Si vocifera negli ambienti ukulelistici che l’idea del Monopolele sia nata in una serata vacanziera nella quale Salvo Mc Graffio e Mauro Minenna, ideatori e organizzatori del festival, videro nella città di Monopoli la location perfetta per una manifestazione musicale con protagonista lo strumento hawaiiano per antonomasia.
Si dice, inoltre, che ad accendere in loro l’entusiasmo fu una discreta quantità d’alcool, e sinceramente non stento a crederlo, perché suppongo che per pensare di mettere in moto una macchina così complessa ci vogliano determinazione sì, coraggio certamente, intraprendenza senza dubbio, ma soprattutto pochi freni inibitori.
La kermesse entra nel vivo il 30 maggio 2024, ma la presenza di un gruppo di folli irlandesi, Ukulele Tuesday, ukulelisti dublinesi fortissimi nell’animare le jam session, la fa cominciare “con il botto” già dalla sera del 29 con una coinvolgente esibizione che fa entrare nel clima festaiolo che caratterizzerà tutte le giornate e serate a seguire. Sì, perché nei festival di ukulele di tutto il mondo le persone non vogliono solamente godersi le performance di straordinari musicisti, ma suonare il più possibile, con chiunque, a qualsiasi ora del giorno e della notte e in qualsiasi luogo.
L’organizzazione parte dall’accoglienza, e a Palazzo Palmieri c’è l’Info point del Monopolele, uno stand dove trovare gadget, merchandising, il Songbook con le canzoni da suonare insieme alle jam session, il programma dei concerti e dei workshop, tutto gestito con cordialità e gentilezza da un team molto simpatico, sorridente e disponibile.
Il pomeriggio del giovedì è animato dall’Open mic, gestito con grande maestria da Giulia Nervi, attrice, comica, cantante, amante dell’ukulele e per l’occasione Maestra di cerimonie di uno dei momenti più attesi in tutti i festival. Gli ukulelisti fremono per far ascoltare la propria musica: non importa il livello di preparazione; la gioia di ognuno nel suonare davanti a un pubblico per la maggior parte composto da suonatori di ukulele, e che quindi comprende la tua passione per questo strumento, è immensa.
Si continua con l’Ukulele beach Party a Porto Rosso, una location di una bellezza indescrivibile, con gli inglesi Peter Moss e George Elmes. Uno, una leggenda dell’ukulele (non per niente conosciuto come “Ukulele Man”), e l’altro un giovane musicista dal futuro radioso, con un talento straordinario e una tecnica sopraffina. Si prosegue con Feng E, un talentuosissimo sedicenne di Taiwan che suona da virtuoso già da qualche anno. Una performance, la sua, all’insegna della sperimentazione: l’uso del distorsore o del wah wah, effetti tipici della chitarra elettrica, può far storcere il naso ai puristi, ma è fuori da ogni dubbio che questo ragazzo ha una tecnica e un’affinità con l’intrattenimento del pubblico invidiabili, degne dei performer più datati.
Concludono la serata i Veeble, un progetto musicale che da quanto ho capito nasce appositamente per Monopolele. La Party Band porta in spiaggia un sound molto coinvolgente che passa dal reggae alle atmosfere balcaniche e al rock con disinvoltura e grande maestria; l’uso dell’ukulele in questo contesto può sembrare un pochino forzato, ma la versatilità di questo strumento non smette mai di stupirmi ed è una delle caratteristiche che in lui apprezzo di più.
Si arriva a un altro dei momenti più desiderati da coloro che, ukulele a tracolla, si sono goduti il concerto: la Jam session. Alla Perla Nera di Monopoli, bellissimo locale in riva al mare, ecco che le corde si scaldano, le ugole si infiammano e si inizia a suonare e a cantare a squarciagola fin quando ce n’è!
Il venerdì partono i workshop: a rompere il ghiaccio con un workshop dal titolo The magic of Major Scale sono proprio io, Vincenzo Vona, ukulelista proveniente dal Nord Italia, docente di ukulele certificato da JHUI (James Hill Ukulele Initiative) e promotore del metodo internazionale Ukulele in the class room, ideato dal didatta e performer canadese James Hill.
Seguono George Elmes con Magic Strumming!, Peter Moss con The summer wind e Feng E con More Rhythm.
La partecipazione ai seminari è ampia e sentita: c’è molta voglia di imparare cose nuove da parte del pubblico, che si mette costantemente in gioco per approfondire lo studio dello strumento. C’è spazio anche per chi non ne ha mai imbracciato uno, e addirittura per chi non lo possiede, grazie ad Alessandra Scaraggi e a Irene Aliverti. Le due ukuleliste, infatti, offrono nella chiesa di San Pietro lezioni gratuite e ukulele a chi non lo ha: una bellissima iniziativa che permette ai curiosi di approcciarsi allo strumento e di iniziare a suonare i primi semplici accordi.
Inoltre, non può assolutamente mancare in ogni festival che si rispetti la Parata: si parte da Piazza Palmieri e si arriva suonando al Porto vecchio, dove Adriano Bono, frontman dei Reggae Circus, arriva su una barchetta a remi suonando il proprio ukulele, anche se purtroppo la bellissima iniziativa viene bruscamente interrotta dalla pioggia (ma sarà recuperata alla Jam notturna!).
I concerti del venerdì sera si tengono in piazza Palmieri, luogo fulcro del festival. È il turno di Evan J. De Silva, da Singapore: nonostante sia anch’egli un giovanissimo e talentuoso ukulelista, ciò che mi ha colpito di lui è la sua profonda musicalità. Evan ha un grande senso ritmico, melodico e di interplay, un gusto musicale e una delicatezza nella performance che mi hanno piacevolmente sorpreso.
Ed ecco apparire uno dei primi strumenti ibridi: Victor Jofre, musicista e liutaio cileno, porta sul palco il proprio ukulele tahitiano, dal suono allegro e vivace, che evoca atmosfere esotiche e lussureggianti. Ritmi caraibici e del Sudamerica si mescolano a musiche di diverse provenienze e sottolineano la natura da Globetrotter di Jofre.
Ad un certo punto un fuori programma: tre personaggi bislacchi tentano un’incursione sul palco principale e ci riescono! Sono Marco Tregambi, Alessandro Pedroni e Frank Impudent dell’OrcheStrafottente. L’improvvisato trio fa divertire, ma anche pensare; notevole, infatti, e a tratti geniale è il brano di Amanda Palmer Ukulele Anthem tradotto e riadattato in italiano: una vera e propria poesia sull’ukulele.
Li hanno definiti “orchestra”, “ensemble”, “band”: i Sinfonico Honolulu possono rientrare in ognuna di queste definizioni e sono di sicuro la miglior formazione ukulelistica che abbiamo in Italia. I loro arrangiamenti sono ricchi, preparati con rara sapienza; il repertorio di successi pop rock è una vera e propria bomba esplosiva e hanno una presenza sul palco che riesce a coinvolgere tutti. I concerti della seconda serata non potevano concludersi in modo migliore.
La Jam notturna si sposta al Caffè mezzopieno e qui la faccenda si fa ancora più godereccia: non troviamo solo ukulelisti, ma tutta la città. Turisti, monopolitani e chiunque passi di lì si uniscono alla festa.
Il sabato 1° giugno è stata forse la giornata più intensa del festival: abbiamo avuto la sessione mattutina dei workshop a Palazzo Palmieri con Vincenzo Gioia e il suo workshop dal titolo Get started on improvisation, Aldrine Guerrero con These are a few of my favorite riffs e Calico con The magic technique-SWAY; e quella pomeridiana con Davide Donelli e il suo Strumming! Idee per un’esecuzione storicamente informata, Cathy Fink con Clawhammer Ukulele e Marcy Marxer con Motown Jam.
L’immancabile Parata del sabato ha un itinerario diverso, partendo da Piazza Garibaldi per arrivare al teatro Radar, dove ci aspetta il concerto di Giovanni Albini, straordinario performer di musica classica interpretata con l’ukulele nonché docente di teoria, ritmica e percezione musicale (dobbiamo ringraziare Albini se l’ukulele è entrato al Conservatorio); e Francesco Verginelli, liutaio romano che costruisce ukulele dal suono elegante e dalla grande personalità.
Arriviamo all’apice della manifestazione, almeno dal mio punto di vista, con una scaletta di artisti, per il concerto in piazza, superlativa. Il duo Cathy Fink & Marcy Marxer delizia con un mix di atmosfere country, bluegrass e jazz, il tutto arricchito da una delle tecniche più interessanti e purtroppo meno eseguite sull’ukulele per la sua oggettiva difficoltà: il Clawhammer. Questa tecnica arriva dal banjo e la sua particolarità è quella di sfruttare, proprio come fa il banjo appunto, la corda di Sol dell’ukulele, che in gergo è definita “rientrante” perché accordata un’ottava sopra rispetto a come ci si aspetterebbe in uno strumento a corde con quegli intervalli di note, per eseguire ritmi e melodie tipiche del Traditional Folk Americano.
Jedbalak, secondi solo in ordine di scaletta, offrono al pubblico un raffinato pot-pourri di melodie dal sapore mediterraneo che colloca il festival in una dimensione propria, che gli appartiene. Le musiche, sapientemente interpretate dalla band calabro-marocchina, sono un’immersione totale nell’habitat del Sud Europa. Il frontman della band inebria con i suoi vocalizzi da brividi e il suono del guembri, strumento a tre corde di origine nordafricana, un basso percussivo che sa di terra, di radici, che suona all’altezza del primo chakra e muove i nostri istinti primordiali.
Il gran finale è affidato a quello che per me è il miglior ukulelista al mondo (assieme a James Hill), Aldrine Guerrero, che, accompagnato dal suo “Partner in Crime” Aaron Nakamura, offre uno show semplicemente straordinario. Tecnica, interpretazione, timing, Aldrine ha tutto, persino una bellissima voce: soave, delicata, che arriva al cuore. E poi Aaron Nakamura! Che chitarrista! l’ho definito a fine concerto, andando a dirglielo di persona, un “metronomo umano” per la sua capacità di tenere il tempo. Si sa, dal vivo succede: i musicisti tendono a velocizzare o rallentare la velocità dei brani; e invece lui procede dritto come una freccia! I due artisti concludono il loro spettacolo invitando sul palco i due giovani prodigi Evan J. De Silva e Feng E, e il finale è da fuochi d’artificio. Poi di nuovo una Jam session al Mezzopieno a Monopoli, e le ore si fanno sempre più piccole.
L’ultimo giorno di festival inizia con un’altra serie di interessantissimi workshop: Patrìcia Lestre (P I S C O) con One hour, one flower, one song, una surpresa!, Francesco Verginelli con Exploring Ukulele Acoustics: Understanding Your Instrument e Victor Jofre con South pacific ukulele.
Quasi in contemporanea nella Chiesa di San Pietro avviene una delle cose meno prevedibili, il progetto Organetto a cUkù, un altro riuscitissimo esperimento di mescolanza di musiche e culture con lo scopo di far ballare a tutti, ma proprio a tutti (me compreso!), una serie di danze popolari, in coppia e in cerchio, delle tradizioni di tutto il mondo.
Ammetto di essermi poi posto la domanda: “Si può fare un Open Mic di quattro ore?” La risposta è sì: al Monopolele si può! Incredibile! La lista dei nomi per prenotare i propri 7 minuti era lunghissima e le esibizioni davvero interessanti. Dalle 14 alle 18 nella stessa chiesa l’ultimo palco aperto del festival è stato un successo! E c’è stato spazio anche per un laboratorio di ukulele rivolto ai più piccoli a Palazzo Palmieri, Ukulele for Kids.
Arriva il tempo dell’ultima parata e, mentre si attendono i ritardatari in loco, c’è l’uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto: Lorenzo Vignando, in Arte Ukulollo, che intrattiene il pubblico con la sua straordinaria verve da vero showman, con canzoni semplici, con pochi accordi che possono suonare tutti, e ci conduce al Porto Vecchio per l’ultimo grande ritrovo e la foto di rito.
La serata finale di concerti apre con i Rhomanife, un piacevole fuoriprogramma: infatti, la band non era in scaletta. Una sorpresa che gli organizzatori hanno voluto fare ai Monopolitani, probabilmente per via della loro provenienza. La Reggae Band, infatti, vanta un glorioso passato nell’underground barese e suona musica energica, fatta di testi profondi e ricercati; hanno una grande personalità, la cosa che personalmente apprezzo di più in un collettivo musicale.
Tiene alta l’energia della piazza il duo Pisco dal Portogallo, ukulele e fisarmonica che allietano con musiche evocative della loro terra, con quel velo di malinconia propria della musica portoghese, ma anche piena di ritmi suadenti. Una voce calda, profonda e penetrante, ricca di basse frequenze fa vibrare le membra e accompagna in un viaggio ai confini del mondo!
Ci spostiamo a Est e andiamo in Georgia con il Trio Mandili, gruppo prettamente vocale che si accompagna con il Panduri, strumento a tre corde originario del Caucaso che si utilizza nella musica folk e nelle canzoni popolari. Ed è proprio questa la caratteristica principale del gruppo tutto al femminile: l’esecuzione di brani popolari tipici del loro paese del quale, a giudicare dall’outfit e dalla presenza di alcuni loro conterranei con bandiere sventolanti, vanno particolarmente fiere. Il loro sound è unico, le loro voci toccano tutti i registri e alcune coreografie appena accennate hanno tantissima affinità con la nostra tarantella e la pizzica.
Si chiude in bellezza come si è aperto, con il dinamico duo inglese Peter Moss-George Elmes di cui si è già parlato, anche se questa volta la performance raggiunge livelli di tecnicismo notevoli e molto apprezzati dalla folla: una chiusura degna di un festival praticamente perfetto. L’ultima Jam ha il sapore amaro degli addii, anche se rimane comunque una festa.
Il Monopolele si candida, e forse lo è già, ad essere uno dei migliori festival di ukulele in Europa. Non solo, ma aver accolto quest’anno altri strumenti cordofoni, parenti dell’ukulele, ha portato la manifestazione a un altissimo livello. Mi sento di dire che non ha nulla da invidiare ad altri festival musicali non settoriali.
E poi c’è l’aspetto più importante, a mio modo di vedere, che è quello di aver dato, attraverso le tantissime iniziative, quel senso di Community che è proprio del mondo dell’ukulele italiano, anzi europeo. Ho avuto la possibilità da una decina d’anni a questa parte di vedere alcuni uke Fests in Italia e in Europa, e quello che ti rimane quando torni a casa è quel senso di appartenenza, di fratellanza, di coesione e di non competizione che sta dietro all’universo di questo piccolo grande strumento.
Una volta un tizio abbastanza famoso disse più o meno così: «Ognuno dovrebbe avere e suonare un ukulele, è così semplice che puoi portarlo con te ed è uno strumento che non puoi suonare senza ridere! È molto dolce e anche molto antico. […] Io lo adoro ‒ più siamo, meglio è ‒. Chiunque io conosca che possiede un ukulele è un “matto”. Quindi prendetene un po’ e divertitevi».
Quel tizio si chiamava George Harrison.
(fasc. 52, vol. II, 3 giugno 2024)