Riguardo al tema dell’insegnamento della letteratura italiana nei Corsi di Laurea “non Lettere”, la riflessione si è sviluppata per la prima volta in alcuni seminari organizzati dall’Associazione degli Italianisti, sempre intorno a problematiche in qualche modo ricorrenti: la possibile utilità di una prova scritta, la definizione di un syllabus comune e di un canone condiviso, lo sforzo di calibrare programmi quanto più possibile adatti a corsi di studio che presentano specificità proprie, l’intersezione fra ricerca e didattica, l’instaurazione di “buone pratiche” di insegnamento. In verità, molte di queste questioni sono comuni anche ai tradizionali Corsi di Laurea in Lettere; semmai, nei Corsi di Laurea “non Lettere” si segnalano alcune tipicità che li rendono casi in un certo senso peculiari, come la diversa provenienza scolastica degli studenti, il differente peso dell’insegnamento di “Letteratura italiana” in termini di CFU, l’isolamento della disciplina nel quadro di un’offerta formativa priva spesso di altre materie dell’ambito dell’italianistica. Si aggiunga il fatto, poi, che in alcuni di questi percorsi formativi l’insegnamento di “Letteratura italiana”, pur essendo previsto espressamente come obbligatorio dalle tabelle ministeriali, può essere fungibile con discipline affini, come la linguistica o la letteratura contemporanea, e che il suo spazio nell’offerta formativa può essere, dunque, messo a rischio da situazioni contingenti (come la presenza di settori disciplinari più forti).
Tutti questi fattori comportano spesso l’esigenza di curvare l’insegnamento della letteratura secondo prospettive funzionali o didatticamente spendibili: è ovvio che in simili prassi operative non possono e non debbono esistere indicazioni vincolanti o cogenti, ma si verifica, anzi, in molte circostanze l’intervento autonomo e individuale del singolo docente che, come è giusto che sia, organizza i contenuti del corso secondo le personali sensibilità e preparazione.
Credo che sia utile qualche considerazione rispetto allo studio della letteratura italiana nei trienni universitari di “non Lettere”, non tanto per ricercare protocolli necessariamente condivisi o proposte concrete di attuazione, quanto per fornire qualche empirico spunto aggiuntivo di approfondimento. Importanti pareri sull’argomento sono stati, infatti, già offerti da Andrea Battistini in alcuni suoi interventi tenuti in occasione di due seminari ADI (Associazione Degli Italianisti) del 2014, in cui si affrontava anche il tema dei programmi didattici per la laurea triennale e nei quali si faceva, però, riferimento soprattutto ai corsi di Lettere.
Preliminarmente va precisato che la fenomenologia della presenza dell’insegnamento di “Letteratura italiana” nei corsi di studio “non Lettere” è alquanto mutevole e per essa non è possibile una reductio ad unum. Differente, in questi corsi di studio, è il numero di crediti della disciplina, che varia da Lingue a Beni Culturali, da Filosofia a Scienze della Formazione, ma si diversifica anche, da caso a caso, il suo inserimento nel quadro generale. Molto spesso in questi corsi di studio quello di “Letteratura italiana” è considerato, infatti, dagli studenti e dai colleghi non italianisti, un esame di base utile al più alla preparazione generale dello studente, senza reale interazione con la restante offerta didattica: dunque, qualcosa di esterno e secondario rispetto ad essa, come dimostra il fatto che “Letteratura italiana” non si accompagna talora, come si diceva, ad altre discipline dell’area dell’italianistica, ma si presenta quasi, nonostante la sua obbligatorietà, come una tappa episodica e marginale del percorso formativo.
Stando così le cose, mi sembra che i temi più urgenti e delicati in questo campo, pur dinanzi a una casistica così ampia e articolata, riguardino il rapporto fra parte istituzionale e parte monografica, la loro possibile coesistenza e la loro composizione, con il conseguente corredo di problemi connessi (uso del manuale, della selezione antologica o, al contrario, lettura integrale dei classici, prova scritta ecc.). A causa del differente grado di alfabetizzazione linguistica e letteraria degli studenti che frequentano i corsi di studio “non Lettere” (di solito di livello inferiore a quelli di Lettere, ma con una progressiva tendenza omologante verso il basso fra i due ambiti) e della loro diversa formazione scolastica (pochi gli studenti liceali, molti quelli provenienti da altre scuole), non è pensabile in questi casi uno studio sistematico e integrale della letteratura italiana, che oltretutto non troverebbe spazio neppure nel numero di crediti concessi allo specifico insegnamento, abitualmente ridotto rispetto agli analoghi insegnamenti dei corsi di Lettere. Vale anche per questi corsi del triennio, inoltre, l’impossibilità pratica di riversare nella prassi didattica (come è noto), se non in piccola misura, i risultati della propria attività di ricerca (strada più praticabile, invece, nel biennio della specialistica, dove però, spesso, non si ritrovano insegnamenti dell’area dell’italianistica).
La progressiva contrazione degli spazi della disciplina all’interno dell’offerta formativa dei corsi di studio “non Lettere”, a vantaggio di altre materie caratterizzanti o professionalizzanti, la specificità dell’uditorio e il fatto che in questi corsi lo studio della letteratura italiana è limitata spesso al solo ambito del triennio, senza avere prosecuzioni nel segmento superiore della laurea specialistica, suggerirebbero piuttosto strade alternative, anche per evitare nocive e subalterne riduzioni dell’insegnamento della letteratura italiana in tali contesti, come pure da alcune parti si vorrebbe, sub specie linguistica: vale a dire, come mero laboratorio per l’apprendimento di conoscenze grammaticali e sintattiche. Anche se il binomio lingua-letteratura non deve essere mai perso di vista neppure in questi contesti d’insegnamento, ciò che più deve contare è, però, lo specifico letterario, anche alla luce del fatto che il programma di “Letteratura italiana” costituisce quasi sempre l’unica occasione per un approfondimento su autori e testi sui quali altrimenti gli studenti dei Corsi “non Lettere” non tornerebbero mai più. D’altra parte, se pare improponibile una trattazione capillare e dettagliata per quanto riguarda la parte istituzionale, si può, però, pensare a un percorso di tipo diacronico e lineare, che più realisticamente intercetti un nucleo di scrittori e di opere maggiori intorno, per esempio, a un certo tema o a un certo genere letterario, studiati nella loro evoluzione storica e accompagnati magari da letture critiche che servano da guida e da orientamento. In questo modo, parte istituzionale e parte monografica, lezione in aula e studio domestico verrebbero sostanzialmente a coincidere nella prassi didattica e i confini fra le due fasi sfumerebbero, soddisfacendo criteri di economia e di praticità. Una simile impostazione garantirebbe, inoltre, un’opportuna calibratura fra diacronia e modularità e, nello stesso tempo, fra storicità e testualità, con la salvaguardia simultanea dell’elemento temporale e cronologico e di quello testuale, evitando così il rischio di omologazioni schematiche e di visioni bloccate della disciplina. Va da sé che questo percorso dovrebbe riguardare gli autori maggiori, in una forma quanto più possibile inclusiva e generalista, lungo un tracciato storico che punti a non lasciare troppe zone scoperte, proprio per offrire una sponda alla preparazione della parte istituzionale, e dovrebbe raggiungere anche gli autori più importanti del Novecento, qualora l’esame di letteratura generale non sia affiancato da quello di letteratura contemporanea (caso non infrequente).
Il lavoro in aula dovrebbe, poi, configurarsi come una lezione di metodo da applicare e da ripetere in seguito, autonomamente, nello studio domestico da parte dello studente; e le lezioni costituirebbero anche l’occasione per fornire nozioni di metrica, di retorica, di stilistica, essendo improbabile pensare di inserire nei programmi dei Corsi di Laurea “non Lettere” approfondimenti appositamente dedicati a tali argomenti, rispetto ai quali, tuttavia, va detto che gli studenti di questi corsi di studio risultano quasi sempre privi di ogni forma di conoscenza. Sarebbe, poi, opportuno costruire questi percorsi secondo tagli specifici che abbiano una qualche attinenza o contiguità con il piano disciplinare complessivo del corso di studi: un dato che può apparire scontato, ma che, anche per questo, forse si tende a trascurare. Tralasciando argomenti, autori e testi ultrasettoriali, per un indirizzo di studi come quello di Beni Culturali, ad esempio, si potrebbe pensare a un excursus sul genere della letteratura di viaggio, che permetterebbe di inglobare classici e opere di primo livello e che risulterebbe in sintonia con gli interessi e con le competenze storico-artistiche e archeologiche di questa tipologia di studenti; oppure a una serie di lezioni su temi come il rapporto fra letteratura e arti figurative o musicali (la storia dell’arte è materia fondamentale a Beni Culturali, in tutte le sue branche), da articolare ancora una volta in senso diacronico oppure focalizzando l’attenzione su periodi particolarmente significativi per questo tema (come l’età barocca).
Ritengo, però, che in un triennio in cui lo studio della letteratura italiana si limita alla preparazione di un solo esame, spesso senza la possibilità di approfondimenti ulteriori demandati ad altri esami affini o integrativi, sia più conveniente aprire quanto più possibile il ventaglio della storia letteraria, privilegiando così la forma dell’excursus modulare, pur se incardinato su di una salda base storica, rispetto alla focalizzazione monografica, da praticare invece preferibilmente nel segmento successivo della formazione (quello della laurea specialistica). Si ripropone in questi casi l’antico dilemma: per l’attraversamento della nostra storia letteraria, meglio concentrarsi su pochi testi e autori in maniera dettagliata e analitica o fornire una carrellata a volo d’uccello più ampia ma magari più superficiale? Meglio la lettura integrale di uno o due classici oppure una scelta antologica più varia e più vasta? Meglio la storia letteraria o l’antologia e, dunque, meglio la storia o i testi? Una soluzione modulare, già peraltro impiegata diffusamente nella prassi della didattica scolastica, ma evidentemente da adattare alla dimensione universitaria, che avesse al contempo un profilo di disamina monografica intorno a un tema o a un genere letterario e una dilatata proiezione spazio-temporale sino agli autori del primo Novecento, favorirebbe forse il contemperamento di queste diverse e opposte esigenze, rispetto a un pubblico di studenti che ha inclinazioni, interessi culturali, formazione generalmente differenti dal tipo medio dell’iscritto a Lettere. Solitamente a questi studenti non si richiede di diventare filologi, storici della letteratura e a volte neppure insegnanti (benché talora le classi concorsuali siano le medesime degli studenti di Lettere) e, per evitare che la disciplina sia percepita come una presenza ancillare e accessoria nel loro percorso di studi, sarebbe opportuno agganciare il suo insegnamento al tronco principale del loro itinerario formativo, che prevede sbocchi lavorativi differenti: di qui la convenienza di una didattica interdisciplinare, comparativa, complementare e trasversale, impartita in senso innovativo e dinamico e tesa a riassegnare centralità alla materia, rovesciando per questa via la condizione di obiettiva marginalizzazione a cui essa è spesso costretta dai piani di studio e dai contesti di riferimento. Nel panorama dell’editoria universitaria, l’offerta di manuali e antologie per la didattica della letteratura italiana è stata, negli ultimi anni, molto ricca: come accade nella parallela dimensione dell’editoria scolastica, nella quale esistono strumenti per le scuole non liceali, analogamente si potrebbe pensare, per esempio, all’allestimento di strumenti bibliografici destinati ai corsi di “non Lettere”.
Non si tratta di arrendersi all’idea di un gioco al ribasso, né di ricercare facili scorciatoie nel senso di un insegnamento dei classici in una forma “liceizzata” o più o meno scolastica e divulgativa, magari con l’innesto corroborante di qualche nozione in più (che pure è una tendenza inevitabile e di cui occorre prendere atto, come suggerisce Battistini, a fronte della scarsa preparazione linguistico-letteraria con cui oramai gli studenti arrivano a iscriversi all’università), ma di assumere una prassi didattica inclusiva e in grado di coniugare rigore e attrattività nei confronti di discenti che spesso hanno altre forme di inclinazione e altri obiettivi di formazione culturale.
Nel caso delle Facoltà e dei Dipartimenti di Beni Culturali, che sono gli ambiti sui quali ho maggiore competenza diretta, spesso poi ci si trova di fronte a offerte formative che comprendono saperi allotrii, trattandosi di Facoltà e Dipartimenti ibridi, che uniscono materie umanistiche e “scienze dure”. Nel Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento l’esame di “Letteratura italiana” è previsto al triennio, ad esempio, anche in un indirizzo di “Tecnologie per i Beni Culturali” nel quale gli studenti preparano esami di fisica, chimica, archeobotanica ecc. Si tratta evidentemente di studenti che si caratterizzano per una spiccata vocazione scientifica, sia pure applicata al campo dei beni culturali. Come proporre a questi studenti lo studio di Dante, Boccaccio, Petrarca e degli altri classici? In casi come questi, un approccio interdisciplinare sembra più che mai consono, magari rinforzato da un uso sapiente e attrattivo delle risorse tecnologiche e dell’informatica umanistica, con l’obiettivo di far percepire loro che anche i nostri classici, i nostri testi, i nostri grandi autori sono “beni culturali” da valorizzare, tutelare, salvaguardare, studiare non meno dei manufatti artistici o dei reperti archeologici: non solo come autori in sé ricchi di valori simbolici, spirituali, artistici, identitari, ma anche dal punto di vista del complesso dei supporti materiali che concretamente ne hanno tramandato l’opera (manoscritti, codici, stampe ecc.). Allargando con qualche forzatura la definizione scientifica e giuridica di “bene culturale” alla letteratura e alla sua storia, l’insegnamento della disciplina non dovrebbe rappresentare soltanto, dunque, un semplice orpello aggiuntivo da fornire agli scienziati dei beni culturali nel senso di una vaga e indeterminata “cultura generale”, ma qualcosa di meno esterno e di più intrinseco: e in questa prospettiva, la didattica interdisciplinare dovrebbe riguardare non solo le materie tradizionali, spesso d’area affine, con le quali la letteratura entra normalmente in dialogo, ma anche materie epistemologicamente più lontane (come le discipline scientifiche, per esempio).
Per quanto riguarda la prova scritta di italiano, da più parti, nella recente riflessione sulla didattica universitaria della letteratura italiana, si è avvertita l’opportunità di ripristinare, laddove non sia già esistente, la prova scritta d’italiano (preliminare o in itinere) come strumento di valutazione parallelo o alternativo alla prova orale, anche per rafforzare le capacità di organizzazione del pensiero e per verificare negli studenti la padronanza dell’ortografia e delle regole grammaticali, oltre alle competenze storico-letterarie. Questa riflessione coinvolge naturalmente anche i Corsi di Laurea “non Lettere”, nei quali la prova d’italiano, quale che sia la sua modalità di svolgimento (tema libero o test a risposta aperta e multipla), potrebbe strutturarsi come analisi di un testo letterario che, nel caso di Beni Culturali, richiamerebbe analoghe tipologie di prove scritte in cui gli studenti si cimentano in quell’indirizzo di studi (come schede e rilevamenti di oggetti artistici e di reperti archeologici).
Pur trattandosi di un’esperienza-limite e in qualche modo particolare, che non può valere di certo come standard generale, questo caso può offrire, tuttavia, indicazioni utili sul modo di assicurare anche nel triennio, con modalità sincrona, alfabetizzazione linguistico-letteraria e una qualche forma di approfondimento e di specializzazione. È un esempio che dimostra, inoltre, come in questi corsi di studio “non Lettere” (non solo Beni Culturali, ma anche Scienze della Formazione o Lingue) la disciplina della “Letteratura italiana” possa rivestire una sua dignità formativa e culturale e che anzi, proprio in questi contesti apparentemente eccentrici, è in grado di stimolare il docente a praticare strade inedite ma virtuose di insegnamento e di apprendimento, oltre la tradizionale visuale storiografica e a vantaggio di suggestivi itinerari didattici di tipo interdisciplinare e flessibile, nei quali anche lo studio dei nostri classici ha la possibilità di acquisire una rinnovata e originale prospettiva di senso.
Bibliografia di riferimento
Sul tema non esiste ancora una vera e propria bibliografia specifica, ad eccezione dei materiali prodotti fra il marzo 2014 e il maggio 2016 dal Gruppo di lavoro dell’Associazione degli italianisti (Gian Carlo Alfano, Simona Morando, Emilio Russo, Franco Tomasi) sulla Didattica della letteratura, in occasione dei seminari di Napoli, Bologna, Padova, Milano, Roma, Foggia (dove questo intervento è stato letto) e Genova, che hanno affrontato anche la riflessione sull’insegnamento della letteratura italiana nei Corsi di Laurea “non Lettere”.
Gli interventi di Andrea Battistini cui si fa riferimento nel testo sono stati presentati nei seminari di Bologna e Padova, rispettivamente del maggio e del settembre 2014. Ringrazio il Prof. Battistini per avermene consentito la lettura. Informazioni e materiali al riguardo si possono trovare ai seguenti link:
- http://www.italianisti.it/didatticanotizie
- http://www.italianisti.it/News?pg=cms&ext=p&cms_codsec=3&cms_codcms=725&year=2016 (in relazione all’ultimo seminario genovese del 10 e dell’11 maggio 2016).
(fasc. 8, 25 giugno 2016)