[…] metodologicamente le innovazioni dei minori
hanno un significato di virtualità rispetto alla
grande corrente della vita letteraria
(G. Contini)[1]
C’è la Bibbia in tedesco ed in latino,
Con le Mille e una Notte e il Pecorone;
c’è con l’Emilio, l’Imitazione,
ci sono l’opre di Pietro Aretino
(A. Graf, La notte di Natale)
A metà del XIX secolo l’interpretazione wagneriana del mito dei Nibelunghi segnò certamente un punto di svolta nella storia complessiva della ricezione della materia nibelungica, laddove Wagner la scelse come argomento dell’opera alla cui stesura dedicò più di un quarto di secolo, caricandola del valore di suo vero e proprio «diario spirituale»[2]. Una grande opera totale come quella wagneriana non poteva che agire da catalizzatrice delle varie istanze ricettive di questo mito medievale germanico, arrivato in Italia nel 1839 tramite la traduzione, accompagnata da alcune note, delle avventure I e XVII del Canto dei Nibelunghi a opera di Giovanni Battista Bolza[3].
Nel 1847 la «Rivista Europea», importante periodico della stampa liberale lombarda il cui programma era tutto teso a istituire rapporti sempre più stretti con la cultura europea, ospitò il primo saggio interamente dedicato ai Nibelunghi: il marchese Guerrieri-Gonzaga[4], letterato e traduttore dal francese e dal tedesco, ne era l’autore. Profondamente ispirato al pensiero di Giovan Battista Vico, Gonzaga infatti fu il primo «a non considerare nella serie successiva de’ fatti le diverse nazioni in faccia ad una accidentale e mutabile condizione politica, sibbene in faccia ad una legge più universale e più costante per la quale tutte cospirano a un termine», valorizzando il contributo germanico allo sviluppo della cultura europea e occidentale tout court.
Frequenti i riferimenti ai Nibelunghi nella cultura italiana alta della prima metà dell’Ottocento, nonostante sembri trattarsi ancora di un patrimonio non direttamente acquisito anche per ragioni prettamente linguistiche: spesso le opere in lingua tedesca, anche quelle contemporanee come la tragedia goethiana sul Faust, altro caso esemplare dei rapporti tra cultura italiana e germanica, venivano inizialmente lette dai letterati italiani in traduzione francese, data la scarsa conoscenza del tedesco in Italia nel secolo XIX.
Una temperie romantica, dunque, quella in cui la materia nibelungica entrò nella cultura italiana, temperie in cui alla valorizzazione della cultura popolare e medievale si accompagnò la più generale curiosità per la cultura nordica europea, complice la De Staël, e che vide convivere le spinte risorgimentali e riformiste con gli intenti di tutt’altro tenore da parte della politica culturale austriaca nel Lombardo-Veneto[5].
Nel 1876 uscì il primo numero della «Rivista internazionale» di Firenze, che apriva con un saggio del germanista di Rostock K. Bartsch dedicato ai Nibelunghi[6] in cui la componente popolare alla genesi del poema occupa un ruolo centrale nell’interpretazione del poema stesso, considerato «patrimonio collettivo frutto della spiritualità e dell’attività di un intero popolo»[7]. Da quel momento in poi, con rarissime eccezioni, questo sarebbe stato il motivo-guida della critica italiana in merito: i Nibelunghi come Volkspoesie che, radice profonda della cultura germanica, contiene in sé elementi universali[8]. In seguito la critica italiana li avrebbe intesi come «epos nazionale del popolo tedesco»[9].
Il «doppio regime d’invenzione»[10] scelto da Wagner nella composizione della sua tetralogia riscopriva, accanto alle figure solitarie degli eroi assoluti, lo sfondo delle narrazioni mitiche che, com’è noto, rivalorizzano l’intera tradizione medievale nordica, in linea con «la spinta del nuovo spirito nazionale e della ricerca romantica delle fonti[11] e delle origini»[12]. Eppure Wagner, in questo recupero, proponeva un’inedita attualizzazione del materiale nibelungico che rifletteva sulla potenza corruttrice del denaro e «sul potere come antitesi alla libera volontà dell’uomo»[13]. Ancora una volta, dunque, il mito dei Nibelunghi, pur conservando le proprie radici nordiche e germaniche, parlava a tutti e di tutti; e riusciva altresì a parlare del mondo contemporaneo, quello dell’Europa in rivolta del 1848 in cui Wagner concepì la tetralogia.
Proprio quando Wagner si gettava nell’attività politica, iniziò la stesura in prosa di un abbozzo, La saga dei Nibelunghi. Mito, e di una prima versione poetica del dramma Morte di Sigfrido. Il concepimento della tetralogia nacque negli anni seguenti, tra il 1851 e 1852[14] “a ritroso”, come spiegazione della conclusiva, necessaria morte dell’eroe. Il mito in Wagner risulta funzionale a comprendere meglio il dramma interiore dell’uomo; Wagner «non celebra la mitologia germanica per sé stessa, non restaura il mito, ma ne illustra la fine; non glorifica, smantella; fin dal principio c’è la luce di crepuscolo»[15]. L’anello dei Nibelunghi wagneriano nacque come tetralogia della fine di un’epoca, l’epoca borghese e capitalista che Wagner nel 1848 sosteneva dovesse terminare, essere superata come anche andava superato, in arte, il genere più rappresentativo di quell’epoca ossia il melodramma tradizionale.
Sulle prime, la cultura musicale italiana[16] mostrò qualche difficoltà a intendere pienamente la rivoluzionaria proposta wagneriana, dato che a metà Ottocento «la struttura dell’opera italiana era ancora articolata in “pezzi chiusi” […] malgrado la crescente importanza dell’orchestra, il centro dell’opera italiana restava il “canto”: una vicenda, un teatro di voci»[17]. In realtà, già dagli anni Trenta del secolo c’era chi, come Mazzini, si stava interrogando sulla necessità di una letteratura europea che aprisse a una riforma radicale delle arti, in un connubio auspicato tra musica e letteratura che sembra trovare proprio in Wagner un’attuazione piena: «Verrà un tempo in cui la musica avrà incrementato alla propria potenza tutte le potenze drammatiche accolte in uno spettacolo. So che l’educare un pubblico all’artista è lavoro più lento, e difficile a noi, che alla natura cacciare un genio»[18]. E il pubblico, appunto, avrebbe avuto bisogno di tempo per comprendere pienamente l’arte wagneriana.
Quando Wagner, dopo più di un quarto di secolo dalla prima ideazione dell’opera, si trovò a scrivere la musica per la quarta parte del suo lavoro, decise di parlare la lingua del mondo di cui cantava il crepuscolo:
dopo aver composto lavori di estremo radicalismo come Die Walküre o Tristan, Wagner mette in musica la Götterdämmerung […] rispettando una gran parte degli input strutturali che il suo vecchio testo gli forniva. Decise […] di restare fedele a quella sua idea formale di vent’anni prima, […] lo fece precisamente perché aveva bisogno, qui, di un’opera e della sua peculiare drammaturgia[19].
Se Die Walküre era costruita sullo schema della tragedia classica e il Siegfried su quello della fiaba, il Götterdämmerung aveva come modello strutturale proprio quello dell’opera classica: un mondo crudele in cui l’eroe idealista, coraggioso e puro, e per questo fragile e destinato a soccombere, sempre rappresentato dal registro del tenore, viene schiacciato dalla forza del potere e della realtà iniqua e corrotta.
Le forme musicali del Götterdämmerung sono quelle dell’opera ottocentesca, perché quella era, per Wagner, la forma musicale della società al crepuscolo. La trappola in cui Siegfried cade, infatti, è fatta di duetti e di terzetti; solo dopo la sua morte, e la marcia funebre a lui dedicata, Wagner sentì di poter parlare un’altra lingua: «ciò che segue – redenzione finale attraverso la distruzione – appartiene a un altro piano estetico-drammaturgico, quello dell’utopia»[20].
Alla fine del XIX secolo, dunque, il mondo letterario e quello musicale in Italia, come nel resto d’Europa d’altronde, si divisero tra wagneriani e antiwagneriani: prima ancora che le opere del compositore tedesco fossero rappresentate sul suolo italiano, diatribe sul valore delle sue proposte artistiche erano già da tempo accese sulle pagine di molti giornali, non solo specialistici: inoltre, «già nel 1842 erano apparsi sulla “Gazzetta musicale di Milano” edita da Ricordi, scritti dello stesso Wagner in cui si difendeva il patrimonio di tradizioni, leggende e miti della germanità»[21].
Ma quando avvenne il contatto diretto del pubblico italiano con l’opera wagneriana?
La prima opera wagneriana rappresentata in Italia è stata il Lohengrin nel 1871[22], al Teatro Comunale di Bologna[23], presente tra il pubblico Verdi in persona, mentre la tetralogia, rappresentata per la prima volta in modo completo a Bayreuth dal 13 al 17 agosto 1876, arrivò in Italia sul palco del Teatro La Fenice di Venezia nell’aprile del 1883: era anche la prima italiana del Götterdämmerung.
Anche a Torino l’esordio di Wagner era avvenuto con l’esecuzione, in un concerto di beneficienza presso il Teatro Vittorio Emanuele, di brani del Lohengrin[24], la «romantische Oper»: «l’accoglienza del pubblico torinese fu […] entusiasta. […] Certo non mancarono gli avversari e anche la critica fu divisa»[25]. Con il decesso del grande compositore tedesco, avvenuto a Venezia il 13 febbraio del 1883, la curiosità e l’interesse per la sua opera crebbero ulteriormente:
Fondamentale in questa direzione risultò il concerto commemorativo che, in sintonia con quanto fatto in altre città italiane, si volle organizzare anche a Torino, il 15 aprile, presso il Teatro Vittorio Emanuele: il concerto, […] portò a conoscenza dei torinesi brani affatto nuovi come il Preludio del Parsifal, il Preludio I dei Maestri cantori, la “Morte di Isotta” dal Tristano, la “Cavalcata delle Walkirie”, a fianco di brani già noti del Tannhäuser e del Lohengrin[26].
A quell’occasione risale così l’approdo in città, per così dire, dei Nibelunghi. L’intera tetralogia arrivò a maggio del 1883[27] come tappa di una tournée europea che in Italia passò per Venezia, per poi toccare Bologna, Roma, Torino, Milano e Trieste. Il successo, tra le immancabili polemiche, fu grande, anche grazie all’opera dell’organizzatore e critico musicale Giuseppe Depanis, che anticipò lo spettacolo con la presentazione della materia in quattro articoli sulla «Gazzetta Letteraria»[28], che costituiscono la base della sua «pubblicazione di propaganda» L’Anello del Nibelungo, edita da Roux con data 1896[29], ma in realtà uscita in tempo per lo spettacolo del Crepuscolo del dicembre precedente.
Proprio a Torino, infatti, presso il teatro Regio, il 22 dicembre 1895 venne organizzata la prima nazionale in lingua italiana, come a quel tempo si aveva l’uso di fare, del Crepuscolo degli Dei, tradotto da Zanardini, diretta dal giovane direttore d’orchestra Arturo Toscanini, già noto per la sua genialità quanto per la sua eccentricità[30]. In quello stesso anno aveva assunto la conduzione dell’Orchestra municipale torinese, diventando, sotto l’egida di Depanis, il direttore musicale del Teatro Regio: in quel periodo Toscanini aveva, quindi, il potere di determinare importanti scelte artistiche nella capitale sabauda, come infatti già in occasione del Crepuscolo degli dei, con cui si volle inaugurare la sua prima stagione il 22 dicembre 1895, quando «aveva preteso ed ottenuto un numero di prove decisamente maggiore del consueto»[31]. Intervenne, poi, anche nei «lavori di parziale ammodernamento che precedettero la sua stagione d’esordio, ottenendo la creazione della fossa orchestrale, che gli stava particolarmente a cuore»[32].
Il periodo di Toscanini a Torino è tutto «racchiuso fra due estremi all’insegna di Wagner, Crepuscolo degli dei e Sigfrido, che, come s’è visto, per ragioni diverse furono investiti, anche simbolicamente, di un ruolo di rilancio, di rinnovamento e di svolta»[33].
La prima italiana in traduzione del Crepuscolo costituisce quindi un evento di grande portata culturale per l’intera nazione: il quotidiano «La Stampa», in particolare, dedicò grande attenzione all’evento; già in data 5 dicembre, presentando il programma del Teatro Regio per la stagione del Carnevale-Quaresima, si scriveva con qualche orgoglio: «il Crepuscolo degli Dei di Wagner, che si rappresenta per la prima volta, in lingua non tedesca, fuori dalla Germania»[34]. Il 14 dicembre la notizia tornò nella rubrica dedicata agli spettacoli torinesi, Arti e scienze: «Le prove degli artisti dell’orchestra continuano con febbrile attività»[35]. Veniva sottolineata la difficoltà della partitura:
I professori dell’orchestra municipale della città di Torino, sotto l’energica direzione del Toscanini, ne hanno fatto una questione di onor proprio, e dimostrano nelle prove un impegno straordinario […] Alla prima del Crepuscolo assisteranno molti critici delle altre città d’Italia, essendo questa la prima volta che il Crepuscolo si rappresenta tradotto fuori dalla Germania[36].
Orgoglio municipale, di certo, di una città che era stata capitale d’Italia e che prendeva con serietà la sfida d’essere sede di questa prima nazionale; date le grandi aspettative che erano riposte in questo evento, il 21 dicembre venne presentata l’opera di Riccardo Wagner in un prologo e tre atti («o giornate, come le chiama Wagner stesso»)[37], Cenni sul dramma. L’antefatto:
Nella tetralogia wagneriana imperano due essenziali elementi: il mitologico o divino, il quale dà origine a tutta la parte meravigliosa e fantastica, e l’umano, da cui si svolge il dramma passionale: gli Dei germanici, non immortali, né onnipotenti, direttamente partecipano alle contese, alle cupidigie, agli amori, alla fatalità degli umani: nulla possono essi opporre alla catàstrofe che li incalza, e tramontano anch’essi col tramontar degli eroi[38].
Si sa che Wagner elimina gli elementi feudali e cristiani giustapposti nella composizione scritta del Canto dei Nibelunghi, e la presentazione del giornalista evidenzia gli elementi nordici in contrasto con la tradizione mediterranea greco-latina: «Al Nord intanto appare un vivido e rosso bagliore che si dilata, e s’accresce, e invade con la sinistra sua luce tutto quanto il cielo: è questo il profetato, tramonto degli Dei: è il Walhàlla intero che arde e crolla nello immenso sterminio»[39]. Ma il tributo più ampio e approfondito viene offerto l’indomani della prima, in un articolo che non intende più presentare la materia dell’opera wagneriana per renderla accessibile anche ai molti spettatori che evidentemente ci si aspettava non fossero edotti di storie nibelunghe, ma può a questo punto commentare l’arte di Wagner:
Riccardo Wagner volle essere e fu il genio germanico per eccellenza: le ispirazioni di gran parte de’ suoi poemi drammatici, e di tutta la sua musica, egli trasse dalla vecchia patria Germania, ch’egli amò […] Egli intese liberarsi da ogni tradizione e da ogni formalismo di scuola italiana o francese […]. Anche il così detto libretto d’opera, egli concepì con forma affatto nuova, e con intendimenti nuovi, filosofici e, direi, shakespeariani; caratteristica questa dei popoli nordici che mettono un poco o molto di filosofia in ogni lor genere d’arte. Altra tendenza ancora campeggia in Riccardo Wagner: l’alta sua fantasia, la potente immaginazione, l’amore del meraviglioso e del sovrumano, lo spingono a ricercare nel mondo della leggenda e del mito, gli argomenti sui quali intessere la musica: onde nelle opere del Wagner, il verista per eccellenza, appare lo strano fatto della massima verità d’espressione musicale, unita alla massima inverosimiglianza di azione drammatica. Il Crepuscolo degli Dei, l’ultima parte, e l’epilogo di tutta la tetralogia, può considerarsi quale supremo verbo artistico del gran riformatore[40].
Il parametro di giudizio è quello imperniato sul principio di contrapposizione tra cultura del nord e cultura classica mediterranea nonché sull’idea del genio riformatore:
sulla scena i cantanti declamano le parole, ed in orchestra gli strumenti commentano. […] Ma dove a me il Wagner appare soprattutto gigante si è nella strumentazione. Non pago della orchestra classica de’ suoi predecessori, egli l’aumentò di uno, di due, di più individui in ogni gruppo di strumenti, l’arricchì di strumenti nuovi, ne trasse tutti gli effetti che l’arte ed il genio possono divinare; mercé quella formidabile accolta, di suoni e di timbri, egli tratteggiò delle scene di mirabile potenza fonica, dei veri quadri alla Michelangelo ed alla Vinci[41].
Segue un commento sull’esecuzione, lodata e ammirata anche dai numerosi critici di testate soprattutto milanesi e bolognesi[42], presenti in sala; viene anche sottolineato che lo spartito, come il libretto, presentano dei tagli “sapienti” rispetto all’originale tedesco: nel complesso «quello di ieri sera fu un eccellente spettacolo e un eccellente successo. La stagione del Regio è dunque cominciata stupendamente»[43]; e prosegue con repliche del Crepuscolo, alternate con il Falsfatt verdiano, fino a tutto il mese di febbraio dell’anno successivo[44].
Sono questi anni di fine Ottocento quelli in cui si assiste in Italia alla «stagione più ricca del wagnerismo e antiwagnerismo»[45]: dopo gli interventi di Arrigo Boito[46] e Francesco De Sanctis[47], sul versante critico, arriva Gabriele d’Annunzio in testa[48], sul versante e critico e creativo, affiancato da Carlo Dossi, Giosue Carducci[49], Arturo Graf e Giovanni Pascoli[50], Federico De Roberto, Alfredo Oriani, Giovanni Papini, Enrico Thovez[51], fino a Italo Svevo. L’autore che più provò a far suoi i suggerimenti formali dell’opera totale e dei Leitmotive, sperimentando costantemente in una gara con Wagner, fu forse Gabriele d’Annunzio. E proprio d’Annunzio nel 1893 dedica tre articoli, sulle pagine della rivista romana «La Tribuna», alla difesa di Wagner dall’attacco da parte di Nietzsche[52].
Si parla, negli anni Novanta, di un vero e proprio fenomeno letterario wagneriano che caratterizza il passaggio di secolo:
la riflessione critica e/o l’elaborazione personale della poetica wagneriana e della sua espressione musicale […] costituisce il caso Wagner letterario. […] ha riguardato soprattutto quattro paesi (Francia, Italia, Germania, Inghilterra) […] possiede due facce […] in una gamma che va dall’imitazione incondizionata alla parodia feroce. […] alle forme più o meno esasperate della negazione o dell’imitazione scherzosa[53].
Fra chi volle occuparsi di Wagner e della materia nibelungica in particolare, creativamente e criticamente, troviamo anche due intellettuali e letterati dell’ambiente torinese come Arturo Graf ed Enrico Thovez: entrambi si confrontano non solo con il mito medievale dei Nibelunghi ma anche con quello moderno di Faust, manifestando il loro interesse a un dialogo con la letteratura tedesca in una prospettiva di appropriazione, rielaborazione e riforma[54].
Enrico Thovez da parte sua arriva a sostenere che Wagner «è il più grande poeta di tutti i tempi, non escluso Dante, non escluso Goethe, menti più vaste, organismi più complessi e perfetti, ma poeti minori». In una temperie tutta simbolista ed estetizzante, Thovez sembra voler affermare che l’arte più grande si trovi nell’incontro, nel dialogo tra le varie arti, tanto che in lui la creatività viene stimolata solo a contatto con il Bello delle arti tutte, del passato e del presente:
Per lavorare, per creare io ho bisogno di uscire di qui, di rinvigorire al contatto di altre correnti intellettuali la mia energia assopita. Ho bisogno di vedere gli impressionisti inglesi, di vedere le donne inglesi, la campagna inglese, il British Museum e la National Gallery, ho bisogno di sentire il Tristano e il Parsifal, l’Oro del Reno, il Siegfried e il Crepuscolo, i Troiani e la Dannazione di Faust di Berlioz, ho bisogno di veder il Lussemburgo e le scolture di Charpentier […] ho bisogno di comperare libri e libri, e stampe e fotografie e calchi di scolture greche, e acqueforti e acquerelli[55].
Thovez[56], che fu, oltre che letterato, pittore egli stesso, poi direttore della Galleria civica d’arte moderna di Torino dal 1913, considerava Wagner, accanto a Goethe, riferimento assoluto per la moderna riforma estetica da compiersi nel segno dell’unitarietà delle arti, appunto[57]. Proprio negli anni Novanta incomincia la sua collaborazione con «La gazzetta letteraria», settimanale fondato da Vittorio Bersezio nel 1877 come supplemento della «Gazzetta Piemontese», diretta allora da Giuseppe Depanis, tra i principali divulgatori di Wagner in Italia: proprio lui era stato a volere il giovane Arturo Toscanini al Regio di Torino.
A Wagner, Thovez dedica attenzione in diverse occasioni, nella sua raccolta saggistica L’arco di Ulisse[58]: tre sono gli articoli di argomento wagneriano, dei quali il primo, La leggenda di Wagner, risale al 1896, proprio l’anno successivo al grande evento della prima in italiano del Crepuscolo wagneriano, mentre gli altri sono del 1913. Nella Leggenda di Wagner, Thovez afferma che «come un corale protestante in un concerto di mandolini cattolici, la musica del Wagner pare portare per al prima volta nell’arte la poesia voluttuosa dell’amore, la poesia sacra della fede, la poesia tragica della morte»[59]. L’idea di fondo resta insomma sempre quella di un genio assoluto che offre un completamento dialettico alla nostra cultura letteraria e musicale.
Arturo Graf appartiene, invece, alla generazione precedente l’eclettico Thovez. Anche lui ha un percorso formativo sui generis, arrivando poi a occupare la cattedra di Letteratura italiana all’Ateneo torinese. Figlio di madre italiana e padre tedesco, cresce in un ambiente poliglotta, multi-religioso, internazionale; vive in diverse città europee, conduce a Napoli studi giuridici, salvo poi allontanarsi precocemente dall’avvocatura per vocazione letteraria. Graf, comparatista di formazione e wagneriano per convinzione, mostra di aver fatto propria la tradizione mitologica del canto dei Nibelunghi proprio in quegli ultimi anni Novanta in cui Wagner è approdato a Torino: nella sua raccolta di poesie del 1893, Dopo il tramonto, versi[60], compare una poesia in particolare in cui il riferimento alla saga dei Nibelunghi appare esplicito, Lo gnomo[61]. Fin dal titolo della silloge, nei temi di morte e rinascita, nella dialettica tra nordico e meridionale, luce e ombra, tutte le poesie si rifanno a un’idea apocalittica di crepuscolo assimilabile a quella dell’Anello wagneriano. Più velatamente lo stesso sonetto di apertura della raccolta, nel descrivere il tramonto, sembra suggerire la presenza di un filtro crepuscolare e incendiario di wagneriana memoria:
Muore il giorno. In un gran ravvolgimento
D’incendïate nuvole profonde,
Il sol, come un perduto astro cruento,
Nell’alto abisso traboccò dell’onde.
Di caligini un vel tacito, lento,
Sale di plaga in plaga e si diffonde:
In un vortice d’ombra e di spavento
Si sommerge ogni aspetto e si confonde.
Ma per l’etra immortal, per le incorrotte
Solitudini tue, florido cielo,
Sboccian le stelle tremole e raggianti.
E dell’anima mia, cui già la notte
Ultima ingombra d’immutabil velo,
Salgon, vibrando, a te gli ultimi canti.
La questione della dialettica fra tradizione e innovazione è certamente molto sentita da Graf, che si colloca in una sensibilità tardo-romantica e che a livello storico esprime preoccupazione per il disorientamento del periodo in cui vive e opera, ad esempio nella sua lezione La crisi letteraria, in cui afferma: «Non vi sono più regole e non vi son più modelli; l’autorità è sfatata, la tradizione è spezzata»[62]. Eppure qui propone un sonetto, misura certamente tradizionale e squisitamente italiana, esprimendo però nei versi una sensibilità decadente.
Che la sua ricerca poetica e le sue riflessioni critiche fossero fra loro permeabili è evidente, come notato da Baldacci: «l’attività scientifica non è senza connessione causale con l’attività poetica del Graf, rappresentando la prima l’impegno positivistico e la seconda l’indice della reazione, d’un insanato dissidio di fronte alla meccanica del positivismo»[63]. Sarà allora significativo scoprire che una versione parodica goliardica datata 1896 è proprio frutto del lavoro di composizione di un allievo del Professor Arturo Graf: Annibale Valentino Pastore, che sarebbe poi divenuto docente di Filosofia Teoretica presso lo stesso ateneo torinese.
Il Crepuscolo delle idee, firmato parodicamente Bombardo Cracner, pseudonimo paronomastico dietro cui si nasconde Pastore, ha come compositore della musica un altro studente, poi medico di professione, Attilio Gilbert De Winckels[64], nato in provincia di Torino, a Perosa Argentina, e autore in seguito di varie altre opere, facete e serie, tra le quali vale la pena di ricordare l’opera-ballo[65] con cui la goliardia studentesca torinese ha partecipato all’inaugurazione dell’Esposizione Nazionale due anni più tardi: La gran via Bicerina[66].
Della musica della parodia del Crepuscolo poco si conosce, eccetto il commento ampiamente positivo che ne viene proposto proprio su «La Stampa» nell’articolo del 10 febbraio, dopo la prima, seguita per giorni da repliche[67], e il cui incasso viene devoluto in beneficienza[68]. Come anche per il testo, sembra che il riferimento parodico delle musiche fosse specificamente non solo l’opera di Wagner, ma in particolare la sua messa in scena torinese; e al pubblico torinese contemporaneo si rivolgono anche le citazioni musicali di canti popolari piemontesi. Una parodia, questa, quindi, fortemente legata all’attualità locale eppure godibile, ancora oggi, nei riferimenti letterari, nei giochi paronomastici, nelle interferenze linguistiche e dialettali che presenta.
Il libretto[69], stampato con autorizzazione della Ditta Ricordi & C., riprende la copertina della versione ritmica di Zanardini edita proprio da Ricordi & C. per il Teatro Regio, inserendo anche nella grafica, apparentemente identica, varianti comiche. Al titolo Il crepuscolo delle idee segue la dizione Terza portata della grulleria (in copertina Terza portata – Tre piatti aveva sostituito l’originale Terza giornata – Tre atti): il termine toscano “grulleria” compare anche nell’articolo Il popolo torinese ne’ suoi canti per definire le canzoni popolari torinesi scherzose; il titolo della tetralogia è parodiato in L’anello del NI (ben lungo), con riferimento alla notoria lunghezza della tetralogia wagneriana (che in questa versione goliardica risulta a onor del vero ancora ulteriormente diminuita rispetto alla stessa versione italiana di Zanardini) ma forse anche con intento osceno, completato dall’anello di gomma al centro della vicenda. Il nome proprio di Wagner diventa Bombardo, quasi a suggerire un’aura aggressiva e militaresca in linea con la percezione europea della giovane Germania unita, risulta anche paronomastico rispetto all’originale Riccardo. La musica è dello studente Gilbert De Vinchels (forma italianizzata di De Winckels), mentre non viene esplicitata l’identità dell’autore del libretto: Annibale Valentino Pastore[70], all’epoca già alla sua seconda laurea. Dopo essersi infatti laureato nel 1892 in Letteratura proprio con Graf, Pastore studia filosofia, laureandosi nuovamente nel 1903 (una tesi dal titolo Sopra la teoria della scienza: logica, matematica e fisica). Pastore era piemontese
(Orbassano 1868-Torino 1956), professore di filosofia teoretica all’Università di Torino dal 1922 al 1939; socio corrispondente dei Lincei, incontrò, durante gli anni della sua docenza presso l’ateneo torinese, varie personalità significative della cultura italiana: furono suoi allievi filosofi del calibro di Ludovico Geymonat, Luigi Pareyson, ma anche Norberto Bobbio (quando frequentò i corsi di Filosofia per la sua seconda laurea), Antonio Gramsci[71], Lalla Romano[72]. All’epoca della stesura del libretto parodico, era certamente il più anziano del gruppo goliardico degli universitari e conoscere la sua formazione aiuta a comprendere meglio i riferimenti variegati di cultura alta – compaiono chiari riferimenti a Dante, Leopardi, Verga[73] ‒ come di cultura popolare piemontese che vi sono contenuti.
L’intento della riscrittura è fondamentalmente comico; i nomi dei personaggi, come quelli degli attori della prima al Regio, sono tutti stravolti in paronomasie: Sigfrido diventa Tsesfresc (per Staifresco: nomen omen, giacché nel nome del protagonista già è contenuto tutto il capovolgimento dell’eroe in ingenua vittima di un tragico complotto di potere); il Re Gunther diviene Pluffer; il crudele antagonista dell’eroe da Hagen diventa Magenbitter; Alberico è Granboricco, mentre Brunilde e Gutruna diventano Grugnilde, indigena della Val Tirie (per Valchirie) e Camola, che è termine regionale per ‘esca’. E in effetti Gudruna nel corso della vicenda funge da esca per l’eroe: nel Primo Piatto, che si svolge presso “l’osteria del Gheub”, altro riferimento a una canzone dialettale in voga all’epoca, Hagen/Magenbitter all’arrivo di Siegfried/Tsesfresc dice: «È l’amico dei persici che viene»; poco dopo il riferimento all’area semantica della pesca ritorna nelle parole di Siegfried/Tsesfresc stesso rivolte a Gudruna/Camola, dopo aver bevuto l’elisir della dimenticanza: «Senti, il pesce all’amo viene».
Nel processo di diminutio complessiva, compare fin dal sottotitolo ‒ Terza portata – Tre piatti ‒ l’ambito culinario, ulteriormente ripreso nel corso dell’azione[74]. Il tono di abbassamento linguistico e ambientale, volto a deridere la monumentalità dell’opera wagneriana e l’autorità arcaica del mito nibelungico, prosegue per tutto il libretto. Dopo il corteo funebre e la finale pira incendiata, l’autore chiude con un commento ironico: «Dulcis in fundo. Il pubblico (?), perfettamente edificato, giunge una buona volta a capire un’acca del misterioso Crepuscolo delle idee»[75]: quasi a voler deridere, dopo al testo, al mito, ai personaggi, all’autore, anche il pubblico italiano, e torinese nello specifico. Ma, pur essendo così ancorata nei modi e nei riferimenti a quella specifica occasione e a quel particolare momento della storia del viaggio dei Nibelunghi in Italia, la notizia della parodia goliardica degli studenti di Torino dell’opera wagneriana varca in pochi giorni le Alpi e approda in Germania, sulle pagine del quotidiano tedesco «Muncher Kunst und Theater Anzeiger»[76]:
Die Turiner Studenten haben sich als Faschingsscherz eine sehr gelungene Parodie auf Wagners „Götterdämmerung” geleistet, die jeden Abend vor ausverkauftem Hause zur Aufführung kommen und die Kassen verschiedener Wohlthätigkeitsanstalten mit hübschen Summen füllt. Das witzige Werk führt den Titel „Il crepuscolo delle idee” (Gedankendämmerung) und hat den in der litterarischen Welt gut angeschriebenen Professor Annibale Pastore zum Verfasser; die hübsche Musik zu der „Riesenoper“ schrieb der Student Hilbert von Winkels. Sie weist zahlreiche Anklänge an Verdi auf, an mehreren Stellen wird aber auch Wagner in geistreicher Weise parodiert. Die Darsteller der Parodie sind natürlich nur Studenten[77].
Dimostrando quanto la storia locale e quella internazionale, le opere minime e quelle somme concorrano al cammino delle idee e delle arti, questa parodia resta testimonianza attiva del dialogo continuo tra cultura italiana e tedesca, tra Medioevo e Contemporaneità, tra cultura alta e cultura popolare, tra musica e letteratura.
- G. Contini, Innovazioni metriche italiane fra Otto e Novecento, in Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968), Torino, Giulio Einaudi Editore, 1979, pp. 587-99. ↑
- G. Pestelli, L’anello di Wagner. Musica e racconto nella tetralogia dei Nibelunghi, Roma, Donzelli, 2018, p. 15. ↑
- G. B. Bolza, Cenni sulla storia della lingua e letteratura tedesca, nei volumi 1839, tomo VI e 1840, tomi I e Il della «Rivista Viennese». Stampata a Vienna in lingua italiana e con testi tedeschi, era venduta sia nella capitale asburgica sia a Milano; ebbe vita dal 1838 al 1840 e pubblicò in tutto dodici torni: si proponeva, oltre che di diffondere la cultura tedesca nel Lombardo-Veneto, di farvi opera di penetrazione e persuasione anche sul piano politico; cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 11, 1969, ad vocem: https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-bolza_(Dizionario-Biografico)/. ↑
- L’articolo di Guerrieri-Gonzaga verrà riproposto nel 1848 dalla rivista napoletana «Museo di Scienze e Letteratura» (n. s., vol. 15) e farà da introduzione alla prima traduzione italiana integrale dei Nibelunghi; cfr. M. Santoro, I Nibelunghi nella cultura italiana dell’Ottocento e del primo Novecento, in «Medioevo e Rinascimento», annuario del Dipartimento di Studi sul Medioevo e il Rinascimento dell’Università di Firenze, VII/n .s. IV, 1993, pp. 143-57: 147. ↑
- Mi riferisco qui in particolare a quanto sottolineato da M. Santoro, I Nibelunghi nella cultura italiana dell’Ottocento e del primo Novecento, art. cit., pp. 144-45: «Del resto che gli italiani imparassero a conoscere meglio il mondo germanico, rinunciando magari alle glorie tradizionali, era senz’altro funzionale alla politica culturale austriaca in Italia e questo spiega anche l’iniziale simpatia dei governanti austrici verso gli ambienti romantici italiani», in riferimento a M. Fubini, Romanticismo italiano, Bari, Laterza, 1971. ↑
- Rostock K. Bartsch, Come ha preso forma poetica la leggenda dei Nibelunghi, in «Rivista Internazionale», 1, 1876, pp. 2-6 e pp. 33-36. ↑
- M. Santoro, I Nibelunghi nella cultura italiana dell’Ottocento e del primo Novecento, art. cit., pp. 149-50. ↑
- Ivi, p. 149. ↑
- Ivi, p. 150. ↑
- G. Pestelli, L’anello di Wagner. Musica e racconto nella tetralogia dei Nibelunghi cit., p. 6. ↑
- E nel caso di Wagner fondamentale resta l’opera del 1810, esordio della tradizione tedesca nibelungica nella scena teatrale ottocentesca, in cui Friedrich de la Motte Fouqué riesuma il mito del popolo burgundo e dell’eroe nibelungo: Der Held des Nordens; vi si incontra un fervente impegno nella trasposizione della narrazione in chiave politica. ↑
- G. Pestelli, L’anello di Wagner. Musica e racconto nella tetralogia dei Nibelunghi cit., p. 8. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 9. ↑
- Ivi, p. 15. ↑
- Esiste un’Antologia della critica wagneriana in Italia, a cura di A. Ziino, Messina, Peloritana, 1970. ↑
- G. Pestelli, L’anello di Wagner. Musica e racconto nella tetralogia dei Nibelunghi cit., p. 9. ↑
- G. Mazzini, Filosofia della musica, a cura di M. de Angelis, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1977, p. 43. In genere su Wagner in Italia cfr. R. Cresti, Richard Wagner, la poetica del puro umano, Lucca, Libreria Italiana Musicale, 2012. ↑
- L. Zoppelli, L’eroe in trappola: Il crepuscolo degli dei; cfr. l’URL: https://www.rodoni.ch/wagner/gotterd-fenice.pdf, pp. 17-18. ↑
- Ivi, p. 20. ↑
- P. Sorge, D’Annunzio tra Wagner e Nietzsche, in G. D’Annunzio, Il caso Wagner [1893], a cura di P. Sorge, Bari, Laterza, 1996, p. 21. ↑
- Andata in scena la prima volta all’Hoftheater di Weimar il 28 agosto 1850 sotto la bacchetta di Franz Liszt, aveva avuto il trionfale battesimo italiano, con la direzione di Angelo Mariani, al Comunale di Bologna il 1° novembre 1871; cfr. L. M. Marchetti, Wagner a Torino, in «Annali del Centro Pannunzio», 2013-2014, pp. 113-26: 113; cfr. l’URL: annali_2013_ultimo:impag annali 2012 (centropannunzio.it). ↑
- P. Sorge, D’Annunzio tra Wagner e Nietzsche, art. cit., p. 22. ↑
- Lohengrin era destinata a rimanere l’opera wagneriana più eseguita a Torino: elenca i vari spettacoli L. M. Marchetti, Wagner a Torino, art. cit., p. 115, nota 4. ↑
- Ivi, pp. 113 e 115. ↑
- Ivi, p. 116. ↑
- «A Torino gli spettacoli ebbero luogo l’8 maggio (Oro del Reno), il 9 (Valchiria), l’11 (Sigfrido) e il 12 (Crepuscolo degli Dèi). L’incontro dei torinesi con il colosso wagneriano fu, tutto sommato, assai positivo»: ibidem. ↑
- Cfr. n. 14, 7 aprile; n. 15, 14 aprile; n. 17, 28 aprile; n. 18, 5 maggio. ↑
- G. Depanis, L’anello del Nibelungo di Riccardo Wagner, Torino, Roux Frassati e C., 1896. Un’anticipazione dell’uscita del saggio di Depanis venne data da «La Stampa» il 17 dicembre 1895, tre giorni prima che andasse in scena il Crepuscolo wagneriano: «Sarà pubblicato in settimana: GIUSEPPE DEPANIS L’anello del Nibelungo di RICCARDO WAGNER. 1 vol. in-1. Sommario del volume: Come divenni vagnerista. ‒ I. Le fonti dell’Anello del Nibelungo. ‒ II. La genesi dell’opera d’arte. ‒ III. Il teatro di Bayreuth e le rappresentazioni della trilogia. ‒ IV. Un po’ di polemica intorno al dramma lirico del Wagner. ‒ V. Il prologo della trilogia: L’oro del Reno. ‒ VI. La prima giornata: La Walkiria. ‒ VII. La seconda giornata: Siegfried. ‒ VIII. La terza giornata: Il Crepuscolo degli Dei. ‒ IX. Il complesso della trilogia. ‒ Appendice: I. Bibliografia ‒ II. Statistica wagneriana»: ivi, p. 2. ↑
- Musica e spettacolo a Torino fra Otto e Novecento. L’Esposizione del 1898. Il Teatro Regio e i teatri torinesi (1896-1905), a cura di G. Rampone, in due versioni on-line: http://www.comune.torino.it/archiviostorico/mostre/regio_2009/Musica%20e%20spettacolo%20a%20Torino%20fra%20Otto%20e%20Novecento.pdf e https://www.museotorino.it/resources/pdf/books/113/files/assets/common/downloads/publication.pdf, Introduzione. Il debutto in Italia del Toscanini direttore d’orchestra risaliva al 4 novembre 1886, al Carignano, ed era stato subito un eclatante successo: ivi, pp. 11-12. ↑
- Ivi, pp. 15-17. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 17. Toscanini fu, nel corso della sua lunga carriera, un grande divulgatore di Wagner in Italia: il suo stesso atteggiamento nei confronti della musica può essere ricondotto alla concezione wagneriana dell’arte più che a quella di Verdi, della quale pure resta interprete di riferimento. Interessante ricordare che Arturo Toscanini fu anche il primo direttore non tedesco scritturato dal festival della città bavarese dedicato a Wagner (1930) e che, dopo esservi tornato a dirigervi, nell’estate successiva, Tannhäuser e Parsifal, si rifiutò di tornarvi nel 1933, «sebbene l’invito fosse caldeggiato personalmente da Adolf Hitler, che aveva ignorato il telegramma di protesta inviatogli da Toscanini insieme a un gruppo di musicisti contro la messa al bando degli artisti ebrei dalle orchestre tedesche». Cfr. Arturo Toscanini, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, vol. 96, 2019, ad vocem: cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/arturo-toscanini_(Dizionario-Biografico)/. ↑
- «La Stampa», 5 dicembre 1895, p. 3, rubrica Arti e Scienze. ↑
- «La Stampa», 14 dicembre 1895, p. 3, rubrica Arti e Scienze. ↑
- Ibidem. ↑
- «La Stampa», 21 dicembre 1895, p. 2, rubrica Arti e Scienze. ↑
- Ibidem. ↑
- Ivi, p. 3. Il giornalista si firma Carlo Brusezio (?). ↑
- «La Stampa», 23 dicembre 1895, p. 2. ↑
- Ibidem. ↑
- «La Stampa», 22 dicembre 1895, p. 2: «Né quest’aspettazione si limita alla nostra Torino; essa si estende per tutta Italia, e ne è prova la lunga ed eletta schiera di critici che vengono espressamente da Milano, da Bologna, da Venezia, da Roma, da Napoli, e le molto cospicue famiglie che vengono specialmente da Milano». ↑
- Ibidem. ↑
- Grazie al prezioso Archivio Storico del quotidiano «La Stampa», è stato possibile scoprire che l’ultima replica del Crepuscolo wagneriano fu il 25 febbraio 1896. ↑
- A. Guarnieri Corazzol, Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento, Firenze, Sansoni, 2000, p. 170. Del 1894 è la pubblicazione della prima bibliografia italiana di Wagner curata da Gaetano Mogavero. ↑
- Dopo il primo invaghimento per Wagner, Boito ha un profondo ripensamento: in A. Boito, Mendelssohn in Italia, articolo pubblicato nel «Giornale della Società del Quartetto» di Milano, nel 1864, scrive infatti: «È comparso un falso apostolo, uno di quei pericolosi propagatori di verità mal dette, uno di quei fanatici i quali, avendo pure in pensiero la luce, diffondono il buio. […] Le prime parole di Wagner, confessiamolo, ci avevano commosso. […] Ma i suoi drammi sono inetti, bassi, ridicoli a fronte del supremo compito che erano chiamati a fare». ↑
- F, p. 1461. Id., Lettere dall’esilio, Laterza, Bari 1938, p. 182. De Sanctis usa l’espressione Wagner corruttore della musica nell’Avvertenza al suo Saggio critico sul Petrarca, steso nel 1883, Einaudi, Torino 195. De Sanctis, Purismo, illuminismo, storicismo, a cura di A. Marinari, Torino, Einaudi, 1975, pp. 4-5. ↑
- G. d’Annunzio, La musica di Wagner e la genesi del ‘Parsifal’, Firenze, Quattrini, 1914. ↑
- G. Carducci, La leggenda di Teodorico, in Id., Rime nuove, Bologna, Zanichelli, 1887. Nella sua ode Presso l’urna di Percy Bische Shelley volle combinare mitologia greca e nibelungica: «Ivi poggiati a l’asta Sigfrido ed Achille alti e biondi […] Elena e Isotta vanno pensose per l’ombra dei mirti». Ancora un altro omaggio a Wagner, esplicito, Alle Valchirie, scritto nel 1898 per i funerali della regina Elisabetta. ↑
- Giovanni Pascoli trasfigurò la vicenda di Sigfrido nel poemetto Le armi. ↑
- Wagneriano convinto, come riportato in A. Pompeati, Le idee musicali di Enrico Thovez, in «La rassegna musicale», a. I, n. 10, ottobre 1928, pp. 540-45. ↑
- G. d’Annunzio, Il caso Wagner (1893), a cura di P. Sorge, Bari, Laterza, 1996. ↑
- A. Guarnieri Corazzol, Musica e letteratura in Italia tra Ottocento e Novecento cit., p. 165. ↑
- A. Graf, La morte di Faust, L’assunzione di Mefistofele, poemetti drammatici, in «la Nuova Antologia», Roma, 1° gennaio 1913; E. Thovez, Il nuovo Faust o la trilogia di Tristano, frammento 1896-1910, 1910, poi edito nel 1938. ↑
- E. Thovez, Diario e lettere inedite (1887-1901), a cura di A. Torasso, Milano, Garzanti editore, 1939, 1° dicembre 1894, pp. 471-72. ↑
- Cfr. A. Botta, Enrico Thovez (1869-1925). Critico d’arte, Tesi di Dottorato, Udine, Università di Udine, 2020. ↑
- A. Pompeati, Le idee musicali di Enrico Thovez, in «La rassegna musicale», a. I, n. 10, ottobre 1928, pp. 540-45. ↑
- E. Thovez, La leggenda di Wagner, in L’arco di Ulisse, Prose di combattimento, Napoli, Ricciardi, 1921, pp. 99-120; Contro Wagner, ivi, pp. 247-60; Le due anime di Riccardo Wagner, ivi, pp. 261-73. ↑
- Ivi, p. 108. ↑
- A. Graf, Dopo il tramonto, versi, Milano, Fratelli Treves, 1893, poi in Id., Le poesie di Arturo Graf, a cura di V. Cian, Torino, Chiantore, 1922, consultabile on-line https://www.omeka.unito.it/omeka/items/show/304, edizione da cui trarremo le citazioni. ↑
- Ivi, pp. 313-15. C’è anche un’altra poesia, L’incantesimo, dedicata alla storia della bella addormentata, che trova nella maledizione del sonno, imposta alla valchiria Brunilde da suo padre il dio Wotan per avergli disobbedito, un archetipo testuale eccellente: ivi, pp. 336-38. ↑
- A. Graf, La crisi letteraria, Torino, Stamperia reale della ditta G. B. Paravia, 1888, p. 7. Corsivi miei. ↑
- L. Baldacci, Poeti minori dell’Ottocento, tomo I, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1958, p. 1141. ↑
- Attilio Gilbert De Winckels, nato a Perosa Argentina (To) e morto a Torino. Si possono leggere sue notizie in A. Sessa, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori, Firenze, Olschki, 2003, p. 234 e Id., Il melodramma italiano 1901-1925, Dizionario bio-bibliografico dei compositori, Firenze, Olschki, 2014, pp. 428-29; anche in G. Legger, Drammaturgia musicale italiana, Torino, Fondazione Teatro Regio di Torino, 2005, p. 373. Del Crepuscolo delle idee si trova notizia in C. e G. Savioli, Bibliografia universale del teatro drammatico italiano con particolare riguardo alla storia della musica italiana: contenente i titoli di tutte le produzioni drammatiche pubblicate per la stampa in lingua italiana e nei vari dialetti in Italia e all’estero: dalle origini del teatro italiano e del dramma musicale sino ai nostri giorni, Venezia, Ferrari, 1903, pp. 444-45. ↑
- La gran via Bicerina, “opera-ballo, balossada studentesca” in 4 parti, libretto di Fra Longino e Arturo Calleri (pseudonimo Caronte); rappresentata a Torino, Teatro Vittorio Emanuele, nell’aprile 1898, come partecipazione della goliardia torinese all’inaugurazione dell’Esposizione Nazionale). Sempre nel 1896 De Winckels aveva anche composto la musica per la “pantomima” Studenti e sartine, su libretto di Emilio Bellini, rappresentata a Torino nell’aprile 1896, così come continuerà a produrre musiche fino almeno agli anni Venti del XX secolo; vedi A. Sessa, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori cit., e G. Legger, Drammaturgia musicale italiana cit. Egli compone altri lavori, anche non a carattere “goliardico”. Il “bicerin”, noto oggi anche come bicerin d’Cavour, è una bevanda calda e analcolica a base di caffè, cioccolato e crema di latte tipica di Torino, poi divenuto liquore Bicerin, delle distillerie Vincenzi. ↑
- In quegli anni gli studenti partecipavano attivamente alla vita culturale della città, tanto che esiste un catalogo delle proposte goliardiche; vedi https://atom-new.unito.it/uploads/r/universita-degli-studi-di-torino-archivio-storico/3/8/4/3848908ab8d0fb869411a5f8d51dd3033c6c9e60ac0aa99d1d507d4ebdf98545/Schedatura_riviste.pdf. ↑
- È ancora «La Stampa» a fornirci le informazioni a riguardo, in «La Stampa», 15 febbraio 1896, «Crepuscolo delle Idee. — Ecco l’ordine delle rappresentazioni di quell’indovinatissima parodia studentesca: Il Crepuscolo delle Idee all’Eldorado (Galloria Nazionale): * Questa sera, riposo. Domani, matinée alle ore 15: alla sera alle ore 20,30. Lunedì sera alle ore 20,30. Martedì, matinée alle ore 15; alla sera alle ore 20,30». ↑
- «La Stampa», 10 febbraio 1896, p. 3: «La prima del Crepuscolo delle idee: Pubblico affollatissimo riempiva ieri a sera il salone della Galleria Nazionale: ciò che dimostra quanto timore nutrì la città nostra per l’arto dell’avvenire». ↑
- Bombardo Cracner, L’anello del Nibenlungo, Il Crepuscolo delle idee, Terza portata – Tre piatti, Galleria Nazionale – salone Eldorado – Torino. Carnevale Quaresima 1896. Proprietà dell’Associazione Universitaria Torinese, Grissinopoli 1896. ↑
- Diverte trovare il suo nome unito a quello del suo Professore, Arturo Graf, in A. Sessa, Il melodramma italiano 1861-1900. Dizionario bio-bibliografico dei compositori cit. Il suo archivio è diviso tra l’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria, di cui si hanno due inventari: Le carte di Annibale Pastore, Fondo dell’Accademia “La Colombaria” a cura di F. Bazzani, Firenze, Olschki, 1992 e L’ARCHIVIO DI ANNIBALE PASTORE. Inventario dei documenti in deposito presso l’Accademia Toscana di Scienze e Lettere “La Colombaria”, a cura di C. Tombini, 2014, e il Fondo Annibale Pastore presso la Fondazione Antonio Gramsci di Torino, per il quale si rimanda all’URL: https://www.gramscitorino.it/fondi-librari/. In questi fondi non risultano essere presenti né il libretto scritto dall’autore in gioventù né carte riguardanti questa operetta goliardica. ↑
- L. Basile, «Caro maestro», «eccezionale studente»: sul rapporto di A. Gramsci con V.A. Pastore: Ipotesi e riscontri, in «Giornale critico della filosofia italiana», 2014, pp. 187-211. ↑
- G. Carpinelli, Lalla e il professore. Sulle tracce di Annibale Pastore, consultabile all’URL: https://www.academia.edu/6939205/Lalla_e_il_professore_Sulle_tracce_di_Annibale_Pastore. ↑
- Compare un riferimento alla canzone civile leopardiana All’Italia, verso 15, cui segue anche la citazione dantesca «Ahi! Me meschina, di dolore ostello» (Purgatorio, VI, vv. 76-78) e alla Cavalleria Rusticana. ↑
- B. Cracner, L’anello del Nibenlungo, Il crepuscolo delle idee, Terza portata – Tre piatti, Torino, con autorizzazione della Ditta Ricordi & C., 1896, pp. 10-11: «Se tornerai col duplice / Pegno della vittoria, / Faremo una baldoria / Da farti straveder!», promette Gunther/Pluffer all’eroe; e Gudruna/Camola aggiunge: «Ti daremo d’antipasto / La polenta e gli uccelletti, / Poi dì tu i manicaretti / Che ti piacciono di più». Segue un quartetto e infine Sigfrido/Tsesfresc (leccandosi le cinque dita e il pollice): «Vo’ un piatto d’agnolotti, / Due patatine al lardo, / La bagna con il cardo, / Oh che splendido menù!». ↑
- Ivi, p. 23. ↑
- Articolo della rubrica Bühne, in «Muncher Kunst und Theater Anzeiger», n. 2919, Samstag 22, Februar 1896, IX Jahrgang. ↑
- «Gli studenti torinesi hanno ideato uno scherzo di carnevale, una parodia di grande successo del Wagner del “Crepuscolo degli dei”, che veniva rappresentato ogni sera davanti a un teatro tutto esaurito e riempiendo le casse di varie organizzazioni di beneficenza e organizzazioni caritatevoli con ingenti somme. L’arguta opera si intitola “Il crepuscolo delle idee” e ha fatto conoscere il nome del noto professore ben riconosciuto nel mondo letterario Annibale Pastore come autore; la bellissima musica per la “gigantesca opera” è stata scritta dallo studente Hilbert von Winkels. L’opera presenta numerosi echi di Verdi, ma in diversi punti è anche una parodia di Wagner, che è parodiato in modo spiritoso. Gli interpreti della parodia sono, ovviamente, solo studenti». ↑
(fasc. 52, vol. II, 3 giugno 2024)