitoli) e una mappa generale dei personaggi all’inizio del libro, in modo che i lettori non siano impreparati e che, nel caso in cui si dimenticassero un personaggio, possano andare a cercarlo nella suddetta mappa.
Font per dislessici: quali soluzioni avete adottato, vista la quasi totale impossibilità per chi soffre di dislessia di leggere i font usati normalmente (soprattutto quelli che si trovano di default sui programmi di scrittura)? Tra i font specifici per dislessici, quali sono i migliori?
La scelta del font è stata presa dopo alcune prove con decine di font diversi, che comprendono sia font specifici per dislessici (anche queste a loro volta basate su criteri diversi) sia font generici. Quello che a noi interessa, in realtà, così come si può vedere negli albi con i libri in simboli, è che il font non risulti di facile lettura soltanto per chi ha problemi di lettura, ma che possa essere veramente un libro adatto a qualsiasi bambino.
Nella fase di collaudo, fatta anche su bambini non dislessici, ci siamo resi conto che nel caso dei non dislessici c’erano alcuni font, tra quelli specifici ad alta leggibilità, che davano qualche fastidio, perché appesantivano la pagina. In più non volevamo usare il font di altri editori. Per tutta una serie di considerazioni e di studi, tra cui quello della British Dyslexia Association, che notifica come Arial e Verdana i font più leggibili anche per i dislessici, con il vantaggio che sono font che si trovano molto spesso in siti internet e di default nei computer, quindi alla portata di tutti, abbiamo deciso di usare il Verdana. Ovviamente sul font è stato fatto un intervento: lo abbiamo reso piuttosto basso e largo, abbiamo stretto e allungato in altezza il suo modulo, in modo da dare più compattezza alla parola, mantenendo comunque le singole lettere molto staccate tra loro, con una spaziatura costante. Per cui le lettere non si vanno a sovrapporre le une con le altre e l’unicità della parola viene comunque percepita. Di base ci sembrava bello, anziché studiare un font apposito, usarne uno che si trova ovunque.
Per quanto riguarda il rapporto con il pubblico, organizzate incontri con i ragazzi dislessici? Sicuramente la conoscenza diretta di esperienze e testimonianze di chi soffre di questo disturbo può aiutare nella realizzazione di un testo adatto alle sue esigenze.
Organizziamo incontri nelle scuole e laboratori di lettura e di grafica. Come ad esempio il laboratorio Facce dislessiche, in cui giochiamo con le lettere e con la loro forma (per esempio scambiando le lettere di una parola, come può fare un bambino dislessico), che ci dà la possibilità di parlare di dislessia con i bambini, basandoci sui nostri libri.
La dislessia è un disturbo più diffuso di quanto si pensi, ma in Italia non ci sono molte case editrici che pubblicano libri per dislessici. Come mai, secondo la vostra esperienza, questa scarsa attenzione nei confronti del disturbo?
Quando abbiamo iniziato, in realtà speravamo che questa editoria di nicchia si espandesse, ma così non è stato e tuttora non c’è un aumento degli editori che si occupano di dislessici. Non abbiamo molti rapporti con i grandi editori, visto che siamo comunque una casa editrice indipendente. Alcune case editrici inseriscono parti dei nostri libri nelle antologie e nei sussidiari: per esempio, la Zanichelli.
Lo Stato, dopo l’approvazione della Legge 8 ottobre 2010, n. 170, Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico, vi ha fornito un qualche tipo di sostegno? Che cambiamenti ci sono stati dopo l’approvazione della legge?
No, purtroppo lo Stato non ci ha fornito nessun tipo di sostegno, ma dei cambiamenti ci sono stati: si parla della dislessia e si conosce di più il mondo dei disturbi specifici dell’apprendimento. Già il fatto di parlarne è importante. Va detto, però, che nelle scuole spesso questa legge si vive quasi come un fastidio, un’imposizione.
Il dislessico e la scuola: fornite degli aiuti anche per quanto riguarda i testi scolastici o gli strumenti compensativi per lo studente?
Come detto, alcune case editrici utilizzano parti dei nostri libri da inserire nei loro sussidiari o nei libri di testo scolastici. In più alcune scuole adottano libri delle nostre collane da usare come libri di lettura, in modo tale che ci sia una condivisione tra i bambini e un lavoro di tipo inclusivo. Ed è sempre un buon modo per parlare di questo problema, senza uno stigma per il bambino dislessico, ma anzi con un’omologazione di quest’ultimo. Un esempio perfetto che uso spesso è quello di una cena a cui invito tante persone, di cui uno solo è celiaco. La cosa peggiore è fare una pasta solo per il celiaco e una carbonara per tutti gli altri, con una pasta normalissima. Questo è terribile, perché la scelta migliore è prendere tutti la pasta per celiaci: è più bello a quel punto, perché condividiamo. Con il libro è la stessa cosa.
Cosa significa, infine, lavorare per migliorare il modo di vivere di chi, a causa della dislessia, ha precluse molte esperienza formative, sia per la vergogna e la frustrazione sia per le difficoltà che riscontra nella vita di tutti i giorni?
Per noi è molto importante: siamo diventati editori sostanzialmente perché siamo tutti e tre dei lettori. Io ho imparato a leggere quando avevo tre anni, e per me la lettura è sempre stata una fonte di vita importantissima. Rendersi conto che per alcuni bambini questo diventa qualcosa di impossibile e soprattutto frustrante, perché si trovano in una realtà che richiede loro di saper leggere, è terribile. Il concetto che vogliamo esprimere è racchiuso nella frase del pesce sull’albero, attribuita ad Albert Einstein e titolo di uno dei nostri libri: «Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido». È la stessa esperienza che spesso vivono i ragazzi dislessici. L’idea è di dare loro strumenti per avvicinarsi alla lettura, soprattutto per apprezzarla. Per questo scegliamo anche libri divertenti, in modo tale che, poi, il bambino possa dire non «Questo libro mi è piaciuto, ma che fatica», ma «ho letto un libro, mi sono divertito e ne voglio leggere altri». Credo che sia perlomeno un forte impulso iniziale per pensare di poter sopportare qualche frustrazione in più e qualche difficoltà in più. Siamo consapevoli che questo non vuol dire risolvere il problema: non è né un farmaco né un miracolo, però sicuramente aiuta.
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(fasc. 17, 25 ottobre 2017)