Lo scrittore napoletano Nicola Pugliese, nato nel 1944 e morto nel 2012, è relativamente poco studiato. Sulla sua opera non esiste molta letteratura critica, eccetto alcune recensioni del suo romanzo del 1977, intitolato Malacqua, altre della riedizione del testo in italiano e altre ancora delle traduzioni in altre lingue, a partire dal 2013. Quella del 2011[1] rilasciata al giornalista napoletano Giuseppe Pesce rimane l’unica sua intervista sul romanzo; inoltre, lo stesso Pesce è autore di un volume su Pugliese e sulla sua opera intitolato Napoli, il dolore e la non-storia (2010), unico testo critico sull’argomento.
La pubblicazione di Malacqua nel 1977 non sarebbe stata possibile se non ci fosse stato il sostegno di Italo Calvino e in questo saggio metterò in rilievo quanto le sensibilità letterarie e intellettuali di Calvino assomiglino a quelle di Pugliese e permettano al lettore di vedere la città come un prisma tramite il quale gli abitanti e i visitatori possono arricchirsi personalmente e approfondire la percezione della realtà.
Nell’intervista del 2011 Pugliese afferma di aver scritto Malacqua perché «facendo il giornalista mi dovevo occupare tutti i giorni di un sacco di cose di cui non mi fregava assolutamente niente, ero molto poco soddisfatto di questo tipo di lavoro»[2]: è stata, dunque, l’insoddisfazione professionale a indurlo a scrivere forse uno dei più interessanti libri pubblicati a Napoli negli anni Settanta.
Il suo romanzo è un testo profondamente sperimentale perché gioca con la questione della realtà tanto quanto con la rappresentazione della città di Napoli in modo unico e nuovo. Anche il critico letterario e giornalista Giuseppe Pesce è di Napoli, dove ancora lavora e vive; vi è nato nel 1977, lo stesso anno della pubblicazione di Malacqua. Nel testo critico di Pesce sull’opera di Pugliese, troviamo una breve biografia di Pugliese assieme a una lunga analisi letteraria del romanzo. L’identità mediterranea della città, nell’opera, è fondamentale per la comprensione di Napoli perché il mar Mediterraneo è un luogo liminale in cui diverse realtà e confini si fondono per creare un’entità mista.
Il carattere liminale della città viene messo in rilievo in un articolo del critico olandese Henk Driessen intitolato People, Boundaries and the Anthropologist’s Mediterranean: Driessen vi polemizza con l’idea dell’esistenza di una caratteristica comune ai popoli mediterranei e su questo scrive: «it is hard to come up with meaningful generalizations»[3].
Lo storico inglese John Julius Norwich esamina anche il Mediterraneo come un luogo singolare nell’introduzione al suo testo del 2006 titolato The Middle Sea, a History of the Mediterranean. Norwich vi scrive che lo storico considera il Mediterraneo come un miracolo e una «cradle of cultures» o ‘culla della civiltà’, che «links three of the world’s six continents»[4]. Questa culla, infatti, ha dato la luce a molte delle civiltà antiche più importanti del mondo, incluse quelle di egiziani, greci e romani, e forse la metropoli di Napoli è la città più rappresentativa di questa mescolanza ancora oggi.
L’identità di Napoli come città mediterranea incorpora molti elementi distinti dei tre continenti che confinano con il mare. L’unicità di Napoli con la sua cultura, la sua lingua e la sua storia, assieme alla sua importanza come città mediterranea portuale che si trova vicino al secondo più grande vulcano dell’Europa occidentale, è evidente, e forse questa unicità è quello che Pugliese cerca di rappresentare nel romanzo. Nell’intervista del 2011 rilasciata a Pesce, Pugliese parla della velocità con cui lo aveva scritto: «non riuscii neanche a correggere come si deve perché lo scrissi in quarantacinque giorni»[5]. La sua veloce scrittura e lo stile letterario fluido sono coinvolgenti e rispecchiano quella sorta di “flusso di coscienza” che vi è trascritto: il testo, infatti, non era mai stato veramente corretto a causa della fretta dello scrittore nel comporlo. Questo stile particolare, però, enfatizza pure il vertiginoso ambiente sociale napoletano che Pugliese rappresenta.
L’originalità del romanzo e l’affinità di temi con le proprie opere hanno indotto Calvino a incoraggiare la veloce pubblicazione del libro nel 1977, presso Einaudi. Nell’introduzione alla ristampa del romanzo del 2022, Francesco Palmira scrive, appunto, che lo stile narrativo grezzo di Malacqua era sopravvissuto a una forte revisione editoriale proprio grazie all’immediata approvazione dell’opera da parte di Calvino. Su questo, Palmira scrive:
magia è che Malacqua venga stampato senza alcuna spossante trafila editoriale perché Armando, il fratello di Nicola, regista teatrale del Barone rampante, ha conosciuto Italo Calvino e gli sottopone il testo. Dopo un editing molto leggero, omettendo ulteriori aggiustamenti per il diniego temerario dell’autore, Calvino fiducioso del suo intuito lo pubblica per Einaudi nel ’77, l’anno seguente alla stesura. Ristampato nel ’78 nella collana dei Nuovi Coralli, il romanzo è accolto da favorevole quanto sparuta critica[6].
Calvino, dunque, è riuscito sia a far approvare rapidamente la pubblicazione di Malacqua sia a salvaguardarne lo stile narrativo coinvolgente.
Il sostegno di Calvino a questo testo è un’ulteriore prova della sua maturità come intenditore di letteratura e critico letterario. In una lettera del 2 luglio 1973 a Pier Paolo Pasolini, egli esprime la propria passione e dedizione per la letteratura, asserendo di essere diventato un «topo di biblioteca»[7]. In questa stessa lettera Calvino scrive che si è trasferito a Parigi per poter dedicare più tempo allo studio e alla pubblicazione di testi letterari: «non è per niente che sono andato a vivere in una grande città dove non conosco nessuno e nessuno sa che esisto: e così ho potuto realizzare un tipo di vita che era almeno una delle tante vite che ho sempre sognato: passo dodici ore al giorno a leggere, la maggior parte dei giorni dell’anno»[8].
Calvino ha pensato di riuscire a comprendere meglio l’Italia vivendo all’estero e scrive che risiedere a Parigi «mi dà quel minimo, solo un minimo, di distacco dal contesto italiano e mi offre la possibilità di uno sguardo a distanza»[9]. La capitale francese, quindi, è per Calvino il luogo da cui può vedere meglio l’Italia senza essere troppo coinvolto nell’ambiente politico italiano, sul quale è molto critico. Ironicamente, Calvino ha anche scritto che gli piace vivere a Parigi perché «nessuno mai si sente all’estero a Parigi»[10] a causa della sua natura cosmopolita. Da ricordare che Calvino tratta della sua identità come critico letterario e scrittore a Parigi anche nella sua autobiografia del 1974, intitolata significativamente Un eremita a Parigi.
C’è una coincidenza interessante tra la vita di Calvino e la trama del romanzo di Pugliese nel periodo in cui lo scrittore napoletano cercava di pubblicare Malacqua. In una curiosa lettera del 1977 (l’anno in cui Malacqua viene pubblicato) a Natalia Ginzburg, lo scrittore-eremita a Parigi scrive che «(q)ui piove e da tre giorni siamo senza telefono e non si sa quando lo potranno aggiustare perché il cavo sul muro è marcito e devono fare un lavoro del diavolo. Stare senza telefono dà un senso d’isolamento angoscioso anche se dal telefono non vengono che seccature»[11]. Anche se Pugliese ha scritto Malacqua nel 1976, un anno prima della sua pubblicazione, non è chiaro se Calvino avesse ricevuto il libro di Pugliese per recensirlo e revisionarlo prima o dopo questa lettera del 1977 a Ginzburg, in cui Calvino racconta di trovarsi in una situazione simile a quella raccontata nel romanzo. Se avesse ricevuto il libro di Pugliese dopo l’esperienza di essere rimasto bloccato a casa per tre giorni a causa di una lunga tempesta, forse si sarebbe preparato a identificarsi con il romanzo di Malacqua, che si svolge durante una tempesta di quattro giorni a Napoli che obbliga la popolazione a restare a casa e a connettersi con le emozioni, i rapporti interpersonali, e le paure mentre si pensa alle sfide del passato e del presente. Il dinamico e vibrante paesaggio urbano napoletano spesso permette ai personaggi di Malacqua di dimenticare queste frustrazioni e insoddisfazioni personali per lasciarsi coinvolgere sempre più dalla ricchissima e intrigante città di Napoli e dai suoi abitanti.
Calvino poteva anche facilmente identificarsi con i protagonisti scontenti di Malacqua. Lo possiamo dedurre specialmente da una lettera a Guido Neri, datata 31 gennaio 1978, in cui scrive delle frustrazioni e delle preoccupazioni finanziarie di quel periodo, che forse lo costringeranno a ritornare in Italia:
(n)oi qui non so quanto ancora ce la faremo a stare a Parigi, economicamente dico. Più le cose in Italia vanno male più sarò obbligato a riportare la famiglia là […] con le lire che si dimezzano cambiate in franchi […] e il costo della vita sempre più caro non posso proprio mantenere la famiglia, anche se praticamente non esco mai, non andiamo mai al ristorante ecc.[12].
Avendo recentemente pubblicato il romanzo di successo Le città invisibili nel 1972, Calvino aveva anche capito il valore simbolico delle città. Sulla propria opera egli dichiara di non ritenerla «un libro da leggere tutto d’un fiato e non pensarci più»[13], e dalla sua ammissione che Le città invisibili sono un’opera che «mi sono portato dietro per anni, scrivendo saltuariamente, a intervalli»[14] si comprende quanto la ritenesse importante.
Come in alcuni centri delle Città invisibili, la città monumentale e quasi mitica di Napoli è simile per dinamismo a un antico luogo d’incontro e di successo che facilmente sopraffà i sensi. Calvino dichiara di aver immaginato «(o)gni città […] sulla spinta d’uno stato d’animo, d’una riflessione, d’un sogno a occhi aperti, come si scrivono le poesie, credo»[15]. Sia per Calvino sia per Pugliese, Napoli rappresenta una città-fenomeno in cui il vivere quotidiano diventa una specie di rappresentazione teatrale che coinvolge tutti: una specie di organismo vivente.
L’originalità di Malacqua consiste non solo nella sua unicità tematica o di stile narrativo. Pesce sostiene che Malacqua è un «anti-romanzo, costruito con un’ottima padronanza della lingua, frutto di suggestioni cronistiche»[16]: proprio questa caratteristica di anti-romanzo ha richiamato l’attenzione di Calvino, che ha deciso di
far pubblicare Malacqua, che uscì per Einaudi nel giugno del 1977, pur senza essere ufficialmente inserito nella Collezione di narratori Centopagine, che lo scrittore dirigeva in quel periodo. Ma è evidente, che sia lui che l’editore credevano nel libro, poiché l’anno seguente lo ristamparono anche nella collana Nuovi Coralli: era il n. 203, accanto ad autori affermati come lo stesso Calvino, e classici moderni come Borges e Hemingway[17].
Napoli come città vivente in Malacqua si collega fortemente all’interesse di Calvino per le città come fenomeni particolari. Come accade nelle Città invisibili, lo scrittore si focalizza sempre di più sull’importanza delle città nelle sue opere e nelle sue lettere: non ne resta esclusa la sua fascinazione crescente per New York come «città ideale»[18]. Egli parla del suo interesse per New York in un’intervista del 1975 in cui confessa: «debbo dire che la mia vera città è stata New York»[19]; e aggiunge che la metropoli è «fuori misura: ma riesco a possederla mentalmente, a capirla»[20].
In Malacqua, Napoli rappresenta per Pugliese quello che New York rappresenta per Calvino. Nel romanzo di Pugliese, Napoli è anche descritta come una città-vivente e «fuori misura». Affascinanti e coinvolgenti, i personaggi di Malacqua sono costretti a diventare contemplativi, depressi e soli quando non possono più interagire con la vivace città e i suoi abitanti come avevano sempre fatto: quindi, anche i personaggi devono connettersi con la città di Napoli per sentirsi vivi.
I lettori contemporanei sono gli eredi della ricchezza letteraria di Malacqua. Il pubblico attuale è anche erede del bisogno che sempre sentiva Calvino di continuare a esplorare la letteratura per trovare novità che potessero stimolarlo. In un’intervista rilasciata a Giulio Nascimbeni il 5 dicembre 1984, egli parla della sua ricerca costante di libri nuovi e dichiara: «sono sempre insoddisfatto. Cerco d’immaginare dove mi avrebbe portato l’altra strada, quella che non ho scelto. Così, anziché pensare ai libri che sarebbe naturale che scrivessi, mi capita di pensare ai libri che non so e non posso scrivere, ai libri che scriverebbe un altro»[21].
Calvino leggeva tanti libri altrui anche perché sosteneva che leggere i libri degli altri «ha su di me poteri di stimolo»[22], «l’unico per ritrovare il mio vero me stesso»[23]. Nel leggere Malacqua, probabilmente Calvino ha visto qualcosa di sé stesso che prima gli sfuggiva.
Il tentativo di Calvino di capirsi meglio deriva anche dalla sua sensazione di avere parti dissonanti in sé stesso. Nella già menzionata intervista con Giulio Nascimbeni, questi domanda allo scrittore se ci sono quattro Calvino: «(il) Calvino dei primi romanzi e dei primi racconti e quello delle ‘Fiabe italiane,’ fra il Calvino de ‘I nostri antenati’ e quello che è incantato dalle origini dell’universo»[24]. Lo scrittore nato a Cuba risponde che l’ipotesi «può essere vera se pensiamo soltanto alla classificazione dei libri che ho scritto. Aggiungo che la cosa sarebbe semplice se li avessi scritti in fasi successive. Il problema nasce dal fatto che questi diversi Calvino si intrecciano e si accavallano nello stesso periodo di tempo»[25]. Nella sua risposta a Nascimbeni ritroviamo il dinamismo di Calvino: come una città che ha molte diverse vite, infatti, anche Calvino incorpora l’esistenza di tante identità che si fondono per diventare una cosa sola. I «quattro Calvino» sono come una città di quattro o più quartieri: è sempre la stessa, ma comprende manifestazioni distinte, utili per scopi diversi.
È anche per questa ragione che New York è per Calvino quello che Napoli è per Pugliese: un luogo meraviglioso di incontri e la meta di una molteplicità di stimoli ed esperienze. Nel 2017, lo scrittore di New York e psicoanalista Jeremiah Moss scrive un libro titolato Vanishing New York sulla trasformazione della città seguita alla gentrification e al suo sviluppo costante. Nell’opera, Moss afferma che, mentre New York è una città sola, ogni abitante della città la vede e la percepisce in un modo particolare: «(t)here are many New Yorks, as many as there are New Yorkers, each one of the eight million and change carrying a personal metropolis in the heart. Not to mention the mention the many fantasized cities that throb in the hearts of aspiring New Yorkers yet to arrive»[26].
Così come ci sono «quattro Calvino», a New York ci sono «many New Yorks, as many as there are New Yorkers». Ugualmente, ci sono anche tante Napoli e, mentre Calvino esplora le diverse manifestazioni del suo vero essere nella narrativa, Pugliese mostra ai lettori di Malacqua un coro di voci e personaggi nel romanzo napoletano che dimostrano che la città del romanzo è tanto dinamica e amata quanto quella in cui vive Pugliese.
Come Pugliese vede Napoli al pari di una «città impagabile»[27], Calvino vede New York come una città che esiste indipendentemente dalla nazione in cui si trova: «New York non è America […] è un continente a sé, a pari diritto delle due Americhe, dell’Europa, dell’Asia, Africa, Australia»[28]. In più, Calvino afferma che «New York è un ritmo, un’estrema concentrazione di movimento nello spazio come nel tempo, il senso d’una attività assoluta»[29]. Anche nel romanzo Malacqua Pugliese presenta ai lettori una città che non è solo una città, ma un’entità che spesso viene personificata e che sperimenta emozioni come l’«angoscia»[30] e l’essere «dolente»[31]. Inoltre, scrive che a Napoli si parla una «lingua»[32] «viva e vitale, oggi più che mai, oggi e negli anni a venire»[33], enfatizzando l’unicità e la vivacità della città.
Scrivendo su Malacqua, la giornalista Catherine Taylor nota che «(i)t’s not hard to see why this short, intensely allusive work of floods and foreboding […] appealed to a fabulist writer such as Calvino»[34], perché «a city that lives in reality and the imagination as both maritime and volcanic – and uses it, by means of hyper-realist imagery and a polyphonic chorus of assorted Neapolitans, to describe the state of Italy in the late 1970s»[35] ‒ serviva a contrastare gli Anni di piombo in Italia e a richiamare attenzione sull’unicità di Napoli e sulla straordinarietà dei suoi abitanti. Pesce ribadisce il ruolo importante di Napoli e dei suoi abitanti e nel testo «c’è una vertigine […] che è la stessa che turba la popolazione napoletana. Che agita fantasie e miserie, e le impedisce di accettare del tutto i moderni ritmi urbani e borghesi. In una parola, la Storia»[36].
Nel romanzo Pugliese presenta ai lettori la città di Napoli come una città-fenomeno che riesce a resistere al ciclone di pioggia di quattro giorni e a dimostrare la forza dei suoi abitanti. Come luogo di trasformazione, la città di Napoli cambia totalmente durante e dopo la tempesta violenta, ma i napoletani del romanzo dimostrano che, nonostante la sfida alla loro città, alla loro cultura, alla loro lingua e al loro carattere, così carico di storia, perseverano in un modo «fuori misura». In Malacqua Pugliese descrive una città vivente che può essere solo oppressa ma non distrutta, proprio come i centri urbani che affascinano Calvino.
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Questa intervista del 2011 è intitolata Tutto il resto è Malacqua; cfr. l’URL: https://vimeo.com/266353102. ↑
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Pugliese lo dichiara all’inizio della già citata intervista di Pesce. ↑
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H. Driessen, People, Boundaries and the Anthropologist’s Mediterranean, in «Anthropological Journal on European Cultures», Vol. 10, pp. 11-24: 12. ↑
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J. J. Norwich, The Middle Sea, a History of the Mediterranean, New York, Random House, 2015, p. I. ↑
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G. Pesce, Tutto il resto è Malacqua, art. cit., 2011; cfr. l’URL https://vimeo.com/266353102. ↑
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F. Palmieri, Introduzione a N. Pugliese, Malacqua, Milano, Bompiani, 2022, p. 8. ↑
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I. Calvino, A Pier Paolo Pasolini – Roma, in Id., .Lettere 1940-1985, Milano, Mondadori, 2023, p. 778. ↑
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Ivi, p. 779. ↑
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I. Calvino, Le città del futuro, in Id., Sono nato in America. Interviste 1951-1985, Milano, Mondadori, 2012, p. 223. ↑
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Ibidem. ↑
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I. Calvino, A Natalia Ginzburg – Roma, in Id., Lettere 1940-1985, op. cit., p. 885. ↑
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I. Calvino, A Guido Neri ‒ Roma, in Id., Lettere 1940-1985, op. cit., pp. 892-93. ↑
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I. Calvino, Le città come luogo della memoria , in Id., Sono nato in America. Interviste 1951-1985, op. cit., p. 175. ↑
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Ibidem: Le città come luogo della memoria. ↑
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Ibidem. ↑
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G. Pesce, Introduzione, in Id., Napoli, il dolore e la non-storia. Malacqua di Nicola Pugliese, un piccolo capolavoro del secondo Novecento, Oxiana, Pomigliano d’Arco, 2010, p. 5. ↑
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Ivi, p. 46. ↑
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Su questo Calvino afferma: «Ma New York ogni volta che ci vado la trovo più bella e più vicina a una forma di città ideale» (La letteratura italiana mi va benissimo, in Id., Sono nato in America. Interviste 1951-1985, op. cit., p. 654). ↑
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I. Calvino, Le città del futuro, in Id., Sono nato in America. Interviste 1951-1985, op. cit., p. 222. ↑
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Ibidem. ↑
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I. Calvino, Sono un po’ stanco di essere Calvino, in Id., Sono nato in America. Interviste 1951-1985, op. cit., p. 592. ↑
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Ibidem. ↑
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Ibidem. ↑
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Ivi, p. 595. ↑
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Ibidem. ↑
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J. Moss, Vanishing New York, New York, Harper Collins, 2017, p. 4. ↑
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N. Pugliese, Malacqua, op. cit., p. 156. ↑
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I. Calvino, Un ottimista in America, Milano, Mondadori, 2019, p. 18. ↑
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Ibidem. ↑
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N. Pugliese, Malacqua, op. cit., p. 89. ↑
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Ivi, p. 182. ↑
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Ivi, p. 110. ↑
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Ibidem. ↑
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C. Taylor, Nicola Pugliese’s Malacqua captures the tropes of 1970s Italy, in «The New Statesman», 15 gennaio 2018; cfr. l’URL: https://www.newstatesman.com/culture/2018/01/nicola-pugliese-s-malacqua-captures-tropes-1970s-italy. ↑
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Ibidem. ↑
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G. Pesce, Napoli, il dolore della non-storia. Malacqua di Nicola Pugliese, un piccolo capolavoro del secondo Novecento, op. cit.
(fasc. 53, 25 agosto 2024)