La fortuna di Spoon River

Author di Francesco Gualini

Può esserci l’instant book che quando dura alcuni mesi, un anno, ha svolto in modo egregio la sua funzione e può essere dimenticato. Un libro di cultura dura anche più di dieci anni: può durare decenni e secoli. Ci sono libri che sono delle intuizioni, delle scoperte, passaggi segreti del pensiero, e che servono ad altri libri: generano e influenzano per un decennio altri libri[1].

È stato il tempo a dare ragione al valore e al contenuto sempreverde dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, a renderlo un long seller: a partire dalle innumerevoli riedizioni e ristampe di Einaudi, in collane quali i «Millenni», a partire dal 1947, e la «Nuova Universale» (dal ’62), sviluppata con la nota sovraccoperta bianca a righe rosse di Munari. E poi nei «Supercoralli» (dal ’65), negli «Struzzi» (dal ’71), e nei «Tascabili» (dal ’93), fino ad approdare ad altre case editrici, dalla Mondadori alla Rizzoli e a Feltrinelli, e fino alle rinnovate traduzioni di Letizia Ciotti Miller nel ’74, Alberto Rossatti nell’86, Antonio Porta nell’87, Luigi Ballerini nel 2016 ed Enrico Terrinoni nel 2018. Quest’ultimo, grazie all’Antologia, ha vinto il Premio Gregor Von Rezzori-Città Di Firenze 2019 per la migliore traduzione di un’opera narrativa straniera; di seguito un estratto della motivazione:

La “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters è in Italia un classico tra i classici, uno di quei testi sacri e – apparentemente – intoccabili che sembrano resistere impavidi all’avvicendarsi delle generazioni e all’inevitabile modificazione degli orizzonti e dei riferimenti. […] Non fu estranea a questa bizzarra “fortuna” del testo la figura, tanto antiautoritaria quanto a propria volta autorevole, della traduttrice, Fernanda Pivano, che all’opera garantì la stessa aura “rivoluzionaria” che sarà il punto di forza delle sue versioni dei poeti della beat-generation. […] Di tutto questo ha dovuto tenere conto Enrico Terrinoni quando, inseguendo un dèmone che conosce bene, quello della sfida al limite del possibile, ha deciso di gettarsi in quest’impresa. […] E sempre e fino in fondo consapevole della grande responsabilità etica del traduttore che ri-traduce un classico: la responsabilità di condurre l’opera attraverso il tempo, il proprio e quello che verrà; di lavorare, come avrebbe detto Gregor von Rezzori, per una “effimera eternità”[2].

Come dichiarava Porta, chiedendosi nella sua Postfazione la ragione della sua scelta editoriale, la «risposta che occorre dare si riferisce […] alla necessità di rilanciare la “sfida della comunicazione” […] la Spoon River Anthology si presta anche e soprattutto come occasione di confronto e di arricchimento […]»[3].

Numerosi furono gli allestimenti e i rifacimenti artistici dell’opera non solo in America, tra programmi radiofonici e musical, ma anche in Italia: il primo fu di Mario Peragallo, compositore della Collina, un madrigale drammatico per coro e piccola orchestra, atto unico con protagoniste sette liriche di Spoon River, andato in scena prima a La Fenice di Venezia nel ’47, poi alla Scala di Milano nel ’51.

A conoscere una popolarità tuttora granitica, però, è stato Fabrizio De André con la sua trasposizione musicale: l’album Non al denaro non all’amore né al cielo.

Non al denaro non all’amore né al cielo

Dell’Antologia De André ha detto:

Avevo letto Edgar Lee Masters a diciotto anni, con la mediazione di Fernanda Pivano che, fra il ’37 e il ’41, aveva iniziato la sua carriera traducendo il libro di un libertario mentre la società italiana aveva tutt’altra tendenza. Poi lo rilessi […] e non lo trovai invecchiato per niente. Riscontrai in quei personaggi qualche cosa di noi, mi parve che, in quella collina popolata di morti, si parlasse il linguaggio di una verità che i vivi non possono esprimere. E che Lee Masters, con una lucidità insieme cronistica e profetica, avesse dato voce ai mille scheletri che la società d’allora, ma anche quella di oggi, nasconde nei propri armadi. Armadi che erano, naturalmente, anche i miei[4].

E, riguardo all’album di De André ispirato a Lee Masters, Fossati ha ricordato:

De André è stato influente per la tua educazione musicale? Lo ascoltavi molto quand’eri ragazzo?

[…] Mi è esploso letteralmente tra le mani quando avevo già una ventina d’anni, con quell’album famoso tratto dall’Antologia di Spoon River […]. Lì, sì, lì mi ha veramente colpito e segnato. […] Ricordo benissimo quell’epoca […] ci affascinava molto la direzione letteraria che prendeva ma eravamo catturati anche da quella fantasia, da quella nuova ricerca musicale che cominciava a fare capolino nei suoi dischi […][5].

La dittatura fascista era conclusa da più di vent’anni, quanti ne passarono dalla prima edizione italiana delle poesie di Masters, ma il miracolo economico e la pace sociale, conquistati nel dopoguerra, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70 conobbero un grave momento di difficoltà. Quando De André rilesse Masters, all’incirca nel ’70, in un’edizione economica regalata dalla moglie Puny[6], e lo trovò ancora moderno, era già esploso il Sessantotto. La generazione del Baby boom, nata e cresciuta nel privilegio e nella consapevolezza, aveva contestato le rigidità delle classi dirigenti e l’autoritarismo delle accademie, non riconoscendosi nelle contraddizioni di una società borghese in crescita e consumista, ma arretrata, ancorata ai valori tradizionali.

In Italia, com’è noto, la lotta studentesca e operaia culminò nell’“autunno caldo” del ’69, segnale di una politica incapace di ascoltare e capire i cambiamenti di una società più moderna ed esigente. La radicalizzazione[7] di questi scontri sociali sfociò nella strage di Piazza Fontana, l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura del 12 dicembre 1969, e nell’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”, volta a seminare paura e a creare un argine autoritario alle proteste sessantottine.

Vittima e capro espiatorio eccellente fu l’anarchico Giuseppe Pinelli, il ferroviere, trattenuto in stato di fermo e ucciso il 16 dicembre nei locali della Questura di Milano. Al riguardo Fernanda Pivano avrebbe commentato: «Chi me l’avesse detto, quando traducevo l’«Antologia di Spoon River», che quelle fragili, intense, fascinose poesie avrebbero fatto da epitaffio a Pinelli […]»[8]. Ironico che Pinelli, poco tempo prima, avesse regalato proprio Spoon River a Calabresi[9], in risposta al Mille milioni di uomini di Emanuelli donatogli dal commissario.

La lirica che fu scelta per la lapide di Pinelli, simbolo di un’identica tragedia, è, infatti, quella dedicata a Carl Hamblin, anarchico accusato con altri di una bomba esplosa nel corso di un comizio operaio a Chicago nel 1886[10], e punito per aver pubblicato, sul «Clarion» alias «Lewistown News», una descrizione agghiacciante della dea bendata che “dovrebbe” rappresentare la giustizia:

Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati / ritta sui gradini di un tempio marmoreo. […] Poi un giovane col berretto rosso / balzò al suo fianco e le strappò la benda. / Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose / sulle palpebre marce; le pupille bruciate da un muco latteo; la follia di un’anima morente / le era scritta sul volto. Ma la folla vide perché portava la benda[11].

In quel clima politico e culturale, dopo La buona novella, ispirato alla vita di Gesù narrata nei Vangeli apocrifi e dedicato al «più grande rivoluzionario di tutti i tempi»[12], De André, rileggendo l’Antologia tradotta da Pivano, scelse, con l’aiuto del paroliere Giuseppe Bentivoglio e del giovane arrangiatore Nicola Piovani, nove poesie da musicare e rendere più contemporanee, più aderenti alla condizione della borghesia del suo tempo. «Non al denaro non all’amore né al cielo nel 1971 è forse il lavoro in cui l’anarchismo spirituale di De André e la sua attenzione agli strati emarginati della società trovano il più coerente punto di confluenza con gli slanci di contestazione esplosi tre anni prima»[13], ha affermato, infatti, Carlo Bianchi.

Il disco fu registrato agli studi Ortophonic di Roma, e fu prodotto da Sergio Bardotti e da Roberto Dané, che ha commentato: «Fabrizio era un insicuro […] E il mio primo lavoro era quello di stimolarlo, di fargli vincere quell’ansia originaria. Poi era un esigente. Voleva il massimo del massimo […] Fabrizio voleva a tutti i costi essere un poeta»[14]. Al riguardo anche Bardotti ha dichiarato: «Fabrizio è la persona più civile e affabile del mondo, ma non è facile lavorare con lui. È pieno di paure, un autocritico per il quale pubblicare è una responsabilità morale e culturale molto sentita»[15].

Questo suo atteggiamento sorprese anche Fernanda Pivano al loro primo incontro, organizzato con Dané a casa di lei il 13 maggio ’71, per discutere sul concept album in via di realizzazione. Per lei il cantautore era già un’icona, fin dal suo primo ascolto casuale da un jukebox, nel ’64, della Guerra di Piero e delle «ballate contestatarie e pacifiste»[16] che l’avevano conquistata. L’americanista aveva inviato alla sua casa discografica di allora, la Karim, delle lettere, a lui mai inoltrate, per chiedergli di poter inserire le sue canzoni nell’Antologia della pace[17] in cantiere per la Feltrinelli. Al riguardo De André ha dichiarato:

Quando finalmente trovai il coraggio di incontrare Nanda Pivano per chiederle il permesso di saccheggiare lo Spoon River di Edgar Lee Masters, mi apparve nel controluce dell’ingresso una giovane squaw dal sorriso felice e dagli occhi dolcissimi sovrastati da una fascia multicolore che le ornava la fronte: più bella, più gentile, più luminosa di quanto avessi tentato anche solo di immaginarla[18].

De André, frenato dalla timidezza, e Pivano, tremolante per l’emozione, cominciarono a parlare dell’Antologia e della decisione di farne un album musicale. La consulente Einaudi ha ricostruito: «Erano nove i personaggi evocati quel giorno dai miei ricordi di adolescente, dalla mia passione di pacifista. E poi, più incredibile dell’immaginabile, Fabrizio ha “accennato”, per usare la sua parola, l’aria che aveva dato a uno di loro»[19]. Proseguiva Pivano nei propri Diari: «Fabrizio, tanto era intimidito, cantò a cappella perché aveva lasciato la sua chitarra sul pianerottolo: a Fernanda, incredula, disse che aveva “paura di disturbare”»[20]. Fu l’alba di un’amicizia profonda tra due anime affini, fiorita tra riduzioni musicali e durata fino alla morte del cantante:

Più avanti la invitai in sala di registrazione per farle ascoltare qualche provino di quella che sarebbe diventata la volgarizzazione cantata di alcune poesie […]; quando le si inumidirono gli occhi credetti di aver visto male, ma dopo essermi accorto che si trattava di lacrime vere, mi girai verso il mixer vergognandomi di farle notare le mie[21].

La celebre intervista stampata sul retro della copertina fu, in verità, “rubata”: Dané la richiese a Pivano e, consapevoli che De André non si concedeva a tali colloqui, i due si servirono di un sotterfugio. Fernanda incontrò Fabrizio nella stanza di un albergo romano dove egli stava, allora, alloggiando e nascose un registratore sotto il letto:

Nanda: Cioè, tu hai sentito in queste poesie che nella vita non si riesce a “comunicare”? Quella che a me pare la denuncia più precorritrice di Masters, la ragione per la quale queste poesie sono ancora attuali, specialmente tra i giovani?

Fabrizio: Sì, decisamente sì. […] ho cercato di adattare questo Spoon River alla realtà in cui vivo io. Perché […] non le ho addirittura inventate io, queste storie? Dal punto di vista creativo, visto che c’era stato questo signor Lee Masters che era riuscito a penetrare così bene nell’animo umano, non vedo perché avrei dovuto riprovarmici io[22].

Furono scelti due temi per la conversazione: l’invidia, «molla» e «ignoranza» con cui l’uomo esercita il potere sugli altri e compete per vincerli; e la scienza, «prodotto del progresso» ed elemento di «contrasto» tra le aspirazioni dei ricercatori e un sistema che le soffoca, al servizio di chi vuole dominare l’uomo invece di servirlo.

Malgrado l’ottima riuscita finale, all’inizio il lavoro sull’album causò disaccordi: Bentivoglio, «marxista romano»[23], propendeva per portare avanti un discorso politico; il cantautore, «anarchico genovese»[24], uno essenzialmente umano, non volendo nessuno dei due uscire fuori dai binari della poesia.

Riguardo a Lee Masters De André aveva affermato:

F.: […] denuncia i difetti di gente attaccata alle piccole cose, che non vede al di là del proprio naso, che non ha alcun interesse umano al di fuori delle necessità pratiche.

N.: Cioè più che la sua contestazione politica ti ha interessato la sua contestazione umana?

F.: Sì, secondo me il difetto sostanziale sta nella natura umana[25].

La canzone d’apertura, nella prima parte, non poteva, dunque, che essere dedicata a La collina, la presentazione-manifesto dell’Antologia di Masters:

Dove se n’è andato Elmer / che di febbre si lasciò morire, / dov’è Herman bruciato in miniera. / Dove sono Bert e Tom, / il primo ucciso in una rissa / e l’altro che uscì già morto di galera. / E cosa ne sarà di Charley / che cadde mentre lavorava / e dal ponte volò e volò sulla strada. / Dormono, dormono sulla collina / dormono, dormono sulla collina[26].

Sia la poesia sia la trasposizione musicale mantengono, oltre all’incalzante ritornello, un simile schema tripartito[27]; presentano una galleria di personaggi maschili e femminili dall’esistenza drammatica, altri distrutti dalla guerra, e infine il vecchio “suonatore Jones”, che non pensò «né al denaro, né all’amore, né al cielo»[28].

Nell’album seguono i primi tre personaggi vittime, ognuno in modo diverso, dell’invidia: Un matto, alias Frank Drummer, per tutti lo scemo del villaggio, su cui scaricare le frustrazioni e che per rivalsa imparò «la Treccani a memoria» ma morì in manicomio; Un giudice, alias Selah Lively, il quale, una volta «arbitro in terra del bene e del male», si vendicò e umiliò chi l’aveva bullizzato per il suo nanismo; e Un blafemo, alias Wendell P. Bloyd, esegeta[29] dell’invidia che, ricercando la “mela” della conoscenza, venne ucciso da due «guardie bigotte». L’Eden e il sistema poliziesco sono, infatti, come «il cinema dei telefoni bianchi al tempo del fascismo, un mondo di sogni nel quale rinchiuderci per non permetterci di vedere la realtà»[30].

A chiudere la prima parte e a dominare il vizio capitale è Un malato di cuore, alias Francis Turner, il ragazzo costretto a vivere da spettatore finché non morì dando il suo primo bacio «e l’anima d’improvviso prese il volo». Al riguardo si riporta il relativo scambio di battute fra Pivano e De André, registrato nei Diari dell’americanista:

N.: Possiamo dire che ha scavalcato l’invidia perché a spingerlo non è stata la molla del calcolo ma è stata la molla dell’amore?

F.: Ma sì, l’avrei detto io se non lo avessi detto tu.

N.: E allora possiamo concludere con la vecchia proposta di Masters, che a trionfare sulla vita è soltanto chi è capace di amore?

F.: Sì, a trionfare sono i “disponibili”[31].

Nella seconda parte, invece, come anticipato, sono protagoniste le vittime della scienza: Un medico, alias Siegfried Iseman, che utopicamente voleva guarire «i ciliegi malati in ogni stagione», ma finì succube di un sistema opportunista; Un chimico, alias Trainor, il farmacista, «morto in un esperimento sbagliato» dopo essersi rifugiato nel rigore scientifico della chimica e aver evitato l’instabilità dell’amore; e Un ottico, alias Dippold, una sorta di spacciatore d’allucinogeni che si vendeva come «mercante di luce» per evadere dalla realtà e far sognare gli occhi.

Nel finale, a salvarsi nel gruppo è Il suonatore Jones, omonimo dell’Antologia, che non fece della musica un mestiere, ma rimase disponibile a suonare poiché non fu ossessionato dal guadagnare, ma semplicemente lo fece per piacere e per regalare emozioni, non rinunciando mai alla propria libertà:

E poi se la gente sa, / e la gente lo sa che sai suonare, / suonare ti tocca / per tutta la vita / e ti piace lasciarti ascoltare. / Finì con i campi alle ortiche, / finì con un flauto spezzato / e un ridere rauco / e ricordi tanti / e nemmeno un rimpianto[32].

L’alter ego[33] del musicista è chiaramente il medesimo De André: il cantautore, infatti, come Jones, abbandonò i campi per la propria vocazione e lasciò l’università per seguire un sogno. Nonostante ciò, il parallelismo con Jones è stato da lui vissuto con difficoltà, sentendosi Fabrizio «un professionista della musica»[34] e faticando a proiettare l’esempio del flautista nel quotidiano:

N.: […] Qual è il messaggio di questo Spoon River?

F.: Direi, tutto sommato, che siamo usciti all’atmosfera della morte per tentare un’indagine sulla natura umana, attraverso personaggi che esistono nella nostra realtà, anche se sono i personaggi di Masters[35].

De André si discostò in alcuni passaggi[36] sia dal testo originale sia dalla traduzione di Pivano: ad esempio, nella Collina il tema della guerra, presentissimo nella discografia del cantautore, ha un’accezione negativa più critica; Frank Drummer, breve come epitaffio, in musica si arricchì di versi; e «l’Enciclopedia Britannica» venne italianizzata nella «Treccani»; da Il giudice Selah Lively vennero, inoltre, eliminati i riferimenti a fatti e persone per restare sul generico e per dare spazio a trovate anche ardite come «un nano / è una carogna di sicuro / perché ha il cuore troppo / troppo vicino al buco del culo». De André ‒ ha rivelato Piovani ‒ «pensava che bisognasse farla approvare dalla Pivano, ma temeva che lei la bocciasse. Così gli dissi: cantala un po’ sottovoce, che non si capisca troppo. Venne Fernanda, lui iniziò a cantare, cercammo di restare impassibili e lei rimase a sua volta impassibile. Solo più tardi, a cena, chiese: a proposito, com’è venuto fuori quel buco di culo? Poi si mise a ridere: era fatta»[37].

Ancora: in Wendell P. Bloyd l’«infermiere cattolico» fu sostituito da due «guardie» e, mentre Masters aveva pensato alla crocefissione di Gesù come rimedio al «brutto pasticcio» dell’Eden, De André, come si è detto, si focalizzò sulla «mela proibita» e sulla questione religiosa, l’“oppio dei popoli”:

F.: Non mi bastava il fatto traumatico che il blasfemo venisse ammazzato di botte: volevo anche dire che forse è stato il blasfemo a sbagliare, perché nel tentativo di contestare un determinato sistema, un determinato modo di vivere, forse doveva indirizzare il suo tipo di ribellione verso qualcosa di più consistente che non un’immagine così metafisica.

N.: […] il giardino incantato non è più quello divino dove secondo Masters l’uomo non avrebbe dovuto sapere che oltre al bene esiste il male.

F.: Sì, in realtà per il blasfemo il giardino incantato non è stato creato da Dio ma è stato addirittura inventato dall’uomo e comunque la “mela proibita” è ancora sulla terra e noi non l’abbiamo ancora rubata. A questo punto hai capito che cosa voglio dire io per sognare: voglio dire pensare nel modo in cui si è costretti a pensare dopo che il sistema è intervenuto a staccarci decisamente dalla realtà[38].

Infine, da ricordare che in Francis Turner, e in Trainor, il farmacista, il contenuto fu ampliato; in Siegfried Iseman fu eliminato il riferimento alla morale cristiana, forse per non ripetersi dopo Un blasfemo, e fu creata la potente immagine dei ciliegi feriti; Dippold, l’ottico fu paragonato a Timothy Leary[39] o ad Aldous Huxley; e, in conclusione, Il suonatore Jones, per ragioni di metrica, non fu più violinista, ma divenne flautista.

Non al denaro non all’amore né al cielo entrò in classifica nel gennaio del ’72, ci restò per otto mesi[40] e arrivò a occupare il primo posto, replicando, persino in campo musicale, il consenso di pubblico ottenuto da Spoon River. Fernanda Pivano ha ricordato al riguardo:

Quel disco intitolato con le parole di un verso di Edgar Lee Masters aveva accresciuto ancora, anche se pareva impossibile, la mia ammirazione per il suo talento, perché le poesie di Fabrizio erano molto più belle dell’originale americano, immerse com’erano nell’umanità e nello stupore che hanno accompagnato sempre le sue poesie e le sue canzoni[41].

All’assegnazione della Targa Tenco nel 1997, è stata proprio Fernanda a consegnare il premio all’amico fraterno:

Mentre io parlavo lui mi ascoltava con un’ironia che solo la mia devozione mi ha permesso di sopportare. Ma quando gli ho detto: «Dicono che Fabrizio è il Bob Dylan italiano. Oh, nel dargli questo premio, d’amore più che di potere, vorrei che fosse Bob Dylan a venire chiamato il Fabrizio americano», la sua ironia per un istante era finita e ci siamo abbracciati con gli occhi un po’ troppo lucidi[42].

La scoperta illuminante di un poeta libertario e l’affettuoso rapporto di ammirazione sconfinata e reciproca tra il cantautore e l’americanista hanno suggellato in tal modo il valore di un long seller ultracentenario, che riesce a raccontare con autenticità e spregiudicatezza le bellezze e, soprattutto, le bruttezze della condizione umana. Il successo di Non al denaro non all’amore né al cielo, uscito quasi trent’anni dopo la prima tiratura italiana di Spoon River, confermò sia la trasversalità senza tempo della poetica di Masters sia la natura malleabile dell’opera, capace di abitare con facilità anche un altro ambito artistico ed espressivo come la musica.

  1. S. Cesari, Colloquio con Giulio Einaudi, Torino, Einaudi, 2007, p. 135.
  2. «Festival degli Scrittori. Premio Gregor von Rezzori-Città di Firenze»; cfr. l’URL: http://premiogregorvonrezzori.org/premio/ (ultima consultazione: 11/02/2024).
  3. A. Porta, Postfazione. Edgar Lee Masters poeta per la verità, in E. L. Masters, Antologia di Spoon River, a cura e con una postfazione di A. Porta, Milano, Mondadori, 1987, p. 529.
  4. C. G. Romana, Amico fragile Fabrizio De André, prefazione di F. Pivano, Milano, Sperling paperback, 2002, p. 80.
  5. I. Fossati, Intervista a Ivano Fossati, in Belìn, sei sicuro? storia e canzoni di Fabrizio De André Nuova edizione ampliata, a cura di R. Bertoncelli, Firenze, Giunti, 2012, p. 141.
  6. L. Viva, Non per un Dio ma nemmeno per gioco: vita di Fabrizio De André, Milano, Feltrinelli, 2000, p. 151.
  7. G. Balbis, G. Amoretti, V. Boggione, La cultura del terzo Novecento, in Storia e Antologia della Letteratura. Novecento e Oltre. Tomo 6, dir. da G. Bàrberi Squarotti, Bergamo, Atlas, 2006, p. 657.
  8. F. Pivano, «Spoon River» parla ancora, in «Corriere della Sera», 16 gennaio 1979, p. 3.
  9. A. Scanzi, Pinelli, Calabresi, Sofri, in «Il Fatto quotidiano», 3 aprile 2012; cfr. l’URL: https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/04/03/pinelli-calabresi-sofri/202026/ (ultima consultazione: 11/02/2024).
  10. L. Ballerini, Note a E. L. Masters, Antologia di Spoon River, introduzione, traduzione e commento di L. Ballerini, Milano, Mondadori, 2016, p. 628.
  11. E. L. Masters, Carl Hamblin, in Id., Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, Torino, Einaudi, 1971, p. 128.
  12. S. Sanna, Fabrizio De André. Storie, memorie ed echi letterari, Roma, Effepi libri, 2009, p. 22.
  13. C. Bianchi, Lo sguardo della contestazione De André, Spoon River e il vento del Sessantotto, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», XLVI, n. 3/2012, p. 356.
  14. Intervista a Roberto Dané, in Belìn, sei sicuro? storia e canzoni di Fabrizio De André Nuova edizione ampliata, a cura di R. Bertoncelli, op. cit., p. 91.
  15. S. Bardotti, In via dei matti numero zero, Roma, Edizioni Associate, 1997, pp. 116-17.
  16. F. Pivano, Diari 1917-1973, a cura di E. Rotelli con M. Bricchi, Milano, Bompiani, 2008, p. 1469.
  17. F. Pivano, Prefazione a C. G. Romana, Amico fragile Fabrizio De André, op. cit., p. IX.
  18. F. De André, Una goccia di splendore, un’autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari, Milano, Rizzoli, 2007, in R. De Michele, Fernanda Pivano e l’altra America; cfr. l’URL: https://archive.org/details/FernandaPivano-LaltraAmerica (ultima consultazione: 11/02/2024).
  19. F. Pivano, I miei amici cantautori, a cura di S. Sacchi e S. Senardi, Milano, Mondadori, 2005, p. 68.
  20. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1470.
  21. F. De André, Una goccia di splendore, un’autobiografia per parole e immagini, a cura di G. Harari, op. cit.
  22. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1471.
  23. C. G. Romana, Amico fragile Fabrizio De André, prefazione di F. Pivano, op. cit., p. 82.
  24. Ibidem.
  25. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1475.
  26. F. De André, La Collina, in Id., Non al denaro non all’amore né al cielo, Milano, Produttori associati, 1971.
  27. R. Montesano, “E nemmeno un rimpianto”. Dall’Antologia di Spoon River a Non al denaro non all’amore né al cielo, Tagnavacco, Edizioni Segno, 2012, pp. 63-64.
  28. E. L. Masters, La collina, in Id., Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, op. cit., p. 4.
  29. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1472.
  30. C. G. Romana, Amico fragile Fabrizio De André, prefazione di F. Pivano, op. cit., p. 82.
  31. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1473.
  32. F. De André, Il suonatore Jones, in Id., Non al denaro non all’amore né al cielo, op. cit.
  33. R. Montesano, “E nemmeno un rimpianto”. Dall’Antologia di Spoon River a Non al denaro non all’amore né al cielo, op. cit., p. 88.
  34. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1476.
  35. Ivi, p. 1473.
  36. Cfr. R. Montesano, “E nemmeno un rimpianto”. Dall’Antologia di Spoon River a Non al denaro non all’amore né al cielo, op. cit.
  37. C. G. Romana, Smisurate preghiere: sulla cattiva strada con Fabrizio De André, Roma, Arcana, 2009, p. 66.
  38. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1474.
  39. Ivi, p. 1473.
  40. E. Deregibus, Traccia biografica, in Belìn, sei sicuro? storia e canzoni di Fabrizio De André Nuova edizione ampliata, a cura di R. Bertoncelli, op. cit., p. 56.
  41. F. Pivano, Diari 1917-1973, op. cit., p. 1477.
  42. F. Pivano, I miei amici cantautori, a cura di S. Sacchi e S. Senardi, op. cit., p. 70.

(fasc. 52, vol. II, 3 giugno 2024)