Nel 2004, nel terzo “capitolo” del “romanzo surreale” Non si muore tutte le mattine, Vinicio Capossela scriveva delle canzoni: «Quelle ci rubano pezzi di cuore, pezzi d’altrove. È ben pericoloso fermarsi ad ascoltarle. Non ce n’è abbastanza di mondo oltre le canzoni»[1].
Sebbene sia di origini italiane (irpine, per la precisione), Capossela è nato nella tedesca Hannover il 14 dicembre del 1965: è noto soprattutto come cantautore, ma la peculiarità più particolare della sua ricerca artistica è quella di concepire l’opera d’arte come uno spettacolo a tutto tondo, che coinvolga, in primo luogo, strumenti musicali e voce, ma anche radio, letteratura e cinema.
L’eclettico polistrumentista, cantautore e scrittore è assai apprezzato da tanta critica (ha vinto varie targhe Tenco) sia per l’attenzione che rivolge ai testi e all’aspetto linguistico delle canzoni sia per lo sperimentalismo delle sue musiche, frutto spesso della brillante contaminazione fra suoni prodotti da strumenti musicali tradizionali o folk e strumenti elettronici (come elettrofoni analogici o elettrofoni ad oscillatori etc.). Il suo stesso nome, Vinicio, è un omaggio del padre all’adorato fisarmonicista Vinicio (ovvero Eduardo Alfieri), autore di colonne sonore cinematografiche e musicista di punta della Durium negli anni Sessanta.
Lanciato da Francesco Guccini, Capossela ha esordito nel 1990 con l’album All’una e trentacinque – ispirato soprattutto a Paolo Conte, allo stesso Guccini e a Tom Waits –, che ha vinto la Targa Tenco come Migliore Opera Prima.
L’album successivo, che è oggetto di questo contributo, s’intitola Modì, come l’omonima ballata ivi contenuta, la prima traccia, che allude sia al termine francese “maudit” ovvero ‘maledetto’ sia al soprannome del noto pittore e scultore livornese Amedeo Modigliani, vissuto fra il 1884 e il 1920. In copertina[2], infatti, vi troneggia il celebre Nudo sdraiato, con le mani dietro la testa (Nu couché, les mains derrière la tete) del 1917, un dipinto a olio che fa parte della sua nota serie di nudi distesi, iniziata nel 1916: ispirato alle rappresentazioni rinascimentali di Venere, è dominato dal corpo stilizzato della modella visto dall’alto e a distanza ravvicinata, ad eccezione di mani e piedi, che si staglia sul copriletto rosso del letto, e sul bianco del cuscino e delle lenzuola su cui la donna è morbidamente adagiata, in una posa di raffinato ma esplicito erotismo.
Di seguito, le tracce dell’album:
Modì – 4:19
La regina del Florida – 4:01
Notte newyorkese – 3:03
25 aprile – 3:39
Solo per me – 4:50
Ultimo amore – 6:48
…E allora mambo – 3:38
Pasionaria – 4:00
Cadillac – 3:35
Notte di provincia – 2:25
L’album è, dunque, lucidamente strutturato in modo tale che l’allusione a Modigliani del titolo sia ripresa chiaramente dall’immagine in copertina e poi sviluppata nella prima traccia, intitolata Modì, ma a nostro avviso la tragica storia dell’amore appassionato fra il pittore (12 luglio 1884-24 gennaio 1920) e la modella Jeanne Hébuterne (6 aprile 1898-26 gennaio 1920) risuona anche nella sesta traccia, la struggente Ultimo amore (la canzone più lunga, che viene a trovarsi esattamente al centro dell’album), nella quale una giovane donna, sebbene non per le stesse ragioni di Jeanne, decide di morire, gettandosi sotto un treno in corsa. Inoltre, se proprio vogliamo sottilizzare, a una Notte newyorkese in terza posizione fa da contraltare una Notte di provincia, in chiusura dell’album: e, in fondo, anche la vita di Modigliani – come quella di Capossela – si svolse fra una città cosmopolita come Parigi e la provincia della Provenza nonché in quella livornese che, come vedremo, nella prospettiva rovesciata del testo di Capossela, risuona quasi come un “altrove”, sebbene Modigliani fosse nato in Italia.
Modì è una struggente ballata lenta dall’andamento ternario di un valzer che, con taglio narrativo, racconta la passionale e tragica relazione sentimentale del pittore livornese con la pittrice e modella Jeanne Hébuterne, dal punto di vista di quest’ultima.
Modigliani si formò in Italia sostanzialmente da autodidatta, in Toscana a Venezia e al Sud, fino a quando non giunse a Parigi nel 1906. La città era all’epoca la capitale europea delle avanguardie artistiche, e in Francia egli entrò in contatto con personaggi del calibro di Pablo Picasso, Maurice Utrillo, Max Jacob, Jacques Lipchitz, Chaïm Soutine etc. A Parigi frequentò anche importanti scrittori e poeti, come Giuseppe Ungaretti (a partire dal 1913 ma soprattutto dal 1919), e in Francia conobbe, appunto, anche la giovane pittrice e modella Jeanne Hébuterne, destinata a divenire sua compagna di vita oltre che musa ispiratrice per alcuni dei suoi dipinti. Si trasferì a Nizza dopo che Jeanne era rimasta incinta: il 29 novembre 1918 la ventenne diede alla luce una bambina, che pure venne battezzata Jeanne.
Da vero bohémien, Modigliani non disdegnò né l’abuso dell’alcool né l’uso di droghe, come la maggior parte degli artisti di Montparnasse dell’epoca, andando così a compromettere la già precaria salute fisica minata dalla tubercolosi, che infatti lo portò alla morte all’età di soli trentacinque anni, quando era all’apice del successo. È sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise, insieme con la sua compagna che, incinta di nove mesi del loro secondo figlio, non resse alla sua scomparsa e si tolse la vita, gettandosi dalla finestra di un appartamento al quinto piano, due giorni dopo la sua morte, a soli 21 anni.
Il testo della canzone Modì racconta allusivamente la loro storia: è evidentemente ambientato a Parigi, di cui i primi versi evocano «tetti e lampioni»[3] (v. 2), i «vetri appannati dei bar» (v. 3) e il terribile «freddo» (v. 4); non si può non notare, inoltre, che l’incipit di Modì, «Si adagia la sera» (v. 1), potrebbe alludere anche alla sensuale posizione della modella riprodotta nel dipinto che è stato scelto come “biglietto da visita” dell’intero album.
Il clima rigido di Parigi e le sofferenze patite dalla coppia in Francia, a causa degli stenti e della condizione di povertà, ritornano come Leitmotiv in tutte le biografie dedicate al pittore e anche nel recente romanzo di Grazia Pulvirenti Non dipingerai i miei occhi. Storia intima di Jeanne Hébuterne e Amedeo Modigliani, uscito nel 2020 per l’editore di Sesto San Giovanni (MI) Jouvence. Anche in quest’opera, come in Modì, il punto di vista prevalente è quello della giovane Jeanne, disorientata dalla vita affascinante ma caotica di Montparnasse e dagli incontri con tutti gli amici artisti del suo Modigliani, per amore del quale ha abbandonato l’agiata famiglia d’origine – che non approvava la sua relazione con un artista ebreo, da loro ritenuto un depravato –, trasferendosi con lui in una mansarda fredda e sporca per poi patire una vita di stenti e sofferenze, fra il tanfo della muffa e quello della trementina.
Al freddo e al grigiore della capitale francese vengono contrapposti, ai versi 7-8 di Modì, la «luce» (v. 7) e il calore dell’Italia, con un orgoglioso riferimento dantesco al v. 9 («che Dante d’autunno cantò»); gli ultimi 4 versi della prima strofa rimandano ai sentimenti di Jeanne per Modigliani («che io sto vicino a te / e tu sai perché / stai vicino a me / questa notte e domani se puoi»).
Jeanne Hébuterne, detta Noix de Coco (‘noce di cocco’) per la pelle candida incastonata da fluenti capelli scuri, era una donna dalla bellezza “abbacinante”: coraggiosa, anticonformista e volitiva, e insieme una pittrice dotata. Capossela, in pochi versi, ne sa descrivere, con delicatezza, anche le fragilità e le debolezze di ragazza innamorata, che ha fatto del proprio amore quasi l’unica ragione di vita, al punto da non poter sopravvivere alla perdita dell’amato.
Modì (o Dedo), infatti, non era stato arruolato al fronte perché malato di tisi, ma nel circolo degli artisti era considerato un genio e Jeanne lo ammirava già prima di conoscerlo; nonostante la sua fama di donnaiolo dal fascino maledetto e di irresistibile seduttore, e nonostante la sofferenza da lei patita nella convivenza con l’estroso e imprevedibile ma anche arrogante, esibizionista e narciso Modì, questa figura di esile e insieme volitiva fanciulla ‒ musa ispiratrice e bambina, artista ella stessa e insieme compagna presente e accogliente, mai in concorrenza con l’amato, mai invidiosa del suo talento ‒ lo amò al punto tale da restargli sempre vicino, come limpidamente sintetizzato nel testo della canzone (cfr. i già citati vv. 10-13: «che io sto vicino a te / e tu sai perché / stai vicino a me / questa notte e domani se puoi»). In quest’ultimo verso, in particolare, Capossela ha saputo condensare lo stato d’animo di Jeanne, che non pretende amore e fedeltà («se puoi», v. 13) e che sa che con Modì non bisogna mai dare per scontato che l’amore resista al tempo («questa notte e domani», v. 13).
La seconda strofa introduce la dimensione della memoria, perché è ambientata a Livorno («ricordi via Roma», recita il v. 1 della II strofa; e si rammenti che a via Roma 38, a Livorno, è appunto ubicata la casa natale di Modigliani): nel ricordo, l’Italia è ancora una volta associata alla luce e alla gioia («la luna rideva», v. II.2). In questi versi, però, emerge anche il carattere volitivo di Jeanne («lì ti ho scelto e voluto per me», v. II.3). Il «mi guardavi» (v. II.4) allude anche al fatto che Jeanne fu per anni modella del pittore e, in seguito, Capossela condensa la poetica di Modigliani nei versi: «[…] parlavi / dei volti tuoi strani / degli occhi a cui hai tolto l’età» (vv. II.4-6): dunque, una concezione dell’arte come eternatrice, condensata in un unico verso (v. II.6).
La congiunzione coordinante «e» (v. II.7), che sembra valere, qui, più come avversativa, reintroduce l’ambientazione parigina dei «pernod» (il più antico liquore o pastis, aperitivo, francese all’anice stellato; cfr. v. II.8), dei famosi «caffè» (entrambi al v. II.8) e, di nuovo, la dimensione della memoria («nei ricordi che abbiamo di noi», v. II.9), che testimonia di un passato che ha effettivamente legato la coppia, nonostante i tradimenti, la vita sregolata, le fughe in Italia di Modigliani, efficacemente condensati nei versi «per amore tradivi / per esister morivi / per trovarmi fuggivi fin qua» (vv. II.10-12). Amaro il riferimento finale alla gloria che la provincia italiana riconosceva (e forse riconosce ancora) solo agli esiliati, che poi si ricorda di celebrare quali geni nazionali solamente dopo la loro dipartita («perché Livorno dà gloria / soltanto all’esilio / e ai morti la celebrità», vv. II.13-15).
Il ritornello è introdotto dall’avversativa «ma» (v. 1), che sta per ‘nonostante tutto’ e testimonia della fedeltà e della dedizione di Jeanne nonché della sua discrezione e delicatezza: «ma io sto vicino a te / in silenzio accanto a te» (vv. 1-2 del ritornello). E torna la struggente, timida, rispettosa richiesta di non abbandonarla: «stai vicino a me / questa notte e domani se puoi» (vv. 3-4 del ritornello).
L’ultima strofa, a rileggerla bene, sembrerebbe quella dell’ultima notte di Jeanne, che pensa di suggellare e rendere eterno il loro amore togliendosi la vita: «questa notte e altre notti / verranno anche se / non sentiremo ancora cantar» (vv. III.1-3). Davvero poetica e struggente l’immagine della pioggia che diluisce i colori delle tavolozze di entrambi e rimescola i loro pensieri («ascolteremo la pioggia / bagnarci i colori / e mischiare i miei pensieri nei tuoi» (vv. III.4-6): un’indovinata allusione al rapporto di profonda condivisione spirituale, intellettuale e artistica che legò i due pittori amanti.
L’epilogo viene introdotto da quell’«ormai» (v. III.7), che sancisce che è giunto il tempo di agire, dopo una notte di ricordi e pensieri: «ormai è l’alba e ho paura / di stare a restare / da sola a scordarmi di noi» (vv. III.7-9). La lettura di Capossela vede Jeanne, dunque, uccidersi per il timore che la grande passione che l’aveva legata a Modì potesse, nel tempo, diluirsi al punto tale da svanire anche nel ricordo.
L’ultimo ritornello ha la serenità di una decisione ormai presa: «e allora sto / vicino a te» (vv. 1-2), sebbene l’amato non possa più vederla fisicamente dopo la morte.
Sappiamo che per anni la sua cattolica famiglia borghese non ha permesso che le opere di Jeanne fossero esposte e potessero essere apprezzate dal pubblico; per anni, le spoglie dei due amanti sono rimaste separate: infatti, i familiari di Jeanne, che ‒ come anticipato ‒ disapprovavano la sua relazione con Modigliani, la tumularono nel cimitero parigino di Bagneux, ma nel 1930 ne permisero il trasferimento a Père-Lachaise affinché venisse seppellita nella stessa tomba dell’amato. Il suo epitaffio recita in italiano: “Compagna devota fino all’estremo sacrificio” (e «[…] io son qui vicino a te / questa notte e domani / sarò…» è l’explicit di Modì).
La canzone Modì si rivela, dunque, un esempio illuminante della sensibilità poetica e della consapevolezza retorica di Capossela, testimoniata anche: dall’inversione dell’ordine soggetto-predicato in «Si adagia la sera» (v. 1); dall’uso sapiente della coordinazione per polisindeto, che evidenzia le enumerazioni e, a livello sintattico, tende a privilegiare un andamento paratattico, più adatto al ritmo ternario e piano del valzer, rispetto alle subordinate; dal vivace alternarsi delle descrizioni narrative e delle implicite apostrofi all’amato, cui Jeanne si rivolge col “tu”; della dialettica tu/noi, presente in tutto il testo della canzone, che ben rappresenta l’ottica individuale di Jeanne all’interno della più ampia visione della coppia.
Spesso, in Modì, l’enumerazione procede per binomi: «su tetti e lampioni» (v. 2), «la mente e le mani» (v. 5); «questa notte e altre notti» (v. III.1); nel caso di «nei pernod, nei caffè / nei ricordi», vv. II.8-9, l’andamento è ternario in enjambement; oppure si traduce in due voci verbali collegate tramite “e” («lì ti ho scelto e voluto per me», v. II.3; «mi guardavi e parlavi», v. II.4). Interessante anche la soluzione del complemento di causa («per amore tradivi», v. II.10) seguito da due preposizioni finali sempre introdotte dal “per” («per esister morivi / per trovarmi fuggivi fin qua», vv. II.11-12), a loro volta seguite da una causale che chiude il cerchio tramite un “perché” («perché Livorno dà gloria / soltanto all’esilio / e ai morti la celebrità», vv. II.13-15): dunque, ripetizione e variatio sapientemente combinate in una sorta di struttura chiastica (complemento di causa, due proposizioni finali centrali e una proposizione causale a chiudere).
Infine, Capossela vi dimostra un’indubbia padronanza delle rime, anche se volutamente molto poco adoperate, e solo in passaggi nevralgici come il ritornello («sto vicino a te / e tu sai perché / stai vicino a me») oppure nella chiusa della seconda strofa:
per trovarmi fuggivi fin qua
perché Livorno dà gloria
soltanto all’esilio
e ai morti la celebrità
Ricorrente è, invece, l’uso dell’enjambement, che conferisce un andamento spiccatamente narrativo alle parti descrittive del testo della canzone come l’incipit:
Si adagia la sera
su tetti e lampioni
e sui vetri appannati dei bar
e il freddo ci mangia
la mente e le mani (vv. 1-5)
Oppure ai passaggi:
ripensa alla luce
e al sole d’Italia
che Dante d’autunno cantò (vv. 7-9)
mi guardavi e parlavi
dei volti tuoi strani
degli occhi a cui hai tolto l’età (vv. II.4-6)
e ora si scioglie la sera
nei pernod, nei caffè
nei ricordi che abbiamo di noi (vv. II.7-9);
o, infine, favorisce una migliore comprensione delle parti di carattere argomentativo:
perché Livorno dà gloria
soltanto all’esilio
e ai morti la celebrità. (vv. II.13-15)
L’ultima strofa, in conclusione, si può suddividere in tre “movimenti”, che individuano ognuno un diverso agglomerato di senso, ma è tutta collegata da enjambements che ben alludono al flusso ininterrotto dei pensieri della sofferente Jeanne nell’ultima, tormentata notte della sua fluttuante e intensa vita:
questa notte e altre notti
verranno anche se
non sentiremo ancora cantar
ascolteremo la pioggia
bagnarci i colori
e mischiare i miei pensieri nei tuoi
ormai è l’alba e ho paura
di stare a restare
da sola a scordarmi di noi (III strofa)
Oltre alla delicatezza con cui Capossela s’immedesima in Jeanne e ne ricostruisce sensazioni, emozioni, pensieri, da Modì – in pochi sapienti tratti, che paiono quasi dipinti nello stile asciutto e stilizzato di Modigliani – emerge anche il quadro della Parigi di quegli anni, terra promessa per artisti (tra i quali Picasso, Foujita, Cocteau, Matisse, Soutine, Utrillo, Max Jacob), poeti (Paul Fort, Alfred Jarry, Guillame Apollinaire etc.), disadattati, irregolari, che trascinavano vite colorate ma spesso al limite della disperazione, fra miseria e fortuiti guadagni subito sperperati in nome anche della condivisione e dell’amicizia, alternando esaltazione e lugubre malinconia, voglia di vivere e depressione, vigore fisico e malattia, alla perenne ricerca di quella Bellezza che potesse dare un senso alla loro esistenza perennemente in bilico fra la vita e la morte, fra alcol e hashish. Una Parigi nel 1916 stremata dalla Prima guerra mondiale in corso, luogo d’incontro di quelli che sarebbero divenuti i più importanti artisti del Novecento, ma che allora erano semplicemente brillanti giovani squattrinati, intenti a cercare di sopravvivere scambiando i propri quadri per un piatto di minestra; frequentando cafés, cantine e ateliers in cerca di buoni contatti di galleristi, mecenati e collezionisti; allestendo mostre nei parterres e consumando cene nelle topaie nelle quali spesso si adattavano a vivere.
Tutto questo turbinoso e caleidoscopico sfondo non è rievocato esplicitamente da Capossela, ma si sente vibrare in sottofondo nelle note malinconiche e nel suono struggente dei violini che accompagnano e cadenzano il testo di Modì. Una canzone che, fra gli altri, ha l’indubbio merito di aver avvicinato ulteriormente il grande pubblico a un artista geniale come Modigliani, di averlo incuriosito sulla sua biografia e sulle vicissitudini affrontate dalla sua collega pittrice Jeanne Hébuterne. E, magari, di aver stimolato pure un nuovo interesse per il contesto storico-artistico della Parigi turbinosa e folle di quegli anni cupi, caotici e sregolati, ma vivacissimi. Perché, come l’artista stesso ha dichiarato, «L’esperienza della musica e della scrittura richiede solitudine ma è destinata alla condivisione»[4].
- V. Capossela, Non si muore tutte le mattine, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 21. ↑
- Cfr. il sito ufficiale di Capossela all’URL: https://www.viniciocapossela.it/discografia/modi/. ↑
- Per il testo della canzone di Capossela cfr. il sito web Angolo Testi all’URL: https://www.angolotesti.it/V/testi_canzoni_vinicio_capossela_1740/testo_canzone_modi_46837.html. ↑
- V. Bonavolontà, Vinicio Capossela presenta Eclissica: «Ho scritto ciò che si era accumulato nei depositi della vita», in «Il Mattino», 8 ottobre 2021; cfr. l’URL: https://www.ilmattino.it/cultura/libri/vinicio_capossela_eclissica_napoli-6242951.html?refresh_ce. Questo saggio è dedicato a P. P.K.↑
(fasc. 52, vol. II, 3 giugno 2024)