Un’antica leggenda vuole che, pochi mesi prima di morire, Johan Wolfgang von Goethe aprisse il manoscritto del Faust per leggerlo alla nuora. Dopo aver condiviso alcuni passi, il Poeta avrebbe apportato ancora ulteriori modifiche e correzioni all’opera a cui aveva lavorato per gran parte della propria vita.
Sappiamo, inoltre, per certo che il 17 marzo 1832 il poeta scrisse a Wilhelm von Humboldt testuali parole: «Sono più di sessant’anni che avevo in me la concezione del Faust, in gioventù chiara fin dal principio, meno precisa quanto all’ordinamento». Cinque giorni dopo aver scritto queste righe il poeta morì, dopo aver portato a compimento l’opera che aveva chiara fin dalla sua gioventù ma che impiegò una vita a ordinare e plasmare.
Il 19 aprile scorso, mentre ascoltavo con molto interesse le parole di Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, i due editori fondatori della casa editrice L’Orma, intervenuti nell’ambito del corso di “Storia dell’editoria” tenuto dalla professoressa Maria Panetta presso l’Università “La Sapienza” di Roma, facevo fatica a scacciare dalla mente l’immagine di questo avvenimento che ritrae un gigante della letteratura europea intento, pochi mesi prima di morire, a lavorare strenuamente alla sua opera.
Mi sono chiesto il perché dell’insorgere di quest’immagine nella mia mente e ho pensato che forse i contenuti espressi dai due editori erano in sintonia con qualcosa che Goethe aveva trasmesso nel Faust, più precisamente nel Prologo in Teatro, quando il Direttore, il Poeta e il Comico discutono proprio del rapporto tra l’espressione di un contenuto autentico e la realtà del mercato e del giudizio del pubblico. Come molti ricorderanno, il Direttore rimprovera al poeta:
Perché tormentare per questo le Muse benigne? Le dico:
dia di più e sempre di più. Non c’è rischio
di sbagliare, così.
Il prossimo, cercate solamente
Di stordirlo. Contentarlo è più difficile
Ma che le prende? Estasi o tormento?
Il poeta risponde:
Va’ a cercarti un altro servo!
Ah, il poeta dovrebbe, quel suo diritto massimo,
quel suo umano diritto, che Natura gli ha dato,
colpevolmente, per piacerti, perderlo?
Com’è che scuote i cuori?
Com’è che vince qualunque elemento?
Non è con l’armonia che gli viene dall’anima
E che nel cuore gli ritesse il mondo?”[1. J. W. Von Goethe, Faust, a cura di F. Fortini, Milano, Mondadori, 2005 (ed. originale 1970)].
Goethe aveva dunque ben chiaro l’eterno conflitto oggi più che mai presente nell’editoria, e nella cultura in generale, tra esigenza di esprimere «qualcosa che interessi noi, il nostro baricentro interno» ˗ per usare le parole di Lorenzo Flabbi ˗ e quelle di piacere al pubblico, di soddisfare il mercato, di far rientrare i conti del direttore, dell’editore, dell’imprenditore e, infine, anche i propri.
Dopo essermi laureato in Antropologia, ho scelto di specializzarmi in “Editoria e scrittura” proprio perché interessato a sviluppare una professionalità che potesse coincidere col mio “baricentro interno”.Questo anelito mi ha spinto a scegliere il corso di Laurea magistrale che ho appena iniziato a frequentare, sentimento ben riassunto da un altro “gigante” della letteratura come Giuseppe Ungaretti, che nel suo saggio Ragioni di una poesia,posto come introduzione alla raccolta della sua intera opera poetica Vita di un Uomo,edita nella collana dei «Meridiani» Mondadori, inizia con queste inequivocabili parole:
Ho, ed è naturale, riflettuto come qualsiasi scrittore o artista, sui problemi dell’espressione poetica e dello stile; ma non vi ho riflettuto se non per le difficoltà che via via l’espressione mi opponeva esigendo d’essere posta in grado di corrispondere integralmente alla mia vita d’uomo[2. Cfr. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Milano, Mondadori, 1969.].
Per il Poeta, dunque, il problema che tentavo di descrivere non sembra essere mai esistito o, se è esistito nel suo animo, è stato senza dubbio risolto in favore della «sua vita d’uomo» come priorità unica dell’espressione artistica.
Sappiamo, tuttavia, come questo non sempre sia semplice e non sempre basti a garantire la qualità di un’esperienza editoriale o professionale, così come sappiamo bene che, per chi volesse far coincidere professionalità e “baricentro interno”, non sono utili e formativi tanto i discorsi o i buoni propositi, ma piuttosto le testimonianze dirette di persone credibili, che non portano solo buone intenzioni ma i fatti del loro essere riusciti a compiere questa “impresa”, che un bambino forse riassumerebbe nella frase “fare quello che ti piace nella vita”. È per questo che sono sinceramente felice di aver potuto prender parte all’incontro con Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari, anche perché, come la nostra docente ha ben riassunto alla fine dell’intervista, «loro sono la dimostrazione concreta che anche oggi si può fare un’editoria di qualità».
I due editori, infatti, hanno portato agli studenti, oltre alle parole, la “testimonianza” del loro entusiasmo e della passione con cui lavorano a qualcosa che “appartiene” loro, cioè che fanno non perché devono, ma perché li interessa: qualcosa in cui credono in prima persona, con un entusiasmo ben temperato, per usare le parole di Flabbi, con «il rigore che ti viene imposto dall’Università, in cui non puoi solo fare quello che ti piace, ma devi giustificare, sostanziare le affermazioni che fai».
Nel racconto dei due editori è proprio questo che mi ha incoraggiato e personalmente colpito e stimolato, la coniuctio sempre presente e solida tra entusiasmo e rigore tecnico, tra “baricentro interno” e professionalità, presente e tangibile in tutto il loro intervento e, credo di conseguenza, in tutta la storia della loro collaborazione professionale. Collaborazione nata, e questa è una delle cose degne di nota e molto interessanti, da un’amicizia scaturita dal loro primo incontro nel 2000, avvenuto all’interno delle realtà accademiche in cui operavano entrambi.
Già la lontanissima voce di Agostino di Ippona si esprimeva, sulla realtà dell’amicizia, in modo da evidenziare la presenza, all’interno di un simile rapporto, della vita nella sua pienezza, che spesso sgorga e si tramuta, a partire da un sentimento condiviso, anche in opere, strade e possibilità concrete di vario tipo, come dimostra la storia che ci hanno raccontato i due editori, da cui traspariva una sintonia umana su molti punti comuni, tra cui il desiderio di ˗ come ha precisato Flabbi ˗ «fare qualcosa che interessasse davvero noi, che potesse allargare gli orizzonti della nostra vita».
È dunque dalla sintonia, maturata in anni di amicizia, unita alle competenze e agli ambiti di studio di ognuno dei due, che nasce il suddetto desiderio, che verrà concretizzato nella fondazione, nel 2012, dell’Orma editore,una casa specializzata nella traduzione e nell’edizione critica di autori importanti, ma ancora non molto trattati in Italia, delle letterature tedesca e francese.
Questo nome, “L’Orma”, ha un significato molto evocativo, che ha portato alla mia mente un’altra immagine presente nei versi di una canzone di Bruce Springsteen: «All I can think of is being five years old following behind you at the beach / Tracing your footprints in the sand
Trying to walk like a man»[3. B. Springsteen, Walk like a man,Album Tunnel of Love, Columbia records 1987.]. Nell’immagine espressa dal songwriter, infatti, c’è un bambino che a cinque anni segue “le orme sulla sabbia” e sono proprio quelle orme che lo aiutano a “camminare come un uomo”.
Potremmo, forse, individuare una sintonia di contenuto tra l’immagine e la storia della casa editrice, perché forse proprio seguendo “l’orma” dell’esigenza di «fare qualcosa che interessasse noi, che allargasse gli orizzonti della nostra vita» i due editori hanno potuto affinare e sostanziare sempre di più questo anelito sino a renderlo una realtà concreta, cioè facendolo “camminare come un uomo”, portando tale desiderio alla sua maturità di realtà professionale. Compiendo una scelta coraggiosa, hanno scelto, di fatto, come unica strategia di marketing proprio questo loro “baricentro interno”: «Se una cosa ˗ ha consigliato Flabbi ˗ ti suona dentro, ti interessa, falla! Il mercato recepisce questa scelta ed arriva agli utenti l’autenticità che c’è dietro, e che bisogna trasmettere in ogni dettaglio concreto».
Significativo mi pare, inoltre, che proprio da questi fondamenti umani, maturati nel contesto di un’amicizia e di una collaborazione sempre più stretta, oltre che sostanziata da competenze scientifiche importanti che i due editori possedevano e si erano formati, sia nata (come ha raccontato sempre Flabbi) l’idea «di lavorare nel concreto delle scelte della casa editrice, seguendo un unico parto creativo, che fosse coerentemente realizzato in tutti gli aspetti del lavoro, in linea con i fondamenti e con le idee che ci avevano mosso».
Da queste idee, dunque, e da questo “unico parto creativo”, sono venute le scelte concrete successive. Marco Federici Solari ha spiegato in questo senso la volontà di ideare «una collana come uno spazio sacro, dove possono succedere delle cose, come gli spazi che i romani delimitavano osservando il volo degli uccelli. Abbiamo dunque concepito una delle nostre collane principali come un quartiere, chiamandola «Kreuzville» dai quartieri di Kreuzberg a Berlino e Belleville a Parigi, dove avevamo vissuto personalmente. L’idea era di rendere letteratura proprio questa vita vissuta, e soprattutto di far emergere quell’Europa sincronica che noi in questi quartieri avevamo respirato, e che crediamo e speriamo sia l’Europa che si sta formando in questi anni di trasformazione».
La scelta, dunque, di specializzarsi sulla traduzione e l’edizione critica di autori del bacino letterario francese e tedesco non nasce da ragioni solo ed esclusivamente di mercato o di marketing, ma sempre in una prospettiva che abbraccia la biografia dei due editori, i loro interessi, le loro competenze scientifiche e l’idea che alla base vuole essere comunicata. In questo modo viene descritta anche la decisione di pubblicare l’Opera omnia di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, con la creazione della collana «Hoffmanniana»: «L’idea alla base ˗ hanno spiegato ˗ era quella di approcciare a un autore che gode di una grande aurea luminosa, che non è stato però ancora a sufficienza scandagliato e approfondito. Volevamo mettere in luce la grande unitarietà, connessa però alla varietà di linguaggi e canali espressivi, presente in un autore come Hoffmann».
Da questo proposito prende corpo l’intero lavoro di traduzione, commento, notazione, con l’idea di sviluppare un paratesto in cui ci fosse un’ipertestualità a 360 gradi, con 24 voci in “stile Wikipedia”, sviluppate e redatte in modo da poter consentire al lettore di approfondire e curiosare sull’opera «senza però finire a guardare i goal di Ibrahimovic quando giocava nell’Inter» ˗ ha scherzato Flabbi ˗, cioè senza la dispersione cui la rete spesso può indurre i lettori, a causa della grande abbondanza di informazioni che offre.
Anche alla base di questa scelta editoriale «c’è quella che secondo noi oggi è la missione di un editore» ˗ puntualizza Flabbi ˗ nei confronti suoi e degli altri, e cioè quella di mediare e guidare il lettore in un approfondimento multilaterale ma anche serio e continuo».
Sempre da un’esigenza condivisa nasce la “vocazione iconoclasta” nei confronti dei luoghi comuni, che vengono inculcati sovente dalla società e che non aiutano a formare un proprio pensiero critico, concretizzata nelle collane «I Pacchetti» e «I Pacchetti dei luoghi (non comuni)». Esperienze editoriali in cui, ancora una volta, i due editori dimostrano di saper ben abbinare entusiasmo, competenza e capacità di marketing, sviluppando un formato speciale di grafica in stile “epistolare”, con la possibilità di spedire per posta i libri, pubblicando coerentemente nella collana epistolari (per esempio, quello inedito di Stendhal), o opere che possano essere congruenti con una veste grafica e un’impostazione editoriale di tal genere.
I due editori hanno insistito molto su un’etica del lavoro fatta di professionalità, preparazione, accuratezza, «che ti fa fare le due di notte in ufficio», un’etica che richiede un’opera editoriale di questo spessore, per ottenere un prodotto di alta qualità, soprattutto, come specificano più volte, «riguardo alla lingua, il lavoro di traduzione, i testi. Vero fulcro del nostro lavoro ed aspetto fondamentale per riuscire a fare bene da subito, allontanando da noi l’etichetta, molto forte in un paese gerontocratico come l’Italia, di “casa editrice giovane”».
Flabbi e Federici Solari hanno sottolineato anche l’importanza di una forte “personalizzazione” del lavoro (riprendendo forse inconsapevolmente un recente intervento di Papa Francesco in proposito), del considerare sempre che, dietro al lavoro editoriale, ci sono persone, esseri umani che in quanto tali vanno rispettati e considerati nei fatti e non solo a parole.
Flabbi ha raccontato che un’occasione importante per impostare l’inizio del progetto di creazione dell’Orma è stato l’incontro dei due fondatori nella piazza del Duomo, a Milano, il 31 maggio del 2011, proprio nel giorno della vittoria di Pisapia alle comunali, e nel momento forse più nero della crisi editoriale che ha colpito l’Italia: ha, quindi, chiarito che, a suo parere, nonostante tutti i luoghi comuni sul fatto che in Italia vada tutto male, che non si possa più fare qualcosa di valido, che ogni investimento sull’editoria sia destinato a fallire, vista la crisi, i loro risultati sono, anni dopo, sorprendenti.
A fronte di questo successo, forse si può commentare che la loro storia insegna che ad essere in crisi non è tanto l’editoria in Italia, ma un certo modo di fare cultura ed editoria che predilige il mercato, il guadagno, l’economia rispetto al “baricentro interno” alle persone, che forse un bambino di sette anni chiamerebbe “vita”.
Forse, è questo modo imprenditoriale di pensare la cultura che oggi è in una grave crisi, come del resto tutta la cultura nichilistico-tecnica che lo ha prodotto; forse, la storia che Lorenzo Flabbi e Marco Federici Solari ci hanno raccontato dimostra una volta di più che è il Poeta ad avere ragione sul Direttore, nella tragedia del Faust, e che, se un professionista sceglie di guardare al proprio “baricentro interno” e, dopo aver scoperto che non può essere il numero dieci dell’Inter e che magari non vincerà mai il premio Nobel, ha il coraggio di puntare sull’unico dei tre sogni che aveva da bambino rimastogli, e cioè quello di essere un “nuovo Einaudi”, e lo persegue con coraggio, professionalità, preparazione e concretezza, allora il mercato lo sente, e i libri «vanno via a vagonate», e si raggiungono anche ottimi risultati economici e di marketing.
La grande lezione che si può trarre da questo esempio è, infatti, che la cultura entra sempre in crisi quando non è basata sull’esistenza delle persone, su quella vita da cui, nella notte dei tempi, essa nacque, quando il primo ominide, forse impaurito, per rivolgersi all’Assoluto che lo schiacciava e che non comprendeva, inconsapevolmente cantò.
(fasc. 8, 25 aprile 2016)