Ripellino e la narrativa russa all’Einaudi

Author di Chiara Benetollo

Nel 1955, Angelo Maria Ripellino, allora giovane slavista con già due importanti pubblicazioni alle spalle[1] avvia un rapporto di collaborazione con la casa editrice Einaudi. La collaborazione, limitata inizialmente alla preparazione di due volumi di traduzione e di un saggio su Majakovskij, viene rapidamente estesa e finirà per durare sino alla morte dell’autore. Dai Nuovi poeti sovietici alle poesie, le lettere e i racconti di Pasternak, Ripellino porterà all’Einaudi un gran numero di testi anche diversi tra loro, molti dei quali restano pietre miliari nella storia della slavistica italiana.

Nel ricostruire l’itinerario intellettuale di Ripellino, la critica si è soffermata soprattutto sulla sua attività di studioso, editore e traduttore di poesia e teatro. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, però, Ripellino è stato anche responsabile di un gran numero di progetti di pubblicazione di narrativa russa, che restano a tutt’oggi largamente ignorati. Come dimostrano i verbali e le lettere custoditi nell’archivio Einaudi, questi progetti, molto più delle traduzioni poetiche o degli studi sulle avanguardie, hanno suscitato intense discussioni all’interno della casa editrice. Il loro sviluppo, infatti, era strettamente intrecciato con la linea editoriale che la casa editrice andava sviluppando in quei decenni cruciali della sua storia e con l’evoluzione della sua posizione politica, in un complesso rapporto con il Partito Comunista Italiano e con l’Unione Sovietica. Se è certamente vero che poesia e teatro sono gli ambiti che più stanno a cuore allo stesso Ripellino, lo studio delle discussioni che si sviluppano intorno alla pubblicazione della narrativa offre, invece, una finestra fondamentale non solo sulla ricezione della letteratura russa in Italia dei decenni centrali della guerra fredda, ma anche per lo studio dell’intersezione tra poetiche e idee di letteratura molto diverse, come quelle di Ripellino e del nucleo di collaboratori “storici” einaudiani, tra cui Italo Calvino, Vittorio Foa e lo stesso Giulio Einaudi.

Vecchi e nuovi progetti: gli anni Cinquanta

Intorno al 1955 la Casa editrice attraversa una fase di profonda riorganizzazione interna e di riposizionamento nel quadro del panorama politico e culturale italiano, sullo sfondo di radicali rivolgimenti in ambito internazionale. L’elemento di discontinuità più evidente è il graduale ma definitivo allontanamento dal Partito comunista, che si compie tra il 1956 e il 1957, sia per la sempre più marcata rinuncia al coinvolgimento dell’Einaudi in pubblicazioni legate al partito (significativo, per esempio, l’abbandono della rivista «Società») sia per le dimissioni ravvicinate dallo stesso Partito di gran parte dei collaboratori della Casa editrice: a seguito dei fatti del 1956, infatti, escono dal PCI Calvino e Giolitti, Bollati e Foà.

In questa fase problematica la Casa editrice si muove con grande compattezza. Luisa Mangoni ha descritto questo approccio come «un ripiegare su se stessi, in qualcosa che non era autocritica ma, forse, più precisamente autocoscienza»[2], che ha comportato, per il suo essere restia a sposare nuove cause, la perdita della possibilità di raccogliere attorno a sé un più largo fronte di dubbiosi e critici del PCI.

D’altro canto, però, si inaugura a partire da questi anni una politica di apertura a nuovi collaboratori, il cui numero aumenterà negli anni successivi con la crescita anche economica della Casa editrice. Il settore della Slavistica è tra i primi a essere interessato da questo ampliamento. È in tale contesto che, nella seconda metà degli anni Cinquanta, iniziano a collaborare stabilmente con l’Einaudi Angelo Maria Ripellino e Vittorio Strada: l’avvio della collaborazione spinge a riformulare esplicitamente e a riorganizzare i programmi, oltre che ad aprirli alle proposte di nuove direzioni che arriveranno dai consulenti.

Ripellino, come si è detto, si avvicina all’Einaudi nel 1955, con la proposta di tre libri che già annunciano la sua linea: due volumi di traduzione delle poesie di Pasternak e un saggio su “Majakovskij e il teatro del suo tempo” che uscirà quattro anni dopo come Majakovskij e il teatro russo d’avanguardia. La risposta della Casa, subito positiva, conferma l’interesse dell’Einaudi per la letteratura russa contemporanea:

Tengo subito a farle sapere che siamo senz’altro d’accordo sulle tre prime proposte che ella ebbe a farci a Roma [:] la preparazione di un Pasternak e di un Majakovskj per i poeti stranieri tradotti con testo a fronte e il suo volume sull’avanguardia russa (Majakovskj e il teatro del suo tempo) […]. Verremmo incontro alla sua giusta richiesta di non considerare i due volumi di poesia alla stregua di traduzioni (‘a un tanto per pagina’). Saremmo inoltre lieti se lei volesse assumersi per noi una consulenza generale per la letteratura russa, con particolare riguardo alla letteratura sovietica contemporanea. Ma ci riserviamo di farle pervenire, a questo riguardo, una proposta più precisa[3].

Nei mesi successivi, la Casa editrice conferma e amplia questa proposta, estendendola a «le letterature polacca e cecoslovacca»[4]. Sin dall’inizio, quindi, l’Einaudi non solo accoglie le proposte di Ripellino, ma dimostra anche di condividere la consapevolezza del valore (anche economico) della traduzione e l’interesse per letterature meno note di quella russa.

È appunto approfondendo questa proposta di collaborazione che la Casa, nella persona di Foà, riassume nel dicembre dello stesso anno i piani di pubblicazione per la letteratura russa, definendo chiaramente tre linee guida:

Come Calvino le avrà certamente detto, è nostra intenzione: a) completare gradualmente le nostre edizioni di classici dell’Ottocento, curando che le versioni siano all’altezza di quelle finora da noi curate; b) tradurre e, se è il caso ritradurre, i più importanti tra i romanzi sovietici editi tra il ’17 e l’inizio della seconda guerra mondiale; c) pubblicare i migliori romanzi sovietici che appaiono attualmente nell’URSS, proseguendo nell’iniziativa presa dalla nostra casa quest’anno con il Disgelo di Ehremburg e Nella città natale di Nekrasov[5].

La lettera menziona, poi, possibili ampliamenti del piano per la pubblicazione di «qualche poeta di primo piano, classico (ad es. quanto più è possibile di Puskin), o moderno (come […] Pasternak o Majakovskij [di Ripellino]), qualche buon saggio o qualche opera teatrale»[6].

Nel corso dell’anno, Ripellino segue il tracciato indicato dal Consiglio editoriale einaudiano, prendendo in considerazione una serie di romanzi sovietici. Dal «piano completo delle opere russe in preparazione»[7] inviato nel gennaio 1956 appare, però, chiaro come a questa altezza la linea decisamente dominante sia ancora quella dei classici, già storico “cavallo di battaglia” della Casa editrice. Il piano considera approvata, infatti, una sola opera relativa alla letteratura contemporanea (un volume sul teatro rivoluzionario curato da Guerrieri), mentre è ancora in dubbio l’opportunità di pubblicare Nelle trincee di Stalingrado e Volnica di Gladkov, segnalato dallo stesso Ripellino a Calvino. Per quanto riguarda la letteratura pre-rivoluzionaria, invece, sono in programma i racconti di Čecov e di Gogol’ (tradotti da Agostino Villa), un’edizione delle opere di Puškin curata da Poggioli, una voluminosa antologia degli scritti di Belinskij preparata da Bruno Carnevali e Ignazio Ambrogi, una scelta di opere di Saltykov-Ščedrin curata da Gigliola Venturi e, infine, la seconda e la terza parte del Diario di uno scrittore di Dostoevskij tradotto da Ettore Lo Gatto e, dello stesso Dostoevskij, L’eterno marito e Le notti bianche, di cui la Casa editrice ha fatto preparare da tempo una traduzione. Si tratta, come si vede, di un piano più preciso, che prevede opere che nella maggior parte dei casi sono già tradotte o almeno assegnate e spesso (come nel caso di Dostoevskij e Cechov) completano pubblicazioni già intraprese dalla Casa editrice.

Negli anni successivi, mentre continua la pubblicazione dei grandi classici russi, le discussioni sulla narrativa contemporanea si concentrano sulla ricerca di autori che mantengano le promesse di rinnovamento letterario del “disgelo”. Tra questi, è particolarmente interessante il caso di Tendrjakov, che in questi anni è presentato, invece, come una delle punte del rinnovamento culturale e letterario sovietico da altre Case editrici, da Editori Riuniti (L’icona miracolosa, 1959) a Mondadori (Il nodo stretto, 1962) alle edizioni Avanti! (L’estraneo, 1956). In una scheda databile al febbraio 1956, Ripellino discute il proprio parere negativo su Iskateli, suggeritogli dallo stesso Nekrasov. Il romanzo, che dovrebbe essere un tentativo di superare il realismo socialista degli anni Trenta e Quaranta, risulta a parere di Ripellino il frutto più di una polemica estrinseca che di una reale spinta letterariamente fondata:

Benché vi siano almeno venti pagine belle (gli incontri con Rita, la gita in battello), il romanzo è troppo slegato e lungagginoso, e la povertà della trama costringe l’autore a girare sempre sullo stesso punto, sino alla noia. Le situazioni psicologiche sono confuse, accennate appena e poi lasciate a mezzo, senza soluzione, il linguaggio è carico di termini tecnici, di disquisizioni su valvole, amperometri, contatti, ecc. va notata una maggiore elasticità di sentimenti (soprattutto molta gelosia) e una maggiore agilità nelle scene amorose, maggiore rispetto a quella di altri romanzi sovietici, ma sorge il dubbio che tutto ciò sia fatto più per polemica che per una necessità interiore del romanzo[8].

In netto contrasto con il parere di Ripellino, Tendrjakov sembra, invece, un autore molto promettente a Vittorio Strada, che proprio in questi anni avvia una collaborazione con l’Einaudi. Strada offre pareri di lettura molti positivi su Saša, La caduta di Ivan Čuprov, Uchabi e Tre, sette, asso. Nel suo parere di lettura per Saša (1957), Strada sostiene che questo romanzo sia «un fatto qualitativamente nuovo nella letteratura sovietica. Lo si può interrogare come una relazione libera e sostanziosa sulla realtà sovietica, ma prima di tutto lo si deve leggere come si legge una qualsiasi opera narrativa». In linea con questa interpretazione dell’autore sovietico, in un successivo parere Strada propone di collocare La caduta di Ivan Čuprov addirittura in una collana sperimentale come «I gettoni» di Vittorini, che mira a definire le linee del realismo in Italia. Questo approccio è in contrasto con le linee che la Casa editrice ha adottato sinora per la letteratura sovietica contemporanea, pubblicata quasi esclusivamente per il suo valore documentario. Nonostante i tentativi di Strada, questo approccio “documentario” continua a dominare le pubblicazioni sovietiche all’Einaudi – è emblematico che tra i libri citati solo Tre, sette, asso venga pubblicato, e in una collana decisamente più capiente come «I coralli».

D’altro canto, si fa strada negli stessi anni una linea alternativa di pubblicazioni, incentrata sulle avanguardie degli anni Venti e sulla letteratura della cosiddetta “Era d’argento”. Questa linea, non inclusa nei primi piani editoriali elaborati dal nucleo dei collaboratori più stretti come Foà e Calvino, è però chiaramente importante per i due slavisti. Un piano di traduzione condiviso da Strada e Ripellino nel 1956 già include, infatti, oltre ad autori come Leonov, Tolstoj, Erenburg, anche Belyj, Ivanov e Pil’njak, che risultano altrettanto nuovi, nella maggior parte dei casi, per il panorama italiano e per lo stesso mondo sovietico, in cui godono di nuova fama grazie all’apertura post-staliniana.

Disillusioni sul “disgelo” e ritorno alle avanguardie

La riscoperta delle avanguardie del primo Novecento diventa sempre più centrale negli anni successivi, mentre le speranze di rinnovamento in campo letterario vengono presto disattese. Sin dal 1957-1958 e poi in modo sempre più marcato nei primi anni Sessanta, le lettere di Strada e Ripellino riflettono la delusione per un panorama letterario nel quale tornano ad apparire solo libri di interesse polemico o documentario, mentre non vi sono significative novità sul piano artistico. Già nel gennaio del 1958 Strada scrive da Mosca che «la situazione letteraria è un po’ stagnante e così sarà, probabilmente, ancora per qualche tempo, anche se la vita letteraria è piena di polemiche e di movimento»[9]. La valutazione di Ripellino del panorama dell’Unione sovietica post-disgelo è ancora più negativa:

Caro Calvino. Eccoti un riassunto delle mie impressioni del viaggio a Mosca, Varsavia, Praga. Dal punto di vista culturale mi sembra che in molte cose si sia tornati indietro, in molte altre la situazione è afosa e stagnante. Per esempio, parecchi autori di cui si annunziava la pubblicazione postuma o “riabilitante” (Pasternak poeta, Cvetaeva, Mandel’štam, Pil’njak, Mejerchol’d: scritti sul teatro ecc.) non usciranno […]. Dei prosatori fucilati è stato ripubblicato Ivan Katev, da non confondere con Valentin Katev: è scrittore colorito e succoso, ed io proporrei senz’altro una scelta dei suoi racconti […]. Dei prosatori contemporanei non c’è nulla che valga la pena di essere tradotto: i testi di cui parlano i giovani sono i racconti di Jurij Nagibin, di cui forse ti ho già detto. Non mi entusiasmano, ma eventualmente se ne potrebbe fare una raccolta, come documento della attuale situazione […]. Secondo un paragone fatto dal poeta Evtuscenko [sic], che, come sai, è il più impulsivo e il più discusso, oggi nelle lettere russe ci sono farfalle e ragni chiusi in un barattolo, i ragni hanno mangiato le farfalle ora si divorano tra loro. In molti gerarchi della letteratura è chiaro il terrore che gli intellettuali russi possano fare qualcosa di simile agli ungheresi. Perciò le nuove raccolte di versi di Sluckij, Zabolockij, ecc. tardano ad uscire, restano sospese in una sorta di limbo editoriale[10].

La delusione per la produzione contemporanea intensifica, invece, l’interesse per l’esplorazione della fase più viva della letteratura sovietica, quella della sperimentazione degli anni Venti. Una lettera di Strada a Ripellino (10 giugno 1963), facendo il punto sulla produzione del primo semestre e organizzando la produzione futura, restituisce anche un quadro più generale delle dinamiche che regolano le decisioni editoriali in questa fase: «Ti sarei grato se ci dicessi di quale altro autore vorrai occuparti in seguito, cioè dovremmo concordare un certo piano di lavoro. A parte le cose sovietiche d’attualità che vanno per loro conto, che cosa mettere in cantiere dell’età argentea?»[11]. La lettera di Strada mostra come, alla metà degli anni Sessanta, la produzione della Casa fosse esplicitamente impostata secondo un doppio binario: da un lato, un settore che «va avanti da solo», con testi di più largo consumo legati all’attualità culturale sovietica, di valore piuttosto documentario e polemico; dall’altro, i recuperi di opere maggiormente sperimentali risalenti alla prima metà del secolo. Questi ultimi sono accolti dalla Casa editrice con cautela. Nel 1958 Calvino inoltra una lettera di Ripellino, raccomandando però di «tenere sempre conto, leggendo i suoi giudizi, del suo fanatismo esclusivo per l’avanguardia degli anni venti»[12]. La risposta di Strada sottolinea la necessità di esplorazione più approfondita di un campo trascurato sino ad allora dalla Casa editrice (e non solo), polemizzando contro i precedenti consulenti per la slavistica:

Per quel che riguarda in generale gli Anni Venti, uno sono una [sic] “fanatico”, ma lavorando qui nelle biblioteche mi sto sempre più convincendo che i nostri esperti di letteratura russo-sovietica ci hanno truffati (non parlo di Ripellino naturalmente) e che l’importanza della storia della cultura sovietica di quegli anni (come del resto di quella degli Anni Trenta) non ci è ancora ben chiara[13].

Si delinea, dunque, un filone preciso di approfondimento, verso il quale Strada e Ripellino convergono, prendendo le distanze dalle linee guida precedenti della Casa editrice. L’analisi delle proposte di Strada merita un più ampio studio, che esula dallo scopo di questo saggio; basti notare, però, che, pur convergendo su molti autori, Strada e Ripellino mantengono interpretazioni molto diverse: Strada tende ad accentuare il valore politico delle avanguardie, mentre Ripellino si sofferma sul loro valore sperimentale, fantastico, puramente letterario.

Lo scarto è evidente a partire dalle proposte su Pil’njak. Come si è visto, Strada si sofferma sull’ultima fase degli anni Venti, in cui l’attenuato sperimentalismo stilistico lascia spazio all’analisi e alla critica politica. Le proposte di Ripellino includono, invece, la prosa fortemente avanguardistica dell’Anno nudo, e contrappongono polemicamente l’autore a Pasternak prosatore, in virtù dello stile «complicatissimo, molto più a cavaturacciolo»[14] che caratterizza i suoi testi. Il 29 agosto 1958 Ripellino, che aveva già parlato di Pil’njak come di un autore «da non lasciarsi sfuggire»[15], suggerisce un primo piano di pubblicazione:

Frattanto sto rileggendo tutto ciò che ho trovato di Pil’njak. Vorrei che facessimo questo autore, prima che ci pensino altri (e, mi pare, non è ancora in programma presso altri). Pil’njak, a mio parere, potrebbe essere un caso editoriale. Il problema è: decidersi fra 1) il solo anno nudo, romanzo di 150 folte pp.) una nutrita raccolta di racconti compreso Krasnoe Derevo (Mogano) che suscitò a suo tempo terribili polemiche e diede motivo alle persecuzioni contro l’autore; 3) mettere insieme una scelta di racconti e L’anno nudo[16].

Nessuna di queste proposte ha successo. Vengono rifiutate anche le opere di Ivanov, di cui Ripellino riportava con entusiasmo che «le sue cose migliori sono scritte in uno stile impulsivo, nervoso, pieno di colori smaglianti, di metafore»[17]. Da un lato, pesa la nota diffidenza della Casa editrice nei confronti di una letteratura “irrazionalista”; dall’altro, sembra difficile trovare nelle collane einaudiane la giusta collocazione per libri che non possono considerarsi come documenti di sperimentazione in atto, ma d’altro canto non sono (ancora) abbastanza “canonici” da poter essere inseriti nelle collane dedicate alla consacrazione dei classici, come «I Millenni», e che allo stesso tempo sono troppo complessi per poter essere collocati in collane per il largo pubblico come «I coralli» o «I Supercoralli».

L’eccezione che conferma la regola è, in questo contesto, Pietroburgo di Belyj, pubblicato nel 1961 nei «Coralli»: mentre, infatti, nell’introduzione Ripellino si concentra sugli aspetti fantastici, onirici e sperimentali dell’opera, le discussioni interne alla Casa editrice ne celebrano la “leggibilità”, grazie alla quale, finalmente, un’opera pur d’avanguardia può essere presentata al grande pubblico.

Una nuova collana: «Einaudi Letteratura» negli anni Settanta

Finalmente, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, nasce e si sviluppa una collana che sposta l’accento dalle ricerche contemporanee a esperienze che, pur costituendo una forte rottura nell’ordine letterario, appartengono già a una “tradizione”, seppur avanguardista e sperimentale. Questo è il punto di arrivo di discussioni che si svolgono, soprattutto per quanto riguarda la slavistica, da anni: non sorprende, dunque, che sin dai primi anni di vita della collana si accumulino proposte di testi che potrebbero rientrarvi. Tra i primi libri pubblicati nella collana ci sono, infatti, Il francobollo egiziano, Il rumore del tempo e Feodosia di Mandel’stam, in discussione da anni presso la Casa editrice, che l’aveva considerato inizialmente per «La ricerca letteraria» (concludendo, però, che questa collana doveva essere riservata alla ricerca contemporanea) e poi per «I Supercoralli».

I caratteri della collana sono definiti in modo esemplare proprio in una conversazione sulla narrativa russa, in uno scambio epistolare su Kotik Letaev di Belyj. Il libro era già stato proposto senza successo da Ripellino nel 1967, ma nel 1970 la discussione viene riaperta e un breve scambio epistolare sulla sua collocazione contribuisce a mettere in evidenza, attraverso il contrasto con «I Supercoralli», le caratteristiche della nuova collana. Il 3 settembre 1970 Fossati scrive, infatti, a Ripellino, chiedendo il suo parere a proposito dell’opera:

Qualora potessimo disporre, come sembra sia possibile, di una traduzione del libro di Biely, Kotik letaev, Lei ritiene che dovremo pensare seriamente a una sua pubblicazione o lasciar cadere la cosa?

Inoltre, se il Suo parere fosse positivo, Lei pensa che una pubblicazione andrebbe meglio nei Supercoralli, accanto, cioè, a Pietroburgo, dando così un’impressione di un romanzo di piena leggibilità, o accanto al Mandelstam della nuova collana di Letteratura, con un senso più ricercato di documenti letterari, diciamo d’avanguardia?[18]

La risposta di Ripellino è chiara: Kotik Letaev è da fare «senz’altro» e, «per il suo carattere sperimentale e la sua stravaganza»[19], trova la propria collocazione naturale in «Einaudi Letteratura».

Negli anni seguenti le proposte che gravitano attorno alla collana si volgono a un recupero sempre più deciso degli autori dell’“Età d’argento”. Già nel 1970 Ripellino aveva discusso anche la possibilità di pubblicare nella collana il teatro di Blok: «Si può comunque fare un volume compatto, ben definito e bello, pubblicando la trilogia composta da Piccolo baraccone, La sconosciuta, Il re sulla piazza, che è di grande modernità, con un sentore di Godot simbolistico»[20].

Dopo un breve tentativo fallito di proporre Sologub, Il demone meschino, Ripellino torna a pensare alla collana nell’ottobre 1971, presentando un progetto di Antonella D’Amelia su Remizov:

Ti invio un saggio di versione da Remizov, fatto dalla mia ex allieva, ora laureata, Antonella D’Amelia […]. Accludo il piano di un’antologia remizoviana, che escluda i racconti, puntando sui bozzetti, sulle divagazioni, sui sogni, sulle fiabe, sulle descrizioni di oggetti. Un Remizov che si avvicini alla dimensione di Ponge, a certe pagine di saggi butoriani e forse anche a Borges. È inutile, credo, che io ti dica come sia importante Aleksej Remizov (1877-1957) nella storia del simbolismo russo: utilizzatore, bibliofilo, folclorista, fa poesia della paleografia, riprendendo generi e immagini dell’antica letteratura russa, e insieme ha un gusto moderno degli avvenimenti onirici e degli oggetti folli e della compatta vitalità dell’oggetto Libro. Mi piacerebbe che ne facessimo un piccolo volume, di un 200 pp. Potrebbe venirne un impasto di stregheria, quadretti da sillabario, storie di animali, una Russia Magica[21].

Quello che propone Ripellino è, dunque, un Remizov che si intreccia con alcune delle punte più avanzate dell’avanguardia francese, da Ponge a Butor, per arrivare a incontrare poi Borges (non a caso pubblicato in «Einaudi Letteratura»). Similmente, la presentazione di Blok vede in Il re sulla piazza «un sentore di Godot simbolistico». Oltre a essere procedimenti critici tipici dell’autore di Letteratura come itinerario nel meraviglioso e Saggi in forma di ballate, questi richiami alle avanguardie europee rispecchiano pienamente lo spirito della nuova collana, che «svolge un lavoro retrospettivo e allo stesso tempo innovativo»[22], mira a «recuperare una idea della narrativa e della letteratura al di là delle date». Lo ribadiranno, alla fine degli anni Settanta, le discussioni che tornano sulla collana ormai già avviata per precisarne i principi teorici e gli intenti:

Siamo stufi della formulazione di una certa cultura europea che ci ha negato una visione più ampia della letteratura. Al di là delle date abbiamo voglia di proporre un’idea di letteratura e poi andare a verificare tenendo conto delle differenze. Oppure: ci sono testi su avanguardie storiche, recuperiamoli. Non sono recuperi, ma strutture tecniche in atto. Non neghiamo al pubblico il diritto di leggere per il gusto della letteratura[23].

Ripellino, è chiaro, non può che sentirsi a suo agio in un progetto simile. Non a caso, avrebbe desiderato veder pubblicate in questa sede le sue stesse poesie, in esame in questi anni all’Einaudi: la collana gli pare «la più adatta, anche perché il mio lavoro è tramato di rimandi alla moderna pittura e al surrealismo, che sono presenti in quella collana»[24]. Nella «Ricerca letteraria» la raccolta di poesie «acquisterebbe un sapore troppo sperimentale ed esclusivo». La lettera citata permette di mettere in luce un altro aspetto della collana, che si oppone alla «Ricerca letteraria» anche per il pubblico che intende raggiungere, e mira a far uscire, appunto, la ricerca letteraria passata e presente dal “ghetto” della specializzazione, tornando ad affermare «il diritto di leggere per il gusto della letteratura». Avanguardie storiche sì, quindi, ma non in una prospettiva storicizzante e documentaria: con «Einaudi Letteratura» cambia il modo di guardare alla sperimentazione del primo Novecento. Il progetto della nuova collana è, invece, quello di restituire attualità alla sperimentazione passata, facendola reagire con il panorama della letteratura contemporanea, in crisi e bisognoso di essere rivitalizzato.

Conclusioni

Come si è cercato di mostrare, la collaborazione tra Ripellino e l’Einaudi va ben al di là dei lavori su Majakovskij, Pasternak e il teatro di avanguardia. Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, Ripellino propone autori che vanno da Gladkov a Pil’njak, Belyj, e Remizov. Tra i moltissimi autori e testi discussi, anche lungamente, nei carteggi e nei verbali einaudiani, pochi sono i libri di narrativa russa del Novecento a vedere la luce per la Casa torinese. In parte, questo riflette il modus operandi della Casa editrice, molto attenta, in questi anni, a portare avanti un modello di letteratura troppo complesso per poter essere facilmente sintetizzato in un’esplicita “linea editoriale”, ma evidente nelle scelte di pubblicazione. D’altro canto, però, la sproporzione tra proposte e pubblicazioni testimonia la difficoltà di “collocare” la narrativa russa del Novecento, soprattutto quella che più interessa a Ripellino, molto diversa dal realismo documentario degli scrittori sovietici contemporanei, non (ancora) classica, ma anche lontana (prima di tutto cronologicamente) dalle sperimentazioni europee degli anni Sessanta e Settanta. La lunga fedeltà dell’Einaudi allo slavista (e viceversa) è, però, una riprova del continuo spirito di ricerca che anima la Casa editrice, anche quando non conduce a risultati tangibili.

  1. A. M. Ripellino, Storia della poesia cèca contemporanea, Roma, Edizioni d’Argo, 1950 e Id., Poesia russa del Novecento, Parma, Guanda, 1954. Per la bibliografia delle opere di Ripellino si vedano: C. G. De Michelis, A. Dell’Agata, Angelo M. Ripellino (1923-1978): bibliografia, Roma, Tipolitografia Pellecchia, 1983 e A. Pane, Bibliografia degli scritti di Angelo Maria Ripellino, in «Russica Romana», XXVII, 2020, pp. 87-133.
  2. L. Mangoni, Pensare i libri: la Casa editrice Einaudi dagli anni Trenta agli anni Sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 860.
  3. Solmi a Ripellino, 7 Giugno 1955, Archivio Einaudi (di seguito citato come AE), incart. Ripellino. La lettera è già stata parzialmente riprodotta in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), a cura di A. Pane, introduzione di A. Fo, Torino, Einaudi, 2018, p. 6, n. 1.
  4. Cfr. la lettera di Giulio Einaudi a Ripellino del 20 dicembre 1955: «Gentile dottore, abbiamo appreso con vivo piacere da Calvino che Lei sarebbe propenso ad accogliere una nostra proposta di consulenza per la letteratura russa, e eventualmente anche per le letterature polacca e cecoslovacca»: AE, incart. Ripellino (la lettera, firmata da Einaudi, ma scritta da Foà, come risulta dalla velina, è stata riprodotta più ampiamente in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 14, n. 1).
  5. Ibidem.
  6. Ibidem.
  7. Foà a Ripellino, 17 gennaio 1956: AE, incart. Ripellino. Citata anche in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit.
  8. Ripellino, scheda non datata [febbraio 1956]: AE, incart. Ripellino.
  9. Strada a Calvino, 25 gennaio 1958: AE, incart. Strada.
  10. Ripellino a Calvino, 15 giugno [1958], in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 41.
  11. AE, incart. Strada.
  12. Calvino a Strada, 17 febbraio 1958: AE, incart. Strada.
  13. Strada a Calvino, 9 marzo 1958: AE, incart. Strada.
  14. Ripellino a Calvino, dicembre 1958: AE, incart. Ripellino.
  15. Ripellino a Calvino, 10 febbraio 1958, in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 39.
  16. Ivi, p. 60, n. 1.
  17. Ripellino [alla casa editrice Einaudi], 21 gennaio 1956: ivi, p. 14.
  18. Fossati a Ripellino, 3 settembre 1970: AE, incart. Fossati.
  19. Ripellino a Fossati, 12 settembre 1970: AE, incart. Fossati.
  20. Ripellino a Fossati, 2 marzo 1970, in A. M. Ripellino, Lettere e schede editoriali (1954-1977), op. cit., p. 104.
  21. Ripellino a Davico, 11 ottobre 1971: ivi, pp. 113-14.
  22. Cinquant’anni di un editore: 1933-1983, Torino, Einaudi, 1983, p. 652.
  23. Intervento di P. Fossati, Verbale riunione editoriale di Rhêmes, 1977: AE, incart. Verbali.
  24. Ripellino a Calvino [lettera non datata]: AE, incart. Ripellino.

(fasc. 50, 31 dicembre 2023, vol. II)