Il ruolo delle riviste culturali italiane al “Salon de la Revue” di Parigi. Intervista a Maria Panetta, Vicepresidente del Coordinamento nazionale

Author di Rebecca Zani

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Da sinistra: Rebecca Zani e Maria Panetta al 34° “Salon de la revue” di Parigi del 2024.

Il 34° “Salon de la Revue” (11-13 ottobre 2024) si è aperto nella “Halle des Blacs-Manteux”, nel cuore del quartiere parigino del Marais[1]. Anche in questa edizione l’Italia è presente e rappresentata, oltre che dalla rivista «Studi francesi», dal CRIC (Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura). Ne parla la Vicepresidente, Maria Panetta.

Per cominciare, quando nasce il CRIC e quante riviste rappresenta?

Il CRIC nasce nell’aprile del 2003, quindi 21 anni fa, principalmente su iniziativa di alcuni direttori di riviste culturali. Ad oggi comprende sei editori: “Casalini Libri”, che fornisce ottimi servizi editoriali anche per quanto riguarda il digitale; la gloriosa casa editrice romana “Edizioni di storia e Letteratura”; il colosso “Fabrizio Serra Editore”, che porta da solo “in dote” 140 riviste; il raffinato editore “Leo S. Olschki”, prima veronese e poi fiorentino dal 1897; la pisana “Pacini Editore Srl”, attenta alla saggistica e agli e-book; e la romana “Pagine”, specializzata in testi scolastici e universitari. Le testate associate al CRIC sono 81 oltre alle 140 di Serra, quindi in totale circa 220.

Quali sono gli obiettivi primari del CRIC?

L’acronimo CRIC sta per “Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura” e il termine “coordinamento” fa ben comprendere l’intenzione primaria del CRIC: quella, cioè, di mettere in collegamento tutta una serie di testate che sono di rilievo di per sé, ma che, a nostro avviso, acquistano e acquisterebbero maggiore peso insieme. L’idea portante del CRIC è che “l’unione fa la forza”; pertanto, anche la singola rivista che magari non dispone degli stessi mezzi di periodici importanti o di riviste supportate da editori prominenti può, tramite il CRIC, avere una visibilità maggiore.
Oltre a questo scopo primario, il CRIC si adopera anche per rappresentare e tutelare gli interessi dei periodici di cultura presso le sedi istituzionali, perché, mentre è assai poco probabile che ogni rivista possa avere un interlocutore all’interno delle sedi istituzionali stesse, se c’è un coordinamento unico che si fa portavoce delle istanze dei direttori dei periodici presso le istituzioni, c’è una maggiore possibilità di essere ascoltati.

Per quanto riguarda la promozione e la diffusione delle riviste, come si muove il CRIC?

Abbiamo notato, in questi anni, che a volte ci sono problemi di distribuzione; così, abbiamo cercato di sostenere la distribuzione delle riviste nelle librerie, perché negli ultimi anni era diminuita. Abbiamo provato a incentivarne la diffusione anche tramite una serie di proposte pratiche (ad esempio, l’idea di un espositore del Cric con tutta una serie di testate da posizionare nelle librerie interessate), e soprattutto a promuovere la lettura. Questo è quello che più ci sta a cuore: riteniamo che la rivista di cultura non debba essere solo un foglio che circola tra le mani degli “addetti ai lavori”, ma che, anzi, debba essere valorizzata come fosse una sorta di “istituto culturale” in grado di promuovere anche la formazione, l’accrescimento della conoscenza, la curiosità verso determinati ambiti di ricerca. La rivista culturale non dev’essere solo una pubblicazione di nicchia, che raggiunge un pubblico settoriale e già interessato a determinati argomenti.

E quindi i giovani sono un target “speciale” del CRIC…

Sì, il nostro obiettivo sarebbe anche quello di far arrivare la rivista culturale ai giovani. Ad esempio, anche se può sembrare quasi utopico – però bisogna puntare in alto, perché nella vita per ottenere dieci bisogna chiedere cento (e al contempo impegnarsi per mille) ‒, la nostra ambizione sarebbe quella di promuoverla nelle scuole, di cercare di dimostrare e valorizzare l’importanza delle riviste culturali anche per i ragazzi in formazione. Quello di portare le riviste culturali nelle scuole è, senza dubbio, un progetto ambizioso, però nelle università i periodici sono già ben presenti: molte riviste, ad esempio, compaiono nelle bibliografie di vari corsi di studio e alcuni programmi d’esame rimandano ad articoli e saggi usciti su riviste. Fra l’altro, ultimamente i periodici nel panorama accademico sono diventati di primaria importanza, perché per i docenti universitari è divenuto necessario pubblicare con una certa assiduità su rivista, e in particolare su alcune riviste definite dal Ministero e dall’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca) “di classe A”.

Possiamo ripercorrere brevemente la storia della rivista in Italia?

Mi rendo conto che nel 2024 le riviste (specie cartacee) potrebbero apparire quasi come un retaggio culturale del ’900, dallo stile un po’ old-fashioned, ecco. Eppure, la rivista, specie dopo la Legge 240 del 2010 e la riorganizzazione del Sistema universitario, ha riacquisito una certa importanza.

Però, c’è da dire che i periodici in Italia hanno sempre avuto un ruolo di rilievo, fin dalla loro comparsa. Forse non tutti sanno che la prima gazzetta specializzata in argomenti letterari era romana: il «Giornale de’ Letterati» nato nel 1668. Nel ’700 c’è stato un grande sviluppo del settore ed è aumentata la diffusione delle riviste e nell’800 possiamo annoverare tanti titoli importanti (ad esempio, la fiorentina «Nuova Antologia», che aderisce al CRIC, riprende la tradizione culturale della prima «Antologia» di Gino Capponi e Gian Pietro Vieusseux, fondata nel 1821), ma anche nel ’900 la rivista non era soltanto un foglio ma una vera e propria istituzione: allora, il dibattito culturale passava per le riviste. Di certo, tutti ricordiamo periodici notissimi dei primi del ’900 come i fiorentini «Leonardo» o «La Voce», entrambi fondati da Giuseppe Prezzolini e Giovanni Papini: erano sedi in cui si discuteva, ci si confrontava su problemi filosofici, ne emergevano questioni di ambito sociologico. In particolare, «La Voce» non si occupava solo di temi letterari, ma entrava nel merito di problematiche legate alla vita di tutti i giorni come quella scottante del divorzio! Era veramente legata alla vita delle persone. Ecco: noi speriamo che la rivista possa riconquistare questo ruolo, possa tornare a incidere sul reale; quindi, che non punti solo all’approfondimento culturale per pochi eletti che magari già “sanno”, ma riesca a recuperare il ruolo di primo piano che aveva ancora nel Novecento. E non si tratta di un “ritorno al passato” nel senso più “ammuffito” e statico del termine, ma di valorizzare, adeguandola all’oggi, una tradizione che in Italia (così come in Francia) è particolarmente forte. In Italia, la rivista è stata un’istituzione fondamentale per il progresso e il dibattito culturale: non dobbiamo dimenticarlo.

Il CRIC ritiene che le riviste siano fondamentali per lo sviluppo della democrazia e del libero dialogo e che possano fornire anche da questo punto di vista ottimi spunti di riflessione. In quest’ottica il tema della diffusione online è di particolare interesse, perché i pregiati contenuti di approfondimento veicolati dalle riviste possono circolare velocemente in rete e arrivare a fasce di pubblico che prima le riviste cartacee da sole non raggiungevano…

Quindi esistono riviste cartacee, cartacee e digitalizzate, e riviste che nascono nel mondo digitale, “digital-born” come si suol dire, giusto?

Esatto. A questo proposito, non posso non accennare alla rivista di cui sono la fondatrice: «Diacritica», nata dieci anni fa. È stata la prima rivista esclusivamente digitale ad aderire al CRIC. Perché il digitale? Innanzitutto, ovviamente, per abbattere i costi. Inoltre, le riviste digitali, come accennato, hanno ampia diffusione e raggiungono dei pubblici anche inaspettati, inattesi, insospettabili e soprattutto internazionali. Si tratta di lettori a cui, magari, neanche si pensa come destinatari e che, invece, fortunatamente e con nostra grande soddisfazione, si fidelizzano tramite la rete.

Ci sono anche riviste cartacee passate al telematico per ragioni di economia di spesa. Questo processo riguarda, ad esempio, numerose riviste accademiche: infatti, gli atenei, che sostenevano i costi di stampa delle riviste, spesso oggi caldeggiano il passaggio al digitale. Il cartaceo, però, non deve mai essere demonizzato! Anzi: personalmente, confesso che, quando nacque «Diacritica», avrei voluto che fosse cartacea e tutt’ora accarezzo il sogno di poterla, un giorno, stampare. Il cartaceo, infatti, ha un fascino perenne; e il digitale, quindi, può rappresentare anche un valore aggiunto per pubblicizzare la versione a stampa delle riviste.

Oggi ci incontriamo in un quadro molto particolare. Siamo a Parigi, in un fine-settimana in cui riviste francesi meticolosamente scelte espongono il proprio operato: che rapporto intrattiene il CRIC con il “Salon de la Revue” e da quando vi partecipa?

Il Presidente, l’Onorevole Valdo Spini, da anni tiene molto all’appuntamento del “Salon de la Revue”. Per noi è un privilegio e un piacere essere l’unico banco italiano ‒ assieme a «Studi Francesi» ‒ al “Salon”: infatti, tutte le altre riviste presenti sono solo ed esclusivamente francesi, e questa è una piccola-grande vittoria. Anche da un punto di vista diplomatico per noi è importante essere sempre calorosamente accolti in questa capitale culturale, letteraria e artistica che è Parigi: l’anno scorso, ci ha onorato con la sua presenza anche l’Ambasciatrice Italiana in Francia, la dottoressa Emanuela D’Alessandro. Per tale ragione la nostra partecipazione al “Salon” è sostenuta anche dal Ministero degli Esteri, che ci teniamo a ringraziare anche in questa sede.

Ci fa piacere osservare che ogni anno si presentano allo stand studiosi, intellettuali, docenti, studenti italiani che si sono trasferiti a Parigi e che conoscono il banco del CRIC. Passeggiando fra gli espositori di questo ex-mercato, la Halle des Blancs-Manteaux, anche moltissimi visitatori francesi sono incuriositi dal CRIC: sono sempre molto affabili e interessati. Sicuramente, la cosa più difficile della nostra partecipazione al “Salon” è la gestione delle testate da esporre sul tavolo, perché, come accennato prima, sono sempre tantissime e lo spazio di esposizione è limitato…

Prima di congedarci: quali sono le prossime attività del CRIC in agenda?

Ci stiamo già organizzando per la prossima edizione del “Salon”, nel 2025. A breve saremo alla fiera di Roma “Più Libri più Liberi” con uno stand, dei dibattiti e delle presentazioni: senza svelare troppo le nostre carte, posso anticipare che uno degli argomenti principali di quest’anno sarà Giacomo Matteotti, figura che ci rappresenta pienamente come emblema dei valori democratici e della lotta per la libertà.

Dall’anno scorso partecipiamo a “Firenze Rivista”, una realtà giovane, che coinvolge molte vivaci testate diverse dal target dei periodici in genere rappresentati dal CRIC, ma che ci interessa molto proprio perché ci permette di approcciare un pubblico giovanile, differente da quello “canonico” del Coordinamento. Siamo presenti anche al “Lucca Book Festival” e speriamo, in futuro, di poter partecipare pure alla “Fiera di Francoforte” e al “Salone del Libro di Torino”. Ci piacerebbe anche arrivare a “Una Marina di Libri”, una manifestazione incentrata sul libro a Palermo, perché siamo ben rappresentati al Centro-Nord ma desideriamo scoprire e dare il giusto rilievo anche al nostro Sud, che è così ricco di risorse.

  1. Si ringraziano Rebecca Zani e thedotcultura.it per aver concesso di riprodurre l’intervista a Maria Panetta registrata al “Salon de la revue” di Parigi l’11 ottobre 2024 e uscita il 12 ottobre su “thedot cultura” (N.d.R.).

(fasc. 54, 25 novembre 2024)