Giacomo Matteotti fu certamente un martire della violenza fascista, un uomo che la sfidò sin dal 1921 fino all’estremo sacrificio. “Adesso preparate il mio elogio funebre”, disse al deputato socialista friulano Giovanni Cosattini che gli sedeva accanto il 30 maggio 1924 e si era congratulato con lui per il suo discorso.
Il suo assassinio del 10 giugno successivo delegittimò per sempre il regime fascista, all’interno e all’estero del nostro paese. Ma la sua personalità è anche quella di un vero e proprio maestro politico. Egli era radicale nei principi – pace, libertà, democrazia, giustizia sociale – e riformista nel metodo, nel senso dell’azione concreta e continua per l’elevazione e l’emancipazione politica delle classi lavoratrici.
Tradotto in termini di attualità, questo significa oggi l’invito a occuparsi delle classi e dei ceti che sono rimasti indietro e di quegli stessi strati delle classi lavoratrici e del ceto medio che non si sono più sentiti rappresentati e difesi dai partiti tradizionali della sinistra e del centro-sinistra.
Nel 1924 l’uccisione di Giacomo Matteotti suscitò anche l’impegno politico di una nuova generazione di giovani socialisti, che possiamo definire “i Matteottini” e che ebbe per principali esponenti Sandro Pertini, Carlo Rosselli, Giuseppe Saragat. Carlo Rosselli (1899-1937), col fratello Nello e altri giovani reduci dalla Prima guerra mondiale, aveva dato vita a Firenze al Circolo di Cultura, libera palestra di confronto e di dibattito sui temi di attualità alla ricerca di un orientamento politico nella difficile e confusa situazione che era venuta a crearsi nel primo dopoguerra. Dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti scatta l’imperativo dell’impegno e della lotta. Carlo Rosselli redige una dichiarazione di adesione al Partito Socialista Unitario, sottoscritta da numerosi soci del Circolo, dichiarando che dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti “non è più lecito ai cittadini che hanno senso di responsabilità rimanere isolati e inerti”, che le divisioni in merito all’intervento nella Prima guerra mondiale (cui Matteotti era stato intransigentemente contrario) sono ormai superate, e conclude che i firmatari, “accettando i principi e il programma del Partito Socialista Unitario, domandano la loro iscrizione al partito stesso”. Con Carlo Rosselli firmano, tra gli altri, Gaetano Salvemini, Manara Valgimigli, Ugo Procacci, Gino Luzzatto, Piero Jahier e Tommaso Ramorino, personaggi che erano o diventeranno molto noti nella cultura italiana. Questa presa di posizione valse al Circolo di Cultura l’assalto fascista nella notte dell’ultimo dell’anno 1924 e la chiusura di autorità pochi giorni dopo.
Rosselli evolverà e preciserà in seguito la sua visione del socialismo riformista, teorizzando nel 1930, nell’esilio parigino, quel “socialismo liberale” che metterà alla base del suo movimento Giustizia e Libertà. Un punto di riferimento anche oggi per chi intende costruire, all’insegna di un’etica della responsabilità collettiva, una società giusta che riconosca l’iniziativa privata ma che sia altresì dotata di quei meccanismi che impediscano alle disuguaglianze di diventare insostenibili.
Ristretto nel confino di Lipari, ne evase con una clamorosa impresa che lo portò in Francia e, nel 1936, partecipò con una sua colonna italiana alla difesa della Repubblica spagnola. L’anno dopo, il 9 giugno 1937, verrà ucciso con il fratello Nello a Bagnoles de l’Orne dall’organizzazione terroristica francese di destra della Cagoule, su mandato del governo fascista italiano.
Nel 1934, decennale dell’uccisione di Matteotti, Rosselli aveva scritto nell’esilio parigino un testo, Giacomo Matteotti eroe tutto prosa, in cui con molta efficacia descriveva il grande personaggio politico che si occupava personalmente delle organizzazioni sindacali e cooperative rivolte al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori del suo Polesine, del Segretario nazionale del Psu che non disdegnava di prendere il secchiello della colla e di scendere personalmente a Roma, in piazza Colonna, a riattaccare i manifesti strappati dai fascisti nelle elezioni del 1924.
Rosselli aveva incontrato Matteotti nel 1924 a Torino, in occasione della presentazione da parte di Filippo Turati del programma del Psu per quella fatidica campagna elettorale. Nella stessa circostanza i due si incontrarono anche con Piero Gobetti che non a caso volle pubblicare subito dopo il suo assassinio Matteotti, un volume di scritti e di discorsi del segretario socialista[1]. Gobetti morì in esilio a Parigi nel 1926 a venticinque anni, dopo aver subito a Torino una durissima aggressione fascista. Anche il futuro Presidente della Repubblica (1978-1985), Sandro Pertini, si iscrive al Psu dopo l’assassinio di Matteotti. Pertini si trovava a Firenze, dove compiva gli studi per una seconda laurea al “Cesare Alfieri”: tema della sua tesi, la cooperazione. In una lettera datata giugno 1924, pubblicata da Stefano Caretti, indirizzata all’avv. Diana Crispi, Segretario della Sezione Socialista Unitaria di Savona, Sandro Pertini chiede l’iscrizione al PSU. Dopo aver affermato che da tempo l’idea socialista era racchiusa nel suo animo come «purissima religione», chiede altresì «l’onore» di retrodatarla al 10 giugno, giorno del rapimento e dell’assassinio di Giacomo Matteotti. Così esprime la necessità della sua militanza: «Raccogliamoci nella memoria del nostro martire attendendo la nostra ora. Solo così non sarà vano tanto sacrificio».
Pertini chiamava “maestro” Filippo Turati, il leader storico del socialismo riformista, e rimase sempre fedele alla sua militanza socialista, anche quando era condotta in posizioni di minoranza. Nel 1929 egli fu l’unico – al momento della condanna di fronte al tribunale Speciale per la Difesa dello stato che gli irrogò dieci anni di reclusione per propaganda antifascista – a gridare “viva il sociali- smo”, in un periodo in cui venivano condannati comunisti e anarchici. Scontò quattordici anni di carcere e di confino senza un giorno di interruzione.
Il futuro Presidente della Repubblica, pur da socialista riformista, portò sempre, nel suo percorso politico, un’attenzione particolare ai problemi dell’unità della classe operaia. Possiamo dire che forse egli è stato alla lunga il miglior prodotto della tradizione del socialismo riformista italiano. Nel 1970, in un periodo in cui ancora latitavano gli scritti di e su Giacomo Matteotti, Pertini da Presidente della Camera fece pubblicare i tre volumi dei Discorsi parlamentari del deputato socialista. E oggi sappiamo quale valore abbiano, per l’impegno meticoloso e puntuale che Matteotti stesso metteva nella preparazione, ad esempio, di quelli di argomento economico. E chi andrà a leggerseli potrà gustare un confronto dialettico tra Benedetto Croce, Ministro dell’istruzione nell’ultimo governo presieduto da Giovanni Giolitti, e il giovane deputato socialista sul tema dell’istruzione popolare.
Ricordo personalmente la commozione di Pertini quando sentì che Umberto Terracini, uno dei leaders della scissione del Partito Comunista Italiano, aveva detto che “a Livorno Turati aveva ragione”, cioè che al Congresso di Livorno del 1921 dove si era svolta quella scissione le posizioni del leader riformista sulla rivoluzione sovietica e sulle caratteristiche del socialismo italiano – che non andava confuso con quella – si erano dimostrate, a lungo andare, fondate.
I funerali del segretario comunista Enrico Berlinguer e la calorosa accoglienza che quella immensa folla riservò al Presidente della Repubblica furono la dimostrazione del profondo legame tra le classi popolari italiane e il vecchio socialista.
Giuseppe Saragat, un altro futuro Presidente della Repubblica (1964-1971), si era iscritto al partito socialista già nel 1922, militando nel Psu di Matteotti e Turati costituitosi il 4 ottobre di quell’anno. Turati commentò che in un periodo in cui molti lasciavano il partito perché colpito dalla violenza fascista, il giovane Saragat vi era invece entrato.
Il Psu venne sciolto d’autorità il 14 novembre 1925 ancor prima che le “leggi fascistissime” sciogliessero tutti i partiti eccetto il Pnf nel 1926[2]. Lo scioglimento del Psu fu decretato in seguito al fallito attentato a Mussolini di un suo esponente, Tito Zaniboni, che peraltro aveva agito a livello del tutto individuale. Ma già il 29 novembre successivo il Psu si ricostituì clandestinamente col nome di PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), il nome che il partito aveva assunto al Congresso di Reggio Emilia del 1893, introducendo il sostantivo socialista nel nome di quello che alla sua fondazione nel 1992 era stato semplicemente Partito dei lavoratori italiani.
A dirigere il Psli venne eletto un triumvirato, composto da Claudio Treves, Giuseppe Saragat e Carlo Rosselli. Treves era considerato con Turati uno dei “dioscuri” che avevano guidato il socialismo riformista italiano, Rosselli e Saragat due giovanissimi, rispettivamente di 26 e 27 anni. Con le “leggi fascistissime”, che soppressero le libertà politiche, Saragat e Treves furono costretti all’esilio, valicando il confine con la Svizzera nella notte tra il 19 e il 20 novembre 1926. Un mese dopo Carlo Rosselli e Sandro Pertini, assieme a Ferruccio Parri, il 12 dicembre 1926, riuscirono a far fuggire in Corsica, con un motoscafo guidato da Italo Oxilia, l’anziano leader socialista Filippo Turati, pur essendo questi stato privato del passaporto e tenuto di fatto prigioniero in casa a Milano dalla polizia del regime.
Saragat trovò poi rifugio in Austria, entrando in contatto con alcuni autorevoli esponenti dell’austromarxismo che teorizzavano la conciliabilità del pensiero di Marx con la socialdemocrazia (in particolare Karl Renner e Otto Bauer). Un’esperienza che influenzò profondamente la sua formazione intellettuale. Di qui il suo libro, L’humanisme marxiste, pubblicato a Marsiglia nel 1936. Nel frattempo, si era spostato a Parigi dove aveva partecipato al Congresso di riunificazione socialista del 1930. Con il suo umanesimo marxista cercava appunto di conciliare Marx con la democrazia del socialismo. Fu la sua concezione intransigente della democrazia che lo oppose nettamente al comunismo e lo portò alla scissione di Palazzo Barberini del 1947 contro la politica frontista del Psi di Pietro Nenni e alla formazione del rinato Psli, che poi trasformò in Psdi, Partito Socialista Democratico Italiano. Nel clima di scontro frontale del tempo, il suo partito rimase minoritario nella classe lavoratrice. Venne eletto Presidente della Repubblica nel 1964 al ventunesimo scrutinio, dopo una lunga battaglia parlamentare contro il candidato della Democrazia Cristiana, e ottenne nella circostanza anche i voti del Partito Comunista Italiano.
Possiamo quindi definire “Matteottini” questi tre personaggi, Sandro Pertini, Carlo Rosselli e Giuseppe Saragat, espressione della generazione giovane dell’antifascismo degli anni Venti.
Nel suo discorso di insediamento alla Presidenza dell’Assemblea costituente il 20 giugno 1946, lo stesso Saragat volle commentare la sua elezione proprio con questo riferimento:
È un omaggio verso coloro che, giovani nel 1922, hanno raccolto con le loro deboli forze, ma con una fede stimolata dall’esempio dei loro padri, la fiaccola della libertà e della giustizia. Molti di questi giovani ne sono stati arsi ed è per questo che pochi sono i superstiti; tutti ne sono stati i illuminati.
Giacomo Matteotti era stato ucciso nel 1924 a trentanove anni. Carlo Rosselli nel 1937, a Bagnoles de l’Orne viene ucciso a trentotto anni con il fratello Nello, di un anno più giovane. Con Gobetti, Antonio Gramsci ed altri furono tra i giovani che avevano raccolto la fiaccola della libertà e della giustizia e che erano caduti in questa battaglia, e “ne sono stati arsi”, come disse il Presidente dell’Assemblea Costituente.
Anche Pertini e Saragat avevano rischiato di finire uccisi, in particolare quando, durante la Resistenza, ambedue vennero catturati, imprigionati e condannati a morte a Roma nell’ottobre 1943. Furono salvati da un audace colpo di mano di patrioti socialisti, tra cui Giuliano Vassalli, che riuscì a farli evadere il 24 gennaio del 1944. Se non fossero stati liberati, sarebbero con tutta probabilità finiti alle Fosse Ardeatine il successivo aprile. La triste lista dei 335 uccisi per rappresaglia dai nazisti dopo l’attentato di via Rasella cominciava proprio con i prigionieri politici condannati a morte e con gli ebrei. Tutti e due questi “Matteottini” diventarono poi presidenti della Repubblica, Saragat nel 1964-1971 e Pertini nel 1978-1985.
La storia dei “Matteottini” che abbiamo sommariamente narrato costituisce la riprova della fecondità del sacrificio di Giacomo Matteotti e della dimensione profonda della sua eredità, etica e politica.
Sotto nuove forme questa eredità ci parla ancora[3].
- P. Gobetti, Matteotti, Torino, Piero Gobetti editore, 1924; ripubblicato in F. Corleone, 10 giugno 1924. Il fascismo uccide la democrazia, Ortona (Ch), Ediz. Menabò, 2024. ↑
- Cfr. V. Spini, Le leggi fascistissime (1925-28), Milano, RCS, 2024. ↑
- L’On. Valdo Spini è il Presidente della Fondazione Circolo Rosselli e del Coordinamento delle Riviste Italiane di Cultura. Il testo che si propone è uscito per la prima volta nei «Quaderni del Circolo Rosselli» (n. 3-4 del 2024), cui siamo grati per la disponibilità [N. d. R.]. ↑
(fasc. 54, 25 novembre 2024)