A cento anni dalla “Legge Croce” del 1922 per la tutela del paesaggio

Author di Maria Panetta

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Il tema di questa Conferenza[1] mi è stato suggerito dalle dottoresse Marta Herling e Maria Ametis (che colgo l’occasione per ringraziare nuovamente per il graditissimo invito e per l’impeccabile organizzazione dell’evento di Pollone), ma l’ho accolto con molto interesse, data anche la sua cogente attualità: Croce e il paesaggio, a cento anni dalla data assai significativa del 1922.

Innanzitutto, va precisato che una delle prime formulazioni del principio del diritto al paesaggio e alle bellezze naturali, principio fondamentale anche della Costituzione italiana, risale addirittura a una legge di Ferdinando II di Borbone: il Rescritto del 19 luglio 1841. A puntualizzarlo e a ricordarlo è stato proprio Benedetto Croce, quando si fece promotore della Legge 778 del 1922, la prima legge italiana che, appunto, sancì il “diritto al paesaggio” e pose le basi per la tutela degli immobili di interesse storico: essa è rimasta in vigore fino al 2009, rappresentando, per circa novant’anni, il principale riferimento giuridico italiano relativo a questioni ambientali.

Nella propria Relazione al Parlamento, Croce rivelò che, nel corso dell’indagine preliminare funzionale alla formulazione del testo di legge, aveva effettuato numerose ricerche negli archivi degli Stati preunitari (e ovviamente non c’è da dubitarne, vista la sua notorietà anche come erudito e valente storico, oltre che come filosofo e critico): era giunto, così, a individuare, appunto, dei rescritti borbonici che, di fatto, anticipavano la normativa appena approvata. Le sue testuali parole furono, infatti: «nulla di nuovo, quindi, si è escogitato nel presente regolamento».

Si possono ricordare, dunque, oltre al citato Rescritto del 1841, almeno un decreto del maggio 1822 e uno del settembre 1839:

[…] era vietato portare fuori dal Regno delle Due Sicilie opere d’interesse storico ed artistico. Così stabilì, in effetti, Ferdinando I. Che, con un decreto del maggio 1822, vietò di togliere dal posto in cui si trovavano quadri, statue, bassorilievi, oltre a tutti gli oggetti e monumenti d’arte e storici. Presenti tanto negli edifici pubblici e nelle chiese quanto nelle cappelle soggette a diritti di patronato. Il decreto vietava anche di demolire o comunque di arrecare degrado ad antiche costruzioni, pur se ricadenti in fondi privati, come nel caso di templi, basiliche, teatri, anfiteatri, ginnasi, acquedotti, mausolei di pregiata architettura e mura di città distrutte. Era proibito, infine, esportare qualsiasi oggetto d’arte e d’antichità, anche se di proprietà privata, senza preventivo permesso. Che sarebbe stato eventualmente accordato soltanto in mancanza di un merito tale da interessare il decoro del Regno. Sarebbe stata chiamata a giudicare l’oggetto, stabilendone il merito, l’istituenda Commessione di antichità e belle arti. Successivamente, nel settembre 1839, Ferdinando II volle adottare un decreto che, richiamandosi a quanto sopraprescritto, desse maggior efficacia alle misure per conseguire l’importante fine di preservare da ogni degredazione i pregevoli monumenti antichi e di arte. In tal senso stabilì che gli stessi fossero posti sotto la sorveglianza delle autorità amministrative dipendenti dal Ministero degli affari interni e che dovessero essere ben conservati dai proprietari. Essi, in particolare, avrebbero dovuto vigilare perché non si alteri né si deturpi l’antico con lavori moderni, senza eseguire restauri privi di permesso, da rilasciarsi previo esame e parere dell’Accademia di belle arti. Le contravvenzioni sarebbero state considerate come violazione dei monumenti pubblici. Il decreto del 1839 stabilì, inoltre, che monumenti di particolar pregio, suscettibili di essere conservati in modo migliore e di essere utili allo accrescimento de’ mezzi di eccitare il genio della gioventù coll’esempio degli antichi maestri nell’arte, potessero essere trasferiti dal sito originario al Museo Borbonico, ove sarebbero stati esposti alle osservazioni degli amatori e de’ dotti, ed all’istruzione del Pubblico. Al loro posto, sarebbero stati messi o delle copie o degli adeguati ornamenti a spese del predetto Museo. Ciò non valeva per i quadri delle chiese che, ancorché capolavori, dovevano restare nel luogo originario, ferma restando la stretta vigilanza[2].

Da non trascurare neanche un decreto del 1842 in base al quale

[..] le “piantagioni lungo le strade” furono poste sotto la particolare cura e protezione del Governo. Così precisava, in effetti, il primo articolo di un regolamento approvato nel gennaio di quell’anno con decreto di Ferdinando II. La normativa, che riguardava la piantagione e conservazione degli alberi lungo le strade provinciali e comunali, prevedeva che a concorrere allo scopo fossero chiamati: – gli appaltatori delle piantagioni, i quali potevano anche assumere e armare dei custodi; – le autorità civili, in particolare gli agenti municipali e la gendarmeria, che potevano arrestare i rei colti in flagranza; – i proprietari o coloni di fondi limitrofi alle strade oggetto di piantagioni. E vietava nei pressi delle piantagioni di stabilire passaggi di strade e il pascolo del bestiame di qualsiasi tipo. Chi procurava danni agli alberi, direttamente o con vetture o con propri animali, doveva essere punito con tre giorni di reclusione e con un’ammenda pecuniaria[3].

Nella sua Relazione introduttiva, ad ogni modo, Croce ricordava soprattutto i «Rescritti Borbonici del 19 luglio 1841 e 17 gennaio 1842 e 31 maggio 1843», che «vietavano di alzare fabbriche, le quali togliessero amenità o veduta lungo la via di Mergellina, di Posillipo, di Campo di Marte, di Capodimonte».

Questi, dunque, i più significativi interventi legislativi ottocenteschi che precedettero e ispirarono la formulazione della cosiddetta “Legge Croce” del 1922. Com’è noto, però, se alcuni intellettuali illuminati di epoca fascista avrebbero continuato a lavorare per una regolamentazione dei beni culturali fino all’incirca alla fine degli anni Trenta del Novecento, con la Seconda guerra mondiale e nel periodo post-bellico cambiò tutto: la “Legge Croce”, infatti, fu poco applicata nel dopoguerra, come ricorda anche il film drammatico Le mani sulla città, diretto nel 1963 da Francesco Rosi, una spietata denuncia della corruzione e della speculazione edilizia nell’Italia degli anni Sessanta.

Si rammenti anche che, prima della cosiddetta “Legge Croce”, i costruttori avevano un ampio margine di discrezionalità nella progettazione degli edifici, anche perché la proprietà privata era considerata un bene di primaria importanza: lo testimoniano, ad esempio, i tanti lavori realizzati in alcuni dei quartieri più antichi di Napoli, come la costruzione del rione Santa Lucia, della Galleria Umberto e di Corso Umberto I o, al contrario, la proposta di abbattimento di Castel dell’Ovo durante il periodo del cosiddetto Risanamento (negli anni Ottanta dell’Ottocento)[4].

Come ha sottolineato il 3 ottobre 2011 l’archeologo e storico dell’arte calabrese Salvatore Settis, in un intervento dal titolo Benedetto Croce ministro e la prima legge sulla tutela del paesaggio[5], le battaglie più accese per tutelare i beni culturali dello Stato partirono da alcune delle regioni d’Italia più sensibili al patrimonio storico: soprattutto Campania, Lazio e Toscana (la tradizione cosiddetta “piemontese” tendeva, invece, a tutelare maggiormente la proprietà privata). Prima della “Legge Croce”, furono bocciate decine di proposte portate in Parlamento per tutelare il paesaggio e i beni culturali, avanzate da deputati del calibro di Francesco De Sanctis, Saverio Nitti, del veneziano Pompeo Gherardo Molmenti, del lucchese Giovanni Rosadi (proprio Rosadi, esponente della Toscana, fu uno dei più accesi promotori della tutela dei beni culturali e, assieme a Croce, fu assai lieto dell’approvazione della Legge del 1922, dopo trent’anni di battaglie in Parlamento).

La “Legge Croce” del 1922

Veniamo al testo della cosiddetta “Legge Croce”, uscita sulla «Gazzetta Ufficiale» n. 148 del 24 giugno 1922 ed entrata in vigore a partire dal 9 luglio 1922: lo riportiamo integralmente di seguito (nella trascrizione sono solo stati corretti gli accenti sulle parole tronche, resi nel testo ufficiale con apostrofi finali: «né», «antichità», «facoltà», «affinché», «altresì» etc.).

LEGGE 11 giugno 1922, n. 778

Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico (022U0778)

VITTORIO EMANUELE III

per grazia di Dio e per volontà della Nazione

RE D’ITALIA

Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato;

Noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue:

Art. 1

Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale e della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria. Sono protette altresì dalla presente legge le bellezze panoramiche.

Art. 2

Le cose contemplate nella prima parte del precedente articolo non possono essere distrutte né alterate senza il consenso del Ministero dell’istruzione pubblica. Il Ministero dell’istruzione pubblica ha facoltà di procedere, in via amministrativa, alla notificazione della dichiarazione del notevole interesse pubblico ai proprietari ed ai possessori o detentori a qualsiasi titolo degli immobili di cui è parola nel precedente articolo. Tale dichiarazione dev’essere, su istanza del ministro stesso, iscritta nei registri catastali e trascritta nei registri delle Conservatorie delle ipoteche, ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo. I proprietari possessori o detentori a qualsiasi titolo degli immobili i quali siano stati oggetto di detta dichiarazione, sono tenuti a presentare preventivamente alla competente Sovraintendenza dei monumenti i progetti delle opere di qualsiasi genere relative agli immobili stessi, per ottenere l’autorizzazione ad eseguirle dal Ministero dell’istruzione pubblica, il quale provvede, sentito il parere della Giunta del Consiglio superiore per le antichità e belle arti.

Contro la dichiarazione ministeriale è ammesso il ricorso al Governo del Re che decide, sentita la Giunta del Consiglio superiore per le antichità e belle arti e il Consiglio di Stato, salvo il ricorso alla IV sezione del Consiglio di Stato ed il ricorso in via straordinaria al Re.

Art. 3

Anche indipendentemente dalla preventiva notificazione della dichiarazione di pubblico interesse, di cui nel precedente articolo, il Ministero della istruzione pubblica ha facoltà di ordinare la sospensione dei lavori iniziati su gli immobili soggetti alla presente legge. Entro il termine di un mese il Ministero della istruzione pubblica dovrà procedere alla notificazione della dichiarazione di cui all’art. 2. Trascorso questo termine senza che il Ministero abbia provveduto alla notificazione, l’ordine di sospensione si considera revocato. Nel caso di non avvenuta preventiva notificazione di cui all’art. 2, se la sospensione non è revocata, è riservata agli aventi diritto l’azione per indennità limitata al rimborso delle spese.

Art. 4

Nei luoghi nei quali si trovano cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazioni di piani regolatori possono essere prescritte dall’autorità governativa le distanze, le misure e le altre norme necessarie, affinché le nuove opere non danneggino lo

aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche contemplate nell’art. 1°. L’autorità governativa potrà altresì prescrivere opere di tutela strettamente necessarie per impedire danneggiamenti a bellezze naturali.

Art. 5

È vietata l’affissione con qualsiasi mezzo di cartelli e di altri mezzi di pubblicità, i quali danneggino l’aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche di cui nell’art. 1º. Questo divieto riguarda anche i cartelli e gli altri mezzi di pubblicità affissi anteriormente alla presente legge. Il Ministero dell’istruzione pubblica, a mezzo del prefetto o sottoprefetto, ordina la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità, dei quali è vietata l’affissione a norma del presente articolo.

Art. 6

Chiunque contravviene agli obblighi ed agli ordini di cui negli articoli 2º, 3° e 5° della presente legge, è punito con l’ammenda da L. 300 a L. 1000. Indipendentemente all’azione penale, il Ministero dell’istruzione

pubblica con ordinanza motivata può ordinare la demolizione delle opere abusivamente eseguite e la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità indebitamente affissi o mantenuti. Trascorsi quindici giorni dalla notificazione dell’ordinanza in via amministrativa, la demolizione delle opere abusivamente fatte e la rimozione dei cartelli e degli altri mezzi di pubblicità indebitamente affissi o mantenuti è eseguita d’ufficio, a carico del proprietario del fondo, salvo il diritto di rimborso da parte di esso contro i responsabili della trasgressione. La nota delle spese relativa è resa esecutoria con ordinanza del Ministero dell’istruzione, e rimessa all’esattore competente che ne fa la riscossione nelle forme e coi privilegi delle imposte prediali.

Art. 7

Gli ispettori onorari, le Commissioni provinciali previste nell’articolo 47 della legge 27 giugno 1907, n. 386, gli uffici comunali e provinciali, gli uffici di dipartimenti forestali e del Genio civile e gli uffici tecnici di finanza devono segnalare alle Sopraintendenze dei monumenti e al Ministero dell’istruzione pubblica le opere progettate o iniziate, nonché l’affissione dei cartelli ed altri mezzi di pubblicità che contravverranno alle disposizioni della presente legge.

Ordiniamo che la presente, munita del sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 11 giugno 1922.

VITTORIO EMANUELE

Facta – Anile.

Visto, il guardasigilli: Luigi Rossi.

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Nota redazionale

Il testo riportato è già integrato con le correzioni apportate dall’errata-corrige pubblicato in G.U. 8/07/1922, n. 160 durante il periodo di “vacatio legis”. È possibile visualizzare il testo originario accedendo alla versione pdf della relativa Gazzetta di pubblicazione[6].

Ai nostri fini, sono particolarmente interessanti da commentare i passi degli articoli 1, 2, 4 e 5 che si ripropongono nella versione originale, qui di seguito:

[…]

Art. 1.

Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria.

Sono protette altresì dalla presente legge le bellezze panoramiche.

Art. 2.

Le cose contemplate nella prima parte del precedente articolo non possono essere distrutte né alterate senza il consenso del Ministero dell’istruzione pubblica.

[…]

Art. 4.

Nei luoghi nei quali si trovano cose immobili soggette alle disposizioni della presente legge, nei casi di nuove costruzioni, ricostruzioni ed attuazioni di piani regolatori possono essere prescritte dall’autorità governativa le distanze, le misure e le altre norme necessarie, affinché le nuove opere non danneggino lo aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche contemplate nell’art. 1°. […]

Art. 5.

È vietata l’affissione con qualsiasi mezzo di cartelli e di altri mezzi di pubblicità, i quali danneggino l’aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche di cui nell’art. 1°.

Questo divieto riguarda anche i cartelli e gli altri mezzi di pubblicità affissi anteriormente alla presente legge. […]

Data a Roma, addì 11 maggio[7] 1922;

VITTORIO EMANUELE.

FACTA – ANILE.

Visto, il guardasigilli: LUIGI ROSSI.

In primo luogo, va posto l’accento sulla valorizzazione – nell’Art. 1 – dell’«interesse pubblico» quale criterio di elezione delle «cose» «soggette a speciale protezione»: come si legge, tale “interesse pubblico” nella tutela degli immobili è motivato dalla loro «bellezza naturale» oppure dalla loro «particolare relazione con la storia civile o letteraria». A tale proposito non si può non evidenziare che quest’idea collima perfettamente con quelle espresse da Croce nella lunga e problematica elaborazione e rielaborazione delle sue teorie estetiche che, come sappiamo, presero forma – oltre che in vari articoli sparsi anche precedenti[8], negli interventi sulla Letteratura della nuova Italia (editi da Laterza in 6 volumi, a partire dal 1914) e in varie recensioni – soprattutto in quattro libri fondamentali: l’Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale del 1902, il Breviario di estetica del 1913, l’Aesthetica in nuce del 1928 e La Poesia del 1936. In particolare, laddove – semplificando molto – dalle prime formulazioni emergeva una netta contrapposizione fra Poesia e Non poesia[9], Poesia e Letteratura[10], man mano che il pensiero del filosofo evolveva, tale profonda cesura si veniva ad attenuare. Prova ne sia, ad esempio, il progetto sotteso alla nota e fortunata collana Laterza degli «Scrittori d’Italia», fondata nel 1910 proprio da Croce[11]: sia nei Criteri direttivi[12] della serie sia nel volume che inaugurava la collezione, quello dedicato ai Lirici marinisti e curato da Croce[13], infatti, veniva riconosciuto ai versi dei seguaci di Marino un valore documentario di testimonianza civile indipendente dal loro pregio estetico, non sempre all’altezza di quello del modello cui s’ispiravano; ad ogni modo, ne veniva valorizzata l’utilità in quanto documentazione erudita sulle peculiarità, le mode e i gusti letterari dell’epoca. Questa impostazione avrebbe trovato la definitiva consacrazione nel meraviglioso volume del 1936, nel quale alla Letteratura (in prosa[14] e in versi, contrapposta alla Poesia in prosa e in versi) veniva riconosciuta una nobile funzione civile[15].

Il primo articolo stabiliva anche che la Legge tutelava le «bellezze panoramiche», il che rientrava nell’accento sul particolare rilievo attribuito al diritto alla “visione”[16].

Ci permetteremmo, infine, di rilevare che la sensibilità attuale che ha dato il via all’istituzione dei Parchi letterari (nati – si ricordi – da un’idea di Stanislao Nievo, che desiderava preservare i resti del Castello di Colloredo di Montalbano in Friuli, dove Nievo aveva composto le sue note Confessioni) è anch’essa “figlia” di tale impostazione: nel 2009 l’istituzione e il coordinamento dei parchi letterari sono passate alla Srl Paesaggio Culturale Italiano, che si è riproposta di organizzare una rete sia nazionale sia internazionale atta a fornire un’offerta turistica e culturale rispettosa dei parametri di qualità e sostenibilità fissati dalla Convenzione Europea del Paesaggio (2000), dal Piano di attuazione del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile elaborato a Johannesburg nel 2002[17], e dalle Convenzioni Unesco finalizzate alla salvaguardia, alla promozione e alla valorizzazione del patrimonio culturale (materiale e immateriale), naturale e delle espressioni della diversità culturale[18]. Tutti questi interventi legislativi rappresentano, dunque, il punto di riferimento ideale che ha dato origine all’istituzione dei vari e preziosi parchi letterari italiani e, in particolare, a quelli ora patrimonio della Regione Abruzzo: il parco dedicato a Benedetto Croce (che comprende la zona di Pescasseroli, Montenerodomo e Raiano); quello di Anversa degli Abruzzi (AQ) ispirato a Gabriele d’Annunzio; quello per Ignazio Silone a Pescina e quello ovidiano di Sulmona.

Se interroghiamo la pagina del sito Web dedicata ai parchi crociani, vi ritroviamo proprio una nota affermazione dello stesso Croce risalente alla sua esperienza legislativa dell’inizio degli anni Venti: «Il paesaggio altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della Patria, […] con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli»[19]: assai interessante l’accento posto da Croce non solo sul paesaggio come veduta, quindi, ma anche sull’attenzione alla pedogenesi, allo studio geologico – e dunque scientifico – della formazione, della composizione e dell’evoluzione del suolo, con tutto ciò che esso comporta anche per le attività umane – agricole, pastorali, industriali, turistiche, naturalistiche etc. – a esso connesse e da esso supportate.

In particolare, il Parco Letterario dedicato a Croce comprende tre luoghi-chiave del rapporto del filosofo con la propria terra: Pescasseroli, la sua cittadina natale (vi era nata anche la madre, Luisa Sipari), divenuta nel 1923 capitale del Parco Nazionale d’Abruzzo appena istituito; Montenerodomo, paese paterno in provincia di Chieti incluso, nel 1991, nel Parco Nazionale della Maiella; infine, Raiano, nella Valle Peligna, luogo legato all’amore giovanile per Angelina Zampanelli, a numerose villeggiature estive di Croce fra il 1895 e il 1913, e anche all’importante primo incontro, avvenuto nel dicembre 1901, fra il filosofo e Giovanni Laterza, incontro che avrebbe dato origine al loro intenso sodalizio, interrotto solo nell’agosto del 1943 dalla morte dell’editore pugliese.

Tornando al testo della Cosiddetta “Legge Croce”, del secondo articolo ci limiteremmo a sottolineare che allora l’ambiente era posto sotto la tutela del Ministero dell’Istruzione Pubblica, impostazione a nostro modesto avviso molto condivisibile che, purtroppo, si è persa negli anni: questa scelta sottintende la ferma convinzione che il patrimonio storico-culturale comprenda anche quello ambientale e paesaggistico, trattandosi di un fatto identitario. E trasmette al cittadino di oggi pure la misura dell’importanza che allora veniva giustamente attribuita all’istruzione e al Ministero che la regolamentava.

Dell’Articolo 4 appare opportuno mettere in evidenza quanto sia connesso con il secondo, nella rivendicazione del riconoscimento del piacere che la fruizione del paesaggio può trasmettere; nel caso di costruzioni ex novo o di ricostruzioni di immobili, infatti, la Legge si accertava che non danneggiassero «lo aspetto e lo stato di pieno godimento delle cose e delle bellezze panoramiche»: la sottolineatura, dunque, del valore della bellezza e del diritto a usufruirne senza essere disturbati da altri manufatti umani.

L’Articolo 5, infine, riporta all’attualità, nel divieto di turbare l’armonia del paesaggio con l’affissione di cartelli e altri mezzi pubblicitari che, invece, attualmente, in barba a qualsiasi regola, al decoro urbano e al buon gusto, violentano le nostre strade cittadine e anche la natura: il fatto che nel 1922 si sia avvertita la necessità di dedicare uno specifico articolo di legge a tale questione indica indirettamente che la pubblicità, nata alla fine del secolo precedente e rapidamente diffusasi anche grazie a uomini proiettati nel futuro e scaltri come Gabriele d’Annunzio, era già diventata talmente invadente e ingombrante da rappresentare un problema cui porre argine.

Un movimento europeo

Come ha notato sempre Settis, in Breve trattato del paesaggio (1997), tradotto da Sellerio, il filosofo francese Alain Roger ha rilevato intelligentemente che nel 1912 tre grandi intellettuali europei osservarono, indipendentemente l’uno dall’altro, che il paesaggio non è natura ma storia, ed è per questo che lo “vediamo” attraverso il filtro della letteratura e dell’arte. Lo scrissero in Francia il filosofo dell’arte Charles Lalo (1877-1953), in Germania il filosofo e sociologo Georg Simmel (1858-1918), in Italia Croce. Una tale sintonia di vedute si può spiegare con il fatto che tutti e tre si riferivano a un topos classico, quello secondo cui ‘la natura s’ingegna a imitare l’arte’, come si legge nelle Metamorfosi di Ovidio («simulaverat artem ingenio natura suo»: III, 158-59); ma riflette anche lo spirito del tempo di quel principio di secolo, quando i movimenti per la conservazione del paesaggio si affermarono, in tempi e modi diversi, in tutta Europa (specie in Francia, con la Legge, approvata il 21 aprile 1906 per iniziativa del socialista radicale Charles Beauquier[20], sulla «protection des sites pittoresques», premessa della futura Legge francese del 2 maggio 1930[21], volta a riorganizzare la protezione dei monumenti naturali e dei siti di carattere artistico, storico, scientifico, leggendario o pittoresco).

Il ruolo di Benedetto Croce al riguardo, comunque, non si limita alle riflessioni di un grande intellettuale: infatti, proprio a lui si deve, nel brevissimo periodo in cui fu Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Nitti, la prima legge italiana per la tutela del paesaggio di cui si è detto. E sarà bene ricordare che tale tutela del paesaggio in Italia ha rango costituzionale, poiché il nostro Paese è stato il primo al mondo a porla fra i principi fondamentali dello Stato (art. 9, comma 2: «La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»).

Altrettanto importante, nella tradizione giuridica e civile italiana, è lo stretto legame che sussiste fra tutela del paesaggio e tutela del patrimonio storico-artistico, che lo stesso art. 9 della Costituzione sancisce: se ne possono rintracciare antecedenti assai remoti, tornando indietro nel tempo fino all’ordine del Real Patrimonio di Sicilia del 21 agosto 1745, che, ad esempio, impose sia la conservazione delle antichità di Taormina sia quella dei boschi dell’attuale Parco dell’Etna.

Con il grande giurista Sabino Cassese, si può affermare che l’art. 9 della Costituzione rappresentò di fatto la “costituzionalizzazione” delle due leggi Bottai – l’una sulla Tutela delle cose d’interesse artistico o storico[22] e l’altra sulla Protezione delle bellezze naturali[23] – che furono approvate entrambe nel giugno del 1939, ma non bisogna dimenticare di aggiungere che esse furono, di fatto, la rielaborazione di due leggi dell’Italia liberale: la Legge Rava-Rosadi del 20 giugno 1909 n. 364 sulla tutela del patrimonio storico e artistico[24] e, appunto, la “Legge Croce” per la difesa del paesaggio. Queste due norme rappresentano il fondamento della cultura italiana della tutela, poi trasfusa nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (decreto legislativo del 22 gennaio 2004 n. 42, con modifiche del 2006 e del 2008)[25]. Si può, dunque, affermare senza tema di smentita che la “Legge Croce” del 1920, passando attraverso la riformulazione della legge Bottai del 1939, ha determinato l’art. 9 della Costituzione del 1948 nonché la legge vigente.

Vi si arrivò, tuttavia, attraverso un lungo processo che si concluse soltanto nel 1909, poiché si dibatté a lungo su publica utilitas e proprietà privata, per stabilire quale delle due ottiche privilegiare: infatti, sussisteva una disparità di vedute fra la tradizione “piemontese”, che attribuiva una priorità ai diritti dei privati, e quella “romana” (ma anche “toscana” e “napoletana”) che anteponeva il pubblico bene a ogni altro valore.

Si ricordi che, con la Legge n. 386 del 27 giugno 1907 (Istituzione soprintendenze antichità e belle arti)[26] era stato creato, appunto, il sistema delle Soprintendenze con speciali ripartizioni (archeologia, monumenti, gallerie e oggetti d’arte), che ebbero competenza territoriale ma furono sottoposte al Ministero dell’Istruzione. Nell’Articolo 3, la Legge equiparava di fatto sfera pubblica e privata in relazione alla conservazione e alla vigilanza dei monumenti; altri articoli interessanti, a nostro avviso: il 33, che prescrive l’ammissibilità solo dei laureati in Lettere al concorso per ispettore negli scavi e nei musei archeologici; il 35, che indica come «tema necessario d’esame la pratica della fotografia», nel concorso per disegnatori; il 74, che stabilisce che non possono essere impiegati come comandati agli uffici delle antichità e delle Belle arti dipendenti di altri uffici (tutte nette sottolineature dell’importanza del possesso di competenze specialistiche in materia come requisiti imprescindibili per svolgere un ruolo professionale di tale delicatezza e rilevanza culturale: di «funzionario che ritengano singolarmente competente» si parla, infatti, anche nell’Articolo 44).

Il fiorire di norme sulla tutela di quegli anni si spiega anche con la convinzione di molti intellettuali e parlamentari dell’epoca (fra cui Croce) che il patrimonio culturale fosse un elemento essenziale per definire e promuovere l’identità dei diversi territori e quella della nazione, in sintonia con l’educazione scolastica; il progetto era, insomma, quello di muoversi “tra scuola e custodia”.

La Legge n. 364 del 20 giugno 1909, come accennato, portò la firma del Ministro Luigi Rava, ravennate, ma deve almeno altrettanto a un altro ravennate, Corrado Ricci, che Rava nominò Direttore Generale alle Antichità e Belle Arti; al liberale lucchese Giovanni Rosadi e all’abruzzese Felice Barnabei, che era stato anch’egli Direttore Generale alle Antichità e Belle Arti. Come recita il suo Articolo 1, la Legge regolamenta «le cose immobili e mobili che abbiano interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico» e ne tutela il «pubblico godimento» (Art. 2) e la manutenzione anche da parte dei privati, pena l’esproprio (cfr. Art. 7), oltre a impedirne l’esportazione (cfr. Art. 8), che comporterebbe un «danno grave per la storia, l’archeologia o l’arte» (ibidem).

Per la precisione, si rammenti anche che il testo della successiva Legge del 1° giugno 1939, n. 1089 (Tutela delle cose d’interesse artistico o storico) parlava di «cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnografico» (Art. 1), con ulteriori differenze rispetto ai testi di legge precedenti; e che ereditava l’Articolo 1 della “Legge Croce”, modificandone il dettato in «cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere, siano state riconosciute di interesse particolarmente importante» (Art. 2) – agghiaccia il riferimento alla “storia militare”, esattamente tre mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale –; e l’Art. 5, divenuto: «sarà vietato il collocamento o l’affissione di manifesti, cartelli, iscrizioni e altri mezzi di pubblicità, che danneggiano l’aspetto, il decoro o il pubblico godimento degli immobili indicati negli artt. 1, 2 e 3» (Art. 22; le relative ammende venivano fissate nell’Art. 60). L’accenno dell’Art. 55 all’esproprio, invece, si riconnetteva maggiormente alla Legge del 1907 sulle Soprintendenze.

Da sottolineare ancora che alla Legge Rava-Rosadi n. 364 del 1909 si arrivò anche grazie a una pubblica assemblea tenuta a Firenze, il 6 dicembre 1908, e al lancio di una petizione, che raccolse ben 360 firme, fra le quali quelle di Giacomo Puccini, Pasquale Villari, Isidoro Del Lungo, Gaetano Salvemini, Adolfo Venturi, Arturo Graf, Corrado Ricci, oltre a quelle di 43 senatori e 16 sindaci. All’assemblea partecipò anche Benedetto Croce come delegato della Società Napoletana di Storia Patria: fu proprio il filosofo a proporre una mozione che venne votata per acclamazione e che, anche grazie all’emozione condivisa suscitata dal terribile terremoto di Messina (del 28 dicembre 1908), fu determinante per l’approvazione della norma.

Il vissuto traumatico di Croce e la sua attenzione all’ambiente

A proposito del terremoto, è necessario aprire una piccola parentesi per ricordare che, come ha sottolineato il fondamentale saggio di Gennaro Sasso Per invigilare me stesso. I taccuini di lavoro di Benedetto Croce[27], i preziosi Taccuini del filosofo (che registrano pazientemente i lavori svolti da Croce dal 27 maggio 1906 fino al 1950)[28] sono una fonte inesauribile di notizie sulla sua alacre attività di studioso, condotta quotidianamente senza interruzioni per decenni. Come si è tentato di mettere in evidenza in un saggio del 2005[29], furono davvero pochissimi i momenti in cui uno scoramento paralizzante gli impedì di lavorare. Essi si possono individuare, ad esempio, nei giorni terribili in cui la già citata Angelina Zampanelli, la vivace signora romagnola con cui Croce aveva vissuto per quasi vent’anni, dopo una breve e violenta malattia si spense, il 25 settembre 1913; nei giorni più cupi del periodo della Prima guerra mondiale (in particolare, durante il catastrofico 1917, segnato pure dalla disfatta di Caporetto); proprio in quelli (tra il 1920 e il 1921) in cui egli fu Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Giolitti (a causa dello sconvolgimento che l’inizio di quella nuova attività produsse nella regolarità della sua vita di studioso); in quelli seguiti, nel 1926, alla soppressione della libertà di stampa, durante i quali gli aleggiò nella mente, per un attimo, il pensiero (e quasi la speranza) della morte; in quelli della scomparsa dei più cari amici (il 7 aprile 1926, Amendola; il 26 gennaio 1940, il giovane e promettente Aldo Mautino); fino al biennio 1938-1939, il più buio della vita di Croce, gravando sull’Europa la minaccia della nuova guerra e le «malvage» leggi razziali.

Come accennato, anche la notizia del terribile terremoto di Reggio e Messina del 1908 – circa 150.000 morti, e danni enormi[30] – lo sconvolse tanto da provocare la prima, seria interruzione della sua laboriosità[31]. Tutti i carteggi contengono accenni al terremoto di Messina e alla trepidazione con cui Croce seguì l’evento, attendendo notizie dei propri cari; tra le varie epistole, sono interessanti anche alcune lettere scambiate con Karl Vossler[32]. Ovviamente, l’impatto negativo che tale tragedia produsse nell’animo di Croce venne amplificato dalla primigenia, catastrofica esperienza da lui vissuta la notte del 28 luglio 1883, a soli 17 anni, durante il terribile terremoto di magnitudo 5.8 di Casamicciola, nel quale perse i genitori e la sorella Maria (il sisma fece circa 2000 vittime), rimanendo in prima persona ferito e claudicante a vita: segnato per sempre nel corpo e nello spirito, indelebilmente[33].

In occasione del nuovo sconvolgimento tellurico di magnitudo 3.9 (ma percepito quasi fosse di magnitudo 6, a causa dell’area molto ridotta, di soli 2 chilometri) accaduto recentemente a Ischia – a Casamicciola Terme, il 21 agosto 2017 –, sono apparse varie testimonianze, a mezzo stampa e televisive, nelle quali si sottolineavano svariate analogie fra i due eventi catastrofici del 1883 e del 2017[34], evidenziando alcuni errori commessi peccando di superficialità e di miopia: ci è parso, dunque, inevitabile pensare che probabilmente Croce fosse particolarmente sensibile al tema del paesaggio anche perché, nella sua esperienza di vita, la rovina (in senso etimologico, ruina) del paesaggio aveva coinciso anche con la perdita di persone care, provocando un vuoto che non sarebbe mai stato colmato del tutto in futuro. Pertanto, la tutela dell’ambiente e la difesa delle bellezze paesaggistiche da abusivismo, pubblicità aggressive e degrado con buona probabilità poteva rappresentare, nei suoi auspici, una forma di prevenzione atta a scongiurare che accadessero ancora tragedie simili a quella ischitana, sempre amplificate dall’imprudente e scorretta gestione del territorio da parte dell’uomo.

Ci si permetta, infine, di rilevare che, alla luce della lettura del testo della già citata Legge del 1907 sulle Soprintendenze – nella quale non sfugge l’alternanza dei verbi “vigilare” (ad es., nell’Art. 3) e “invigilare” (negli articoli 17, 22 e 42) e relativi campi semantici –, ci si potrebbe domandare quanto quel lessico abbia influito anche sulla “nota diaristica” crociana dei Taccuini (l’arcaismo «invigilato» viene adoperato, ad esempio, il 31 gennaio 1939) ricordata da Sasso nel titolo del proprio illuminante saggio del 1989[35], considerando che i suddetti Taccuini di lavoro registrano eventi della vita intellettuale di Croce dal 1906 al 1950. In tal caso, infatti, alla luce di quell’interessante spia linguistica, potrebbe essere lecito interpretare il suo “invigilare me stesso”, oltre che come “autosorveglianza”, anche come una sorta di “autotutela”.

L’apporto di Corrado Ricci

Si è, in precedenza, fatto cenno all’imprescindibile apporto anche di Corrado Ricci al dibattito dell’epoca. In un articolo uscito su «Emporium» nel 1905, Ricci aveva posto l’accento su tre questioni significative di quegli anni: il progetto dell’apertura di una nuova porta nelle mura di Lucca (scongiurato anche grazie al parere negativo e all’influenza sull’opinione pubblica di Carducci, Pascoli e d’Annunzio) e le minacce all’integrità paesaggistica e ambientale della cascata delle Marmore e della pineta di Ravenna. Proprio da quelle battaglie ebbe origine la Legge 411 del 1905 Per la conservazione della Pineta di Ravenna, la prima legge paesaggistica d’Italia che indicava nell’importanza storica del sito (in relazione a Odoacre, Teodorico, Dante, Byron, Garibaldi etc.) una ragione più che sufficiente per la sua salvaguardia.

Di questa e di altre battaglie resta ampia traccia nel ricchissimo Carteggio Croce-Ricci, uscito per il Mulino nel 2009: la corrispondenza tra Benedetto Croce e Corrado Ricci si estende per un arco temporale di quasi 38 anni, dal 26 ottobre 1890 al 27 maggio 1928 e – nel volume curato da Clotilde Bertoni per l’Istituto di studi storici di Napoli – consta di 561 missive. Come viene illustrato nella Nota al testo del volume, sono state inserite nel carteggio, oltre alle lettere private dei corrispondenti, alcune comunicazioni «di carattere ufficiale e di forma impersonale e paludata»[36] che i due si scambiarono soprattutto nei periodi in cui Ricci fu alla Direzione generale di antichità e belle arti (1905-1919) e Croce al Ministero della Pubblica Istruzione (1920-1921). L’intesa tra Croce e Ricci si risolse più sul piano pratico e dell’azione che su quello dei principi, provenendo Ricci dall’ambiente positivista che Croce, com’è noto, in gran parte criticava e cui si contrapponeva; nonostante ciò, il punto di contatto più evidente tra i due corrispondenti è la tenacia che li accomunò nel portare avanti battaglie civili che entrambi reputavano di grande importanza. Fra le tante occasioni in cui il loro congiunto impegno fu rivolto a vantaggio della collettività, sono da ricordare le battaglie: per un’accorta gestione del Museo nazionale di Napoli e il riordinamento della suddetta Pinacoteca, per il consolidamento della chiesa partenopea della Croce di Lucca (lettera 377 etc.), per la valorizzazione del sepolcro di Giacomo Leopardi (346), in favore della chiesa di Santa Maria alle Grazie a Caponapoli (358 etc.), per l’acquisizione da parte del Museo di S. Martino della raccolta di quadri del pittore Giuseppe Cammarano (367-368, 375-376), per la salvaguardia del Colosseo da una serie di interventi inopportuni volti a ospitarvi una stagione di concerti di lirica (540); e, inoltre, contro la deturpazione della piazza di San Domenico maggiore e il taglio del Palazzo Casacalenda di Napoli (378, 394 etc.), e contro la devastazione delle querce del chiostro dell’ex monastero di San Marcello, allora proprietà della Regia Università di Napoli (462-463) etc. Questo per ricordare brevemente che la formulazione della Legge del 1922 non fu l’unico intervento di Croce in favore del patrimonio storico-culturale nazionale.

La battaglia per l’approvazione della Legge del 1922

Del dibattito che si svolse negli anni trascorsi fra le due leggi del 1909 e del 1922 appare opportuno ricordare anche gli interventi del calabrese Luigi Parpagliolo, alto funzionario ministeriale secondo il quale bisognava estendere l’ambito di tutela della Legge Rava-Rosadi del 1909, includendovi anche «l’aspetto delle città storiche, gli spazi liberi che circondano le grandi città», e inoltre elementi dell’ambiente e della tradizione popolare.

Non si dimentichi neppure che, negli stessi anni, si cominciava anche a discutere della possibile istituzione di parchi nazionali, sul modello americano e di alcuni paesi europei, come la Svezia e la Svizzera. E non si trascuri l’impulso decisivo dato alla Legge del 1922 da Francesco Saverio Nitti, che istituì per regio decreto (n. 1792/1919) un Sottosegretariato alle Antichità e Belle Arti che avrebbe anticipato il Ministero dei Beni Culturali creato quasi sessant’anni dopo.

Il disegno di legge sul paesaggio venne redatto nel marzo del 1920 e toccò a Benedetto Croce, senatore dal 1910 e Ministro della Pubblica Istruzione dal giugno 1920 al luglio 1921, presentarlo in Senato il 25 settembre 1920; ne ottenne l’approvazione il 31 gennaio 1921, trasmettendolo alla Camera il 17 febbraio, ma, dopo le elezioni anticipate del 15 maggio 1921, dovette ripresentarlo il 15 giugno 1921. I suoi successori alla Pubblica Istruzione, Orso Mario Corbino (governo Bonomi) e Antonino Anile (governo Facta), portarono a compimento l’iter.

La relazione introduttiva dal titolo Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, presentata da Croce al Senato il 25 settembre 1920, partiva dal presupposto che fosse «cosa ormai fuori da ogni dubbio» che «una legge in difesa delle bellezze naturali d’Italia fosse invocata da più tempo e da quanti uomini colti e uomini di studio vivono nel nostro Paese». Il Senatore rammentava pure la convinzione con cui, già nel governo precedente, il presidente Nitti aveva affermato che la tutela delle «maggiori bellezze d’Italia, quelle naturali e quelle artistiche», rispondeva ad «alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia» (passaggio assai efficace e attuale).

Alludendo fra le righe alla celebre formula secondo la quale il paesaggio è “il volto amato della Patria”, in quegli anni spesso attribuita erroneamente a John Ruskin, Croce in seguito comunque lo nominava quale iniziatore del movimento europeo in difesa della natura e del paesaggio, quando nel 1862 «sorse in difesa delle quiete valli dell’Inghilterra minacciate dal fuoco strepitante delle locomotive e dal carbone fossile delle officine». Nella Relazione di Croce, dunque, l’urgenza della salvaguardia del paesaggio veniva basata sulla sua affinità con il patrimonio artistico nel fondare l’identità nazionale, e legittimata mediante paralleli con le altre nazioni civili europee dell’epoca. Inoltre, il riferimento alle vedute e ai panorami presentava il vantaggio giuridico sia di assimilare il paesaggio a un quadro, categoria di beni già tutelata dalla norma del 1909, sia di collegare la nuova legge al principio della protezione delle vedute (aspectus, prospectus) assai radicata nel diritto romano e nei citati rescritti del Re di Napoli.

L’apporto di Parpagliolo

Si è citato, in precedenza, anche Luigi Parpagliolo: al riguardo si rimanda a un interessante saggio di Lorenzo Arnone Sipari dal titolo La storia «civile» in rapporto alla conservazione della natura. Il dibattito Croce-Parpagliolo sulla legge per le bellezze naturali del 1922, uscito nel febbraio 2017 su «Diacritica»[37]. In questo intervento si sottolinea sempre il ruolo di primo piano avuto da Croce in favore della causa del primo movimento della conservazione della natura; ma vi si ribadisce pure che, in realtà, le origini di quellʼimpegno vanno collocate anche nel quadro dei contributi apparsi nel periodico «Napoli Nobilissima», e in particolare nel decennio 1892-1902, in cui egli svolse un’incisiva attività di denuncia dello stato di degrado in cui versavano beni archeologici, artistici, urbanistici e ambientali.

Come sottolinea Arnone Sipari, proprio Parpagliolo testimonia che Croce intervenne «profondamente» sul testo della Legge, prima della sua formale presentazione[38]. I due, sebbene non fossero legati né da una particolare amicizia né da un sodalizio intellettuale profondo, furono di certo concordi nel sostenere la costituzione del Parco Nazionale dʼAbruzzo: Croce tramite la pubblicazione della monografia su Pescasseroli[39], e Parpagliolo mediante la stesura di vari articoli; dal 1923, inoltre, questi fu vicepresidente del relativo Ente autonomo presieduto da Ermino Sipari[40], cugino di Croce. La Difesa delle bellezze naturali dʼItalia di Parpagliolo, uscita dopo la “Legge Croceˮ e i decreti istitutivi dei parchi nazionali del Gran Paradiso e dʼAbruzzo (datati 3 dicembre 1922 e 11 gennaio 1923), è – sempre secondo il parere di Arnone Sipari – una fonte preziosa, assieme alla cosiddetta Relazione Sipari[41] del 1926, proprio per ricostruire la genesi della Legge del 1922 e l’apporto fattivo e decisivo di Croce.

Il Discorso di Pescasseroli

Si è appena fatto cenno alla monografia crociana su Pescasseroli del 1922: si può affermare, però, che la sua celebre chiusa, in cui Croce s’interrogava sull’avvenire del paese natìo, fosse stata anticipata dal noto Discorso di Pescasseroli[42], un sentito ricordo che Croce volle dedicare alla propria terra nel giorno del suo primo “ritorno a casa”, il 21 agosto 1910, secondo alcune fonti parlando dal balcone di Palazzo Sipari[43].

Se ne isolano tre brevi passi, peraltro molto evocativi:

Quantunque io non abbia, prima di questi giorni, percorso materialmente la via che conduce a questo paese, l’ho percorsa infinite volte con la fantasia; e quantunque ora per la prima volta abbia contemplato la casa dei miei progenitori materni, la piazza, la chiesa, i ruderi del castello, li avevo già visti molte volte come in sogno.

[…] Ed eccomi ora qui, che ho toccato il fantasma del sogno, e mi trovo anche materialmente in mezzo a voi. E voi vorrete sapere quale impressione io ora provi e se la realtà superi il sogno o se il sogno di prima superasse la realtà. Ed io vi risponderò che ancora una volta ho fatto l’esperienza, sopra me stesso, che il sogno è buono e la realtà è altrettanto (se pur diversamente) buona; che l’uomo è costituito di sogno e di realtà, di immaginazione e di azione, e l’una deve rafforzare l’altra e non sostituirsi all’altra, come suole negli spiriti, o grossolani, che non sognano mai, o fiacchi, che sognano sempre.

[…] La vostra piccola città, se volete saperlo, mi è parsa più bella, più ampia, più gaia, e (perdonatemi) più civile di come io la vagheggiavo; e tutt’altro che divisa dal mondo, perché qui, come si sente dai vostri discorsi, voi vivete del tutto affiatati con la vita italiana e moderna; e, anzi, è evidente che Pescasseroli, nome noto a così pochi per il passato (quantunque sia segnato nella geografia che il savio arabo Edrisi scrisse per Ruggero re di Sicilia), diverrà, fra non molti anni, familiare a tutti, come sono familiari i nomi dei villaggetti svizzeri; perché qui converranno, e da Roma e da Napoli e da ogni parte, i villeggianti e gli escursionisti.

Come emerge soprattutto dall’ultimo brano, Croce auspicava la realizzazione di un «modello di area protetta che si fondasse, come elaborato in anticipo sui tempi dal cugino Sipari, sull’intreccio tra tutela ambientale e sviluppo turistico; modello, questo, che era ben lungi dall’avallare una qualsivoglia devastazione della natura. Non a caso Pescasseroli usciva in contemporanea con la definizione degli atti relativi all’inaugurazione del Parco Nazionale d’Abruzzo avvenuta, per iniziativa privata, il 9 Settembre 1922»[44].

Ancora, si potrebbe ricordare al riguardo una relazione di Luigi Piccioni dal titolo Benedetto Croce e Pescasseroli tenuta proprio a Pescasseroli il 25 agosto 2007, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Benedetto Croce dalla Costituente alla nascita della Repubblica 1943-1948”. In essa si ipotizza che, se non fosse stato convinto da Erminio Sipari, probabilmente neanche nel 1910, pur trovandosi nella vicina Raiano, Croce sarebbe andato a Pescasseroli. Il fatto che Croce avesse accettato l’insistente invito del cugino può essere spiegato, dunque, con il desiderio di rendere omaggio alle proprie radici ma soprattutto con la volontà di sostenere la carriera politica di Erminio. Infatti, Sipari legò indissolubilmente la propria fama a quella del Parco Nazionale d’Abruzzo, istituito principalmente per suo merito tra il 1922 e il 1923 e poi da lui diretto fino al 1933. In quest’opera per il Parco, e quindi per Pescasseroli e per la Valle, Croce gli fu sempre accanto; e si adoperò anche, tra il 1947 e il 1951, per la ricostituzione dell’Ente Autonomo del Parco Nazionale d’Abruzzo.

L’apporto originale di Lorenzo Arnone Sipari sull’argomento non si limita, però, ai fondamentali saggi citati in precedenza: un altro contributo assai prezioso è uscito sempre su «Diacritica» proprio nel febbraio 2022: La monografia di Pescasseroli come storia etico-politica[45]. Un passaggio di questo intervento che ci appare molto utile perché si viene a intrecciare bene con quanto espresso in precedenza è quello che connette l’«immagine» della madre, Luisa Sipari (1838-1883), alla stessa monografia Pescasseroli, rilevando come entrambe siano accomunate dallo struggente riferimento alla tragedia famigliare del terremoto di Casamicciola. In una nota dell’8 ottobre 1921 con la quale il filosofo restituiva gli scritti dello zio, Francesco Saverio Sipari, utilizzati per la stesura del saggio sul paese natale, egli confessava, infatti, di non aver «osato ripigliare e riguardare prima» quelle carte, che conservava fin dal 1883, proprio perché erano rimaste «sepolte a Casamicciola»[46].

Sipari ricostruisce accuratamente la genesi della monografia[47], ricordando che la fase della composizione interessò principalmente l’autunno del 1921. E rammenta pure che nel 1925 il saggio venne collocato, unitamente a quello dedicato a Montenerodomo (1919), in appendice alla prima edizione della Storia del Regno di Napoli. Con questa nuova veste, sotto il titolo unitario di Due paeselli d’Abruzzo, i due scritti[48], da storia famigliare e intima, da “storia domestica”, assurgevano alla dignità della storia civile ed etico-politica.

E su questa “storia civile” si chiude il cerchio, perché torniamo esattamente al testo dell’Articolo 1 della “Legge Croce” di cento anni fa.

  1. Si propone la prima parte del testo della Conferenza tenuta il 19 agosto 2022 presso la Biblioteca “Benedetto Croce” di Pollone (Biella), su invito della dottoressa Marta Herling, Segretario generale dell’Istituto di Studi Storici di Napoli, e della dottoressa Maria Ametis, Vicepresidente della Biblioteca Croce, in occasione delle Celebrazioni per i 70 anni dalla scomparsa del filosofo. Si ringrazia anche Filippo Testa per il decisivo supporto all’organizzazione dell’evento.

  2. Al riguardo cfr. l’URL: http://decretiamo.blogspot.com/2010/02/i-monumenti-non-si-toccano-1822.html.

  3. Cfr. l’URL: http://decretiamo.blogspot.com/2010/02/proteggere-gli-alberi-1842.html.maggio 1822.

  4. Al riguardo si vedano almeno: G. Alisio, Napoli e il Risanamento, Napoli, Ed. Banco di Napoli, 1980; A. Wanderlingh, Storia fotografica di Napoli (1892-1921). La città prima e dopo il risanamento. Edizione illustrata, Napoli, Intra Moenia, 2005; I. Ferraro, I Quartieri bassi e il Risanamento, Napoli, Oikos, 2018; A. Nastri, Cultura architettonica e politiche urbane a Napoli dal Risanamento all’Alto Commissariato, Napoli, CLEAN, 2019.

  5. Cfr. S. Settis, Benedetto Croce ministro e la prima legge sulla tutela del paesaggio, 3 ottobre 2011: cfr. l’URL: http://www.comitato-arca.it/joomla/DOC_VARI/allegati-agli-articoli/Settis/Croce-Ca_Foscari1.pdf.

  6. Cfr. l’URL: https://www.normattiva.it/atto/caricaDettaglioAtto?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1922-06-24&atto.codiceRedazionale=022U0778&tipoDettaglio=originario&qId=&tabID=0.9893834743559851&title=Atto%20originario&bloccoAggiornamentoBreadCrumb=true. Ecco l’URL del PDF: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1922/06/24/148/sg/pdf.

  7. Si cita dalla «Gazzetta Ufficiale» n. 148 del 24 giugno 1922, che riporta una data errata.

  8. E nell’importante Memoria La storia ridotta sotto il concetto generale dell’arte, in «Atti dell’Accademia Pontaniana», a. XXXIII, 1893, Memoria n. 7.

  9. Si veda, ad esempio, B. Croce, Poesia e non poesia, in «Pantagruel», a. I, 27 marzo 1887, n. 2.

  10. Si leggano, ad esempio: B. Croce, La poesia didascalica (brano di una conversazione), in «Rassegna pugliese», a. IV, 1887, pp. 52-54; Id., Poeti, letterati e produttori di letteratura, in «La Critica», a. III, 1905, pp. 239-45.

  11. Al riguardo, anche per la bibliografia sull’argomento, ci si permette di rimandare a M. Panetta, Introduzione a Ead., Croce editore, Ed. Naz. Opere di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis, 2006, to. I, specie le pp. 62-95.

  12. Cfr. Scrittori d’Italia. Criteri direttivi e Catalogo della raccolta, Bari, Laterza, 1910.

  13. Cfr. M. Panetta, Croce editore, op. cit., to. I, pp. 277-82; Ead., L’edizione crociana dei Lirici marinisti del 1910, in «Diacritica», a. II, fasc. 2 (8), 25 aprile 2016, a cura di M. Panetta, pp. 13-17 (https://diacritica.it/filologia/ledizione-crociana-dei-lirici-marinisti-del-1910.html). ↑

  14. Cfr. B. Croce, La storia della letteratura come arte e la “prosa”, in «La Critica», a. IV, 1906, pp. 386-89.

  15. Al riguardo si rimanda sempre a M. Panetta, Note sulla genesi del concetto di letteratura nell’estetica crociana, in Ead., Croce editore, op. cit., to. II, pp. 763-69.

  16. Al riguardo si rivela sempre suggestivo M. Marangoni, Come si guarda un’opera d’arte, Milano, Treves, 1938 (lettura consigliataci in anni universitari da Mario Scotti).

  17. Cfr. l’URL: https://www.arpa.veneto.it/servizi/educazione-per-la-sostenibilita/file-e-allegati/documenti/internazionali/allegato_142-joannhesburg.pdf/@@display-file/file.

  18. Cfr. l’URL: https://www.mase.gov.it/pagina/convenzioni-unesco-lambiente-e-la-biodiversita.

  19. Cfr. l’URL: https://www.parchiletterari.com/parchi/benedetto-croce/index.php.

  20. Cfr. Barbe Noël, Charles Beauquier (1833-1916): una figura nella protezione dei siti… e tante altre cose, in «Le Jura français», n. 299, 2013, pp. 11-16.

  21. Si legge all’URL: https://www.legifrance.gouv.fr/jorf/id/JORFTEXT000000312974.

  22. Cfr. la Legge 1° giugno 1939, n. 1089, uscita nella «Gazzetta ufficiale» n. 184 dell’8 agosto 1939 e che si legge all’URL: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1939/08/08/184/sg/pdf.

  23. Cfr. la Legge 29 giugno 1939-VII, n. 1497, uscita nella «Gazzetta ufficiale» n. 241 del 14 ottobre 1939 e che si legge all’URL: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1939/10/14/241/sg/pdf.

  24. Uscita sulla «Gazzetta Ufficiale» del 28 giugno 1909, n. 150, e che si legge all’URL: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1909/06/28/150/sg/pdf (da p. 5 a p. 9).

  25. Si legge all’URL: https://www.gazzettaufficiale.it/dettaglio/codici/beniCulturali.

  26. Si legge all’URL: https://www.archeologi-italiani.it/wp-content/uploads/2021/05/LEGGE-27-Giugno-1907-n.-386.pdf.

  27. G. Sasso, Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Benedetto Croce, Bologna, Il Mulino, 1989.

  28. Napoli, Arte tipografica, 1987.

  29. Cfr. M. Panetta, Croce e la catastrofe. Gli scenari apocalittici dei terremoti di Casamicciola e Reggio, in Apocalissi e letteratura, n. 15 di «Studi (e testi) italiani», a cura di I. De Michelis, 2005, pp. 155-71.

  30. Cfr. G. Boatti, La terra trema. Messina 28 dicembre 1908. I trenta secondi che cambiarono l’Italia, non gli italiani, Milano, A. Mondadori, 2004. Simile il titolo del recente romanzo Einaudi sull’argomento a firma di Nadia Terranova, Trema la notte (2022).

  31. Taccuini di lavoro registrano queste osservazioni, al riguardo: 29 dicembre 1908: «Angosciato dalla notizia del terremoto di Messina e dall’incertezza sulla sorte di parecchi amici che sono colà. Ho telegrafato a Palermo e a Catania e ho scritto lettere; ma non so quando avrò risposta. Mi è stato impossibile far nulla nella giornata. Ho passato alcune ore a letto» (vol. I, p. 139); 30 dicembre 1908: «Stamane continua l’angoscia. Non ricevo notizie» (ivi, p. 140); 31 dicembre 1908: «Con la morte nel cuore, non avendo finora ricevuto nessuna notizia e nessuna risposta ai telegrammi e alle lettere, continuo, sforzandomi di concentrarmi nel lavoro, a scrivere la Logica» (ibidem).

  32. Carteggio Croce-Vossler. 1899-1949, a cura di E. Cutinelli Rèndina, Napoli, Bibliopolis, 1991, pp. 119-20, XCIV, Croce a Vossler, Napoli, 5 gennaio 1909: «Non ti ho scritto in questi giorni perché il disastro di Messina ci ha gettati nell’angoscia e nel lutto. Avevo tanti amici colà! Qualcuno si è salvato, come il Lombardo Radice; altri, come il Salvemini, vi ha perduto tutta la famiglia, e fa temere per la sua ragione; il povero Fusco, di cui tu hai recensito il libro sul Castelvetro, sembra sia restato sotto le macerie: tutte le ricerche, che ne sono state fatte fare da me, sono riuscite vane. E per me la perdita del Fusco è come quella di un figlio. Ma i dolori privati sono accresciuti dai dolori pubblici, e veramente non par cosa dei nostri tempi l’assistere alla sparizione di una grande città come Messina». E ancora si veda la lettera XCV, Vossler a Croce, Heidelberg, 9 gennaio ’909: «Temevo forte che tu avessi amici e parenti fra i morti di Messina. Ora vedo che ne hai anche più di quel che temevo. Sono stato molto coi miei pensieri intorno a quella inconcepibile catastrofe; e credimi che prendo sinceramente parte alla disgrazia tua e del tuo paese. Almeno se ne cavasse poi la fortuna di una nuova sistemazione economica del Mezzogiorno. Poiché se non se ne cava nulla, resta un fatto bruto o uno stupido e feroce arbitrio della natura – e chi potrà mai consolarsene? E il Barbi e il Restori son salvi?» (ivi, p. 120).

  33. Si rimanda ancora al saggio precedentemente citato per ulteriori approfondimenti: M. Panetta, Croce e la catastrofe. Gli scenari apocalittici dei terremoti di Casamicciola e Reggio.

  34. Al riguardo si legga: Il terremoto di Casamicciola del 1883: una ricostruzione mancata, Napoli, Alfa Tipografia, 2006.

  35. Cfr. G. Sasso, Per invigilare me stesso…, op. cit., p. 297.

  36. Carteggio Croce-Ricci, a cura di C. Bertoni, Bologna, il Mulino, 2009, p. CXCV.

  37. Cfr. l’URL: https://diacritica.it/filologia/la-storia-civile-in-rapporto-alla-conservazione-della-natura-il-dibattito-croce-parpagliolo-sulla-legge-per-le-bellezze-naturali-del-1922.html.

  38. L. Parpagliolo, La difesa delle bellezze naturali dʼItalia, Roma, Società editrice dʼarte illustrata, 1923, p. 49.

  39. B. Croce, Pescasseroli, Bari, Laterza, 1922. Al riguardo cfr. anche L. Arnone Sipari, Gli inediti di Benedetto Croce nellʼArchivio Sipari di Alvito, in «LʼAcropoli», V, 2004, n. 3, pp. 309-19.

  40. Al riguardo si vedano almeno: L. Piccioni, Erminio Sipari. Origini sociali e opere dellʼartefice del Parco Nazionale dʼAbruzzo, Camerino, Università di Camerino, 1999; e Scritti scelti di Erminio Sipari sul Parco Nazionale d’Abruzzo (1922-1933), a cura di L. Arnone Sipari, Trento, Temi, 2011, pp. 305-10.

  41. Ovvero E. Sipari, Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio dellʼEnte Autonomo del Parco Nazionale dʼAbruzzo alla Commissione amministratrice dellʼEnte stesso, nominata con Regio Decreto 25 marzo 1923, Tivoli, Maiella, 1926.

  42. B. Croce, Il discorso di Pescasseroli, in Id., Due paeselli dʼAbruzzo: Pescasseroli e Montenerodomo, a cura dei Comuni di Pescasseroli e di Montenerodomo, Raiano, Centro Stampa GraphiType, 1999 (anche in ristampa anastatica, Raiano 2022), pp. 17-20.

  43. B. Croce, Il discorso di Pescasseroli, pubblicato per la prima volta nel fasc. 1-2/1966 della «Rivista Abruzzese» e ristampato nel volume La lunga guerra per il Parco nazionale d’Abruzzo (Quaderni di Rivista Abruzzese, 24), Lanciano 1998, pp. 15-18. In realtà, Croce non precisa, nelle proprie note, dove tenne il suddetto Discorso.

  44. L. Arnone Sipari, Il percorso di Croce all’ecologia liberale attraverso le radici familiari, in Croce tra noi. Due giornate di studio, Pescasseroli-Università degli Studi di Cassino, 3-4 giugno 2002, Atripalda, Mephite, 2003, pp. 25-37.

  45. Cfr. l’URL: https://diacritica.it/filologia/la-monografia-di-pescasseroli-come-storia-etico-politica.html.

  46. Cfr. L. Arnone Sipari, Gli inediti di Benedetto Croce nell’Archivio Sipari di Alvito, in «L’Acropoli», V, 2004, n. 3, pp. 309-19: 316.

  47. Ivi, p. 314. Ma si veda anche L. Arnone Sipari, Benedetto Croce e la monografia su Pescasseroli dall’Archivio Sipari di Alvito, in «Rivista Abruzzese», LI, 1998, n. 4, pp. 309-14.

  48. B. Croce, Due paeselli d’Abruzzo: Pescasseroli e Montenerodomo, op. cit.

(fasc. 47, 25 febbraio 2023)