Ridare lustro al romanzesco: Italo Calvino e la scelta del racconto lungo in «Centopagine»

Author di Giorgia Mercenaro

«Centopagine»: il riflesso dell’idea di letteratura di Calvino

In un contesto caratterizzato dalla trasformazione del pubblico, dalle alterazioni del mercato della narrativa e dal prevalere del formato tascabile e delle dispense, si inserisce la collana «Centopagine» di Einaudi.

Il sistema editoriale degli anni Settanta è contraddistinto soprattutto dallo squilibrio creatosi per l’elevata produzione di testi letterari e saggistici che innalzano il quantitativo dell’offerta, rendendolo difficilmente assimilabile a quello della domanda. La conseguenza immediata è una saturazione di mercato che porta gli editori a diversificare il proprio catalogo e a ricercare nuovi percorsi commerciali interessanti: alcuni inaugurano nuove collane, altri ristrutturano quelle già esistenti e diversi rivolgono maggiore attenzione al fronte promozionale e pubblicitario così da adeguarsi ai nuovi sistemi dell’informazione[1]. Lo studio delle collane, pertanto, si rivela fecondo per comprendere come esse siano «espressioni di politiche, pratiche, orientamenti delle rispettive case editrici»[2].

Il caso di Einaudi è ancora più interessante perché, oltre a numerose iniziative editoriali come «Einaudi Letteratura», «Gli struzzi» e «I nuovi coralli», durante gli anni Settanta si registra l’apertura della collana «Centopagine» diretta da Italo Calvino. Essa permette un duplice approfondimento: trattandosi di una collana d’autore, alla conoscenza della casa editrice torinese si unisce quella della figura di Calvino poiché la sua idea di letteratura e di impegno, la sua attività da saggista, da editore e da lettore abbracciano l’intero lavoro di cura della collana e di selezione dei volumi[3].

Diretta dal 1971 al 1985, «Centopagine» è il progetto editoriale in cui Calvino ha più autonomia decisionale e meglio può applicare la sua idea di letteratura. Entrato a far parte della casa editrice torinese alla fine degli anni Quaranta, egli riconosce nella propria attività da editore una funzione strumentale per attuare un progetto che vede nel «recupero di un rapporto armonico e una reale integrazione fra l’uomo e la storia»[4] uno degli obiettivi dell’intellettuale moderno. Rispetto ai progetti che hanno caratterizzato il panorama einaudiano tra gli anni Sessanta e Settanta, «Centopagine» si pone con un carattere diverso, in primis per la sua impronta volta al recupero dei grandi titoli e dichiarata nel sottotitolo «Collezione di grandi narratori diretta da Italo Calvino», che sembra non venir meno neanche nei libri pubblicati dopo Un matrimonio in provincia della Marchesa Colombi, a partire dal quale si rimuove l’aggettivo «grande», così da «rendere la collana più disponibile»[5]. Tale questione può essere ricondotta, scrive Alberto Cadioli, «al contesto editoriale» o meglio ancora «alla complessa personalità di Calvino»[6]. Sembra essere, dunque, il legame tra la poetica dello scrittore e il lavoro per la collana uno degli snodi cruciali per comprendere quest’ultima, le idee che vi sono dietro e l’impianto che la caratterizza.

Destreggiandosi fra il lavoro di editore e quello di scrittore, Calvino porta i due rami, diversi ma attigui, a congiungersi nel progetto. Per lo scrittore, così come prima di lui per Cesare Pavese ed Elio Vittorini, l’editoria rappresenta lo strumento per diffondere l’idea maturata sulla letteratura che per Calvino – come scrive Michele Martino – «negli anni Settanta confluisce, arricchita da nuove esperienze, nell’ideazione della collana Centopagine»[7]. È la collana lo spazio nel quale può diffondere un’idea di letteratura più completa, che va dalla selezione dei volumi alla stesura di note e quarte di copertina che rispecchiano la sua poetica. Calvino, infatti, nella selezione dei testi applica lo stesso principio che muoveva la sua attività da scrittore: fondamentale era partire dal linguaggio, dall’idea generale dell’intera opera e soprattutto dalla chiara visione della collana nella quale si sarebbe inserita[8]. In veste di editore annota ai margini le correzioni e affida allo scrittore la libertà di riscrivere o meno una parte del testo per cercare di comprendere le ragioni di una determinata scelta[9]. Per ciò che concerne la struttura della collana e la selezione della tipologia di libro selezionato, si rivela feconda la lettura della presentazione contenuta nei primi quattro volumi[10], dalla quale si evincono chiaramente i caratteri della collana. In primo luogo, viene così argomentata la scelta del genere:

Centopagine è una nuova collezione Einaudi di grandi narratori d’ogni tempo e d’ogni paese, presentati non nelle loro opere monumentali, non nei romanzi di vasto impianto, ma in testi che appartengono a un genere non meno illustre e nient’affatto minore: il “romanzo breve” o il “racconto lungo”. Il nome della collezione – e dunque l’ampiezza dei testi – non va preso alla lettera. Il criterio di scelta si baserà sull’intensità di una lettura sostanziosa che possa trovare il proprio spazio anche nelle giornate meno distese della nostra vita quotidiana. […] L’impostazione della collana non vuole essere affatto preziosa, di trouvailles curiose o di indicazioni di gusto, ma al contrario vuole rispondere a un fondamentale bisogno di “materie prime”[11].

Nella selezione dei testi, Calvino predilige il genere «non meno illustre» del romanzo breve o racconto lungo, perché sostiene che l’intensità conti più del numero di pagine, in modo da poter occupare lo spazio delle «giornate meno distese della nostra vita quotidiana». In secondo luogo, si approfondisce il criterio selettivo di autori e opere:

Già il catalogo Einaudi è molto ricco di ottime traduzioni di testi famosi da tempo introvabili sui banconi delle librerie che in «Centopagine» riavranno una loro sede naturale; basti pensare ai grandi narratori russi. Ma molte saranno le traduzioni nuove, in alcuni casi d’opere mai pubblicate in Italia, e le proposte di titoli dimenticati o rari sui quali l’attualità dei nostri interessi getta una luce nuova[12].

Dai russi ai francesi, dai tedeschi agli americani con una buona presenza anche di opere italiane, il catalogo di «Centopagine» sembra restituire un quadro variegato di opere e autori dimenticati o conosciuti che vanno dal Cinque-Seicento fino al Novecento.

Brevità ed eterogeneità[13] sembrano essere le parole chiave per definire il progetto editoriale di Calvino. Il termine “brevità” fa capo all’ampiezza dei testi scelti e al genere prediletto, quello del romanzo breve o racconto lungo, forme narrative con le quali è più facile mantenere salda l’attenzione del lettore e non perdere l’intensità ricercata. Il termine “eterogeneità”, invece, risponde a quel principio di varietà che rispecchia anche il gusto del direttore. Sono presenti cinquantaquattro titoli stranieri e venti italiani, di diversi periodi e di diversi continenti, che mostrano un ventaglio di scelte ricco, ma comunque coerente. Per ciò che concerne i titoli italiani, inoltre, la diversità è ancora più evidente, poiché, nonostante l’arco temporale in questo caso sia di solo un secolo (a differenza dei più di due secoli della narrativa straniera), i titoli selezionati mostrano una predilezione per le opere minori o per opere di autori «imbalsamati in un consunto cliché»[14] e in cui la linea narrativa spazia tra diverse correnti letterarie, Naturalismo e Scapigliatura per prime.

Le considerazioni di Calvino sul romanzo nei suoi interventi critici

L’introduzione dei caratteri generali della collana e l’associazione tra il lavoro di Calvino in quanto editore e la sua poetica sono utili per avviare la questione delle motivazioni della scelta del racconto lungo o romanzo breve per la collana «Centopagine». Riflettere da un lato sulla considerazione che aveva del romanzo e dall’altro sulla sua volontà di fornire ai lettori le «materie prime»[15] permette di comprendere le ragioni che hanno portato Calvino a scegliere questo tipo di forma narrativa.

Per approfondire la prima questione un utile punto di partenza sono i Saggi, dai quali affiora la sua idea di letteratura e, soprattutto, di romanzo. Attraverso questi è possibile ricostruire diacronicamente il pensiero che ha influito sull’impianto della collana einaudiana, poiché sono riportate le sue considerazioni critiche sul romanzo, sulla sua tradizione e sulle sue condizioni nel panorama letterario della seconda metà del Novecento. Le ragioni della precarietà di tale forma narrativa si ritrovano, in nuce, nell’esigua produzione romanzesca nei confini italiani.

Per quanto ribadisca la grandezza di Manzoni, Calvino ritiene che nei «Promessi sposi restò una sorta d’impaccio che derivava dal temperamento poco romanzesco del suo capostipite»[16], da ricondurre anche allo scarso gusto dello scrittore per l’avventura, la dimensione centrale del romanzesco. Gli autori italiani sono, pertanto, costretti a ricercare una tradizione del romanzo nella narrativa straniera e a dimostrarlo è l’esempio di Giovanni Verga che, «sull’onda dei francesi», riscopre «il paese», «i rapporti dell’uomo […] con la natura e con la storia» e coglie «nel remoto del nodo tra la lingua e il dialetto il linguaggio ideale del romanzo»[17]. D’altro canto, nei veristi regionali domina l’antiromanzo e, dopo una breve rinascita nel dopoguerra, le sorti del componimento narrativo ritornano a essere incerte perché ancora «più gravi catastrofi» si sviluppano con la diffusione dei modelli d’avanguardia, con le istanze sperimentali prima, e l’influsso sempre maggiore del capitalismo tale da rendere la letteratura dipendente dalle esigenze di mercato. Alla luce di questo, il romanzo italiano, strettamente legato alla narrativa mondiale, a sua volta in crisi, e all’esigua tradizione romanzesca dei confini nazionali, può rinascere? Questa è la domanda che si pone Calvino e la risposta sembra essere affermativa, perché in Italia «c’è molta carne al fuoco» ed è possibile che qualcosa «ne verrà fuori»[18], anche se egli non trova una soluzione alla mancanza dell’elemento avventuroso.

L’opinione di Calvino sul romanzo in Italia pare evolversi lungo gli anni e Le sorti del romanzo lasciano una testimonianza scritta. Se in passato si era sostenuto, e Calvino stesso aveva concordato, che il romanzo non era in crisi e «non poteva morire»[19], allora la crisi appare chiara fino a fargli dichiarare che non gli «riusciva di farne stare in piedi uno»[20]. Calvino sostiene che «per convincerci di una intramontabile signoria del romanzo abbiamo bisogno di leggere Lukàcs»[21] con la sua scansione per generi, ritrovabile solo fino alla produzione letteraria ottocentesca, oltre la quale l’ideale estetico lukàcsiano si perde e non si ritrovano più il «nervosismo» e «la fretta del nostro vivere»[22] rintracciabili, invece, nel romanzo breve.

Torna nuovamente al centro la questione della crisi del romanzo con l’inchiesta condotta da «Nuovi Argomenti» nel 1959. La rivista fondata da Alberto Carocci e Alberto Moravia si avvale della formula inchiesta per costruire un dialogo intorno a tematiche letterarie e sociali che indagano «la posizione degli intellettuali nell’epoca dell’industria culturale»[23] e promuovono la riflessione sul rapporto tra aspetti di natura politico-culturale e il loro riflesso nella letteratura. Una di queste inchieste è proprio 9 domande sul romanzo, alla quale Calvino partecipa assieme a Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Carlo Cassola etc.

Partendo dalle varie accezioni di romanzo, da quella di tipo ottocentesco al romanzo d’ossatura ideologica fino al romanzo come prodotto commerciale e al romanzo come forma di narrazione avvincente, Calvino arriva a sostenere che, in realtà, «nessuna di queste varie definizioni […] ci parla di qualcosa che è necessario o possibile tenere in vita»[24]. Inoltre, la sua risposta all’inchiesta si distingue dalle altre perché si tratta della prima ipotesi che include la questione dell’“eterodirezione”, intendendo con essa la dinamica per cui le funzioni avocate per lungo tempo al romanzo sono ora ridistribuite nelle altre forme del racconto (lirico, filosofico, fantastico etc.), che possono pacificamente convivere in un’unica opera. A partire dal concetto di eterodirezione e dal riconoscimento della «possibilità di lettura su piani multipli» come «una caratteristica di tutti i grandi romanzi di tutte le epoche»[25], Calvino arriva a sostenere che, se inteso come «un’opera narrativa fruibile e significante su molti piani che si intersecano»[26], il romanzo potrebbe non essere considerato una forma in crisi. La posizione di Calvino a questo punto sembra essere chiara. Egli non è incline a decretare la morte o la crisi del romanzo, ma allo stesso tempo sembra propenso ad accogliere altre forme narrative come «il taglio lirico del romanzo breve, o la novella giornalistica e cruda»[27] che in quel contesto paiono le più adatte a rispondere alle esigenze dell’intellettuale e del lettore.

La scelta del racconto: ipotesi sulle motivazioni

Resta da chiedersi perché preferire il racconto lungo o il romanzo breve come forma narrativa per i libri che compongono la collana «Centopagine». Le ragioni di questa scelta possono essere dettate da due motivazioni, una di carattere critico-teorico e una di carattere personale[28].

La prima motivazione fa capo agli interventi critici che avevano occupato i primi anni Settanta sul recupero del romanzesco. Potrebbe non essere distante dai principi che caratterizzano la collana l’idea teorizzata, forse non a caso, appena un anno prima dell’inizio del suo progetto editoriale. Nell’articolo Il romanzo come spettacolo del 1970 Calvino riflette, infatti, sulla «futura reincarnazione»[29] del romanzesco e prende in considerazione due scrittori: Charles Dickens e Gustav Flaubert. Il primo presenta le storie che «non nascondevano il loro carattere convenzionale e spettacolare, […] in una parola la loro natura romanzesca»[30]; il secondo è l’autore con il quale Carlo Cassola registra la fine del romanzesco, che da quest’ultimo viene definito un trionfo, mentre per Calvino rappresenta l’inizio di una produzione di «Romanzi sbiaditi»[31]. A partire da antitetici esempi letterari (il romanzesco con Dickens e la fine dello stesso con Flaubert), Calvino teorizza la riabilitazione del romanzesco, non solo perché si tratta di una materia a lui cara, ma perché ritiene che anche la ricerca letteraria sia orientata verso quella direzione. La scommessa su questa rinascita prevede la costruzione di una nuova dinamica tra autore e lettore, una partita che si giochi «con assoluta lealtà»[32] e in cui i romanzi nascano in laboratori e ristabiliscano «una comunicazione tra scrittore, pienamente cosciente dei meccanismi che sta usando, e […] lettore che sta al gioco perché ne conosce le regole e sa che non può essere preso più a zimbello»[33].

Calvino, dunque, facendosi «interprete […] della diffusa esigenza di un ritorno alla letteratura, al romanzo»[34], si impegna a ridare lustro al romanzesco anche per mezzo della collana «Centopagine». Da un lato questo è deducibile dalla già citata presentazione nelle prime quarte di copertina, nelle quali si sottolinea che si «vuole rispondere a un fondamentale bisogno di “materie prime”»[35] con opere mai pubblicate in Italia o di difficile reperibilità. Le prime pubblicazioni, infatti, sono rappresentative «di questa impostazione e del suo dosaggio interno»[36] poiché egli si propone di pubblicare anche quel romanzo italiano prodotto tra l’Unità e la Prima guerra mondiale che è ancora «tutto da scoprire»[37].

Un’operazione simile era stata condotta in precedenza da Giuseppe Antonio Borgese con la collana «Biblioteca Romantica», la cui funzione era stata proprio quella di creare un contesto editoriale adatto ad accogliere le fondamenta del grande romanzo. Nonostante il progetto di Calvino appaia più misurato – perché sceglie di non pubblicare i romanzi di vasto impianto, ma opere dalla forma narrativa più breve –, le due collezioni hanno dei punti in comune. Esse rispondono a due domande diverse ma affini: la prima, nell’Italia degli anni Trenta, risponde al «bisogno di riscoprire il romanzo»[38] e la seconda, cinquant’anni dopo, all’esigenza di ritornare a questa forma narrativa dopo gli anni delle sperimentazioni delle avanguardie. Del resto, il romanzesco lo si ritrova se con esso si indica non solo il grande romanzo, ma i «congegni narrativi [… e le] architetture formali ben costruite […] che tengano conto dei molti livelli su cui si articola la narrazione»[39].

Il progetto di «Centopagine» mira anche a favorire il ritorno alla narrativa da parte dei lettori. Dal punto di vista formale, si rivela indispensabile la convivenza di due aspetti: da una parte la raffinatezza dell’opera (misurata sulla base della precisione lessicale e dell’intera struttura), dall’altra l’attenzione per traduzioni valide e corrette.

La frenesia delle pubblicazioni di titoli stranieri della seconda metà del Novecento aveva portato, infatti, alcune case editrici a cadere nell’errore della rapidità o del riciclo di vecchie traduzioni, con l’inevitabile conseguenza di fornire al mercato librario testi scadenti o comunque di poco prestigio. Questo non è il caso dei «Centopagine», in cui viene riservata attenzione non solo alle traduzioni, ma anche all’impianto critico che prevede il lavoro di diversi intellettuali italiani in introduzioni e quarte di copertina. Dal punto di vista contenutistico, ciò che più favoriva l’interesse dei lettori era la capacità delle opere di condurli a concludere la lettura: ciò spiega la predilezione di Calvino per opere dalla forte intensità, che invece tende a perdersi in forme narrative lunghe.

In secondo luogo, per comprendere le motivazioni di carattere personale della scelta calviniana del racconto può essere utile confrontarsi con la sua produzione, sia narrativa sia saggistica. Nello specifico sono utili gli interventi raccolti nelle Lezioni americane, nei quali lo scrittore ha modo di trattare questioni teoriche che rivelano la sua visione della scrittura e della produzione letteraria. Dei noti cinque macro-argomenti analizzati – la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità, la molteplicità – la rapidità è particolarmente utile a comprendere la scelta calviniana del racconto in «Centopagine». Dopo aver affermato che «ogni valore […] non pretende d’escludere il valore contrario»[40], Calvino si sofferma sulla “velocità” nell’economia del racconto, concetto che viene applicato soprattutto nella narrazione orale della tradizione popolare. Il lavoro di scrittore, afferma Calvino, «è stato teso fin dagli inizi a inseguire il fulmineo percorso dei circuiti mentali che catturano e collegano punti lontani dello spazio e del tempo»[41], così lo scrittore di poesia o prosa dovrebbe essere capace di «realizzarsi per folgorazione improvvisa» ossia una ricerca «della frase in cui ogni parola è insostituibile»[42]. Alla luce di questo, infatti, non si può non tener conto di come in opere molto lunghe sia facile perdere questa tensione. Calvino scrive:

È difficile mantenere questo tipo di tensione in opere molto lunghe: e d’altronde il mio temperamento mi porta a realizzarmi meglio in testi brevi: la mia opera è fatta in gran parte di “short stories”. […] Certo la lunghezza o la brevità del testo sono criteri esteriori, ma io parlo d’una particolare densità che, anche se può essere raggiunta pure in narrazioni di largo respiro, ha comunque la sua misura nella singola pagina.

Di certo, il criterio quantitativo non può incidere sulla valutazione di un’opera; esso risulta intrinsecamente legato anche alle caratteristiche del testo e alla sua ricettività. È possibile che un’opera perda la “particolare densità” con l’aumentare delle storie, dei personaggi e delle varie inserzioni narrative. È, inoltre, Calvino stesso, in tutta la sua produzione letteraria, a preferire una lunghezza media o breve per narrare, e in questo trova un riscontro diretto nella tradizione della letteratura italiana che, «povera di romanzieri»[43], parrebbe realizzarsi meglio in opere dal ristretto numero di pagine.

La produzione di Calvino a partire dagli anni Cinquanta mostra un’inclinazione verso l’uso di forme brevi: dal Sentiero dei nidi di ragno del 1947 alla trilogia I nostri antenati la predilezione di Calvino oscilla tra il racconto e il romanzo breve, con una cospicua produzione anche di raccolte di racconti. Osservando le opere pubblicate, emerge una presenza maggiore, se non complessiva, di una produzione narrativa lontana dalla prolissità spesso tipica del genere romanzo. Le sue opere si sviluppano, in genere, per minimo cento e massimo duecentosessanta-duecentosettanta pagine, con un timido aumento quantitativo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta con Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Favorire il recupero del romanzesco e prediligere opere dalla forte intensità sono due prospettive che sembrano confluire nella scelta delle forme narrative brevi, portando, di conseguenza, la collana «Centopagine» a configurarsi come una risposta a tali nascenti necessità. Calvino vuole offrire un’alternativa di «modi e misure che potrebbero consentire al romanzo di adattarsi meglio a una mutata situazione generale, della società della letteratura»[44].

In un mondo in cui la cultura non è in grado di dotarsi degli strumenti adatti per assolvere una determinata funzione, Calvino propone non il racconto puro in sé (il quale verrebbe anche contaminato per renderlo spurio, non essendo, Calvino, amante delle forme pure) quanto, piuttosto, una forma in grado di influire «sul rinnovamento che il mondo deve avere»[45]. Il racconto è il genere più adatto a soddisfare la «condizione intellettuale come l’odierna di “agnosticismo”, di “piccole” e parziali certezze”»[46]. Più agile del romanzo, più breve, immediato e ad alta intensità, il racconto è la forma narrativa mediante la quale si può iniziare a racconta

  1. A. Cadioli, G. Vigni, Storia dell’editoria italiana dall’Unità ad oggi, Milano, Editrice Bibliografica, 2012, pp. 96-115.
  2. G. C. Ferretti, «Centopagine», in G. C. Ferretti, G. Iannuzzi, Storie di uomini e libri. L’editoria letteraria italiana attraverso le sue collane, Roma, Minumum fax, 2014, p. 5.
  3. Ivi, p. 243.
  4. A. Francescutti, Italo Calvino. l’avventura di un editore, in «Studi Novecenteschi», giugno 1996, vol. 23, n. 51, p. 75.
  5. A. Cadioli, Le «materie prime» dell’esperienza narrativa. Italo Calvino direttore di «Centopagine», in Calvino & l’editoria, a cura di L. Clerici e B. Falcetto, Milano, Marcos y Marcos, 1993, p. 146.
  6. Ivi, pp. 146-47.
  7. M. Martino, Calvino editor e ufficio stampa. Dal Notiziario Einaudi ai Centopagine, in «Oblique», 2012, p. 5.
  8. Ivi, pp. 9-10.
  9. A. Francescutti, Italo Calvino. l’avventura di un editore, art. cit., p. 78.
  10. Ora presente in I. Calvino, Una nuova collana: i «Centopagine» Einaudi, in Id., Saggi, Milano, Mondadori, 1995, pp. 1718-20.
  11. Ivi, pp. 1718-19.
  12. Ivi, p. 1718.
  13. Queste sono le parole che usa anche I. Rubino in «Centopagine». Un riconoscimento di forme nella narrativa italiana tra Otto e Novecento, in Autori, lettori e mercato nella modernità letteraria, a cura di I. Crotti et al., vol. II, Pisa, Edizioni ETS, 2011, p. 388.
  14. Ivi, p. 385.
  15. I. Calvino, Una nuova collana: i «Centopagine» Einaudi, art. cit., p. 1719.
  16. I. Calvino, Altri discorsi su letteratura e società. Sul romanzo, in Id., Saggi, op. cit., p. 1507.
  17. Ivi, p. 1509.
  18. Ivi, p. 1511.
  19. Ivi, p. 1512.
  20. Ibidem.
  21. Ibidem.
  22. Ivi, pp. 1512-13.
  23. E. Grazioli, Le inchieste di «Nuovi Argomenti»: riflessioni sulla letteratura nell’epoca dell’industria culturale, in Letteratura e Potere/Poteri, a cura di A. Manganaro, G. Traina, C. Tramontana, Catania, Adi, 2021, pp. 2-4 (cfr. l’URL: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/letteratura-e-potere; ultima consultazione: 09/05/2023).
  24. I. Calvino, Altri discorsi su letteratura e società. Sul romanzo, art. cit., p. 1523.
  25. Ivi, pp. 1524-25.
  26. Ivi, p. 1525.
  27. Ivi, p. 1513.
  28. Tale è anche l’approccio di Alessia Francescutti.
  29. I. Calvino, Il romanzo come spettacolo, in Id., Saggi, op. cit., p. 271.
  30. Ivi, p. 270.
  31. Ivi, p. 271.
  32. Ivi, p. 273.
  33. Ibidem.
  34. A. Francescutti, Italo Calvino. l’avventura di un editore, art. cit., p. 100.
  35. I. Calvino, Una nuova collana: i «Centopagine» Einaudi, in Id., Saggi, op. cit., p. 1719.
  36. Ibidem.
  37. Ibidem.
  38. M. Martino, Calvino editor e ufficio stampa. Dal Notiziario Einaudi ai Centopagine, art. cit., p. 27.
  39. Ivi, p. 28.
  40. I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio, in I. Calvino, Saggi, op. cit., p. 668.
  41. Ivi, p. 670.
  42. Ivi, pp. 670-71.
  43. Ivi, p. 671.
  44. I. Rubino, «Centopagine». Un riconoscimento di forme nella narrativa italiana tra Otto e Novecento, in Autori, lettori e mercato nella modernità letteraria, vol. II cit., pp. 381-388: 381.
  45. I. Calvino, Altri discorsi su letteratura e società. Sul romanzo, art. cit., p. 1514.
  46. L. Badini Confalonieri, Calvino e il racconto, in Metamorfosi della novella, a cura di G. Barberi Squarotti, Foggia, Bastogi, 1985, p. 413.

(fasc. 53, 25 agosto 2024)

«La guerra dietro le spalle»: Calvino editore e la letteratura di memoria

Author di Edoardo Barghini

In una lunga lettera del 15 luglio 1974 a Giovanni Falaschi[1], che sta preparando per Einaudi un importante studio sulla letteratura della Resistenza[2] – Calvino, oltre a essere fra gli autori analizzati nel libro, è anche l’editor incaricato di seguirne l’iter redazionale –, tra le numerose correzioni, integrazioni e indicazioni di metodo, struttura e stile che Calvino dispensa al giovane studioso, troviamo anche una preziosa riflessione sul rapporto tra autobiografia e storia collettiva. Scrive Calvino che le opere dei memorialisti «appartengono a una storia privata che si aggancia alla storia pubblica, collettiva e la esemplifica, la spiega dal di dentro»[3], e l’esperienza di ciascuno «ha valore nel quadro della propria maturazione di persona umana, e diventa collettiva come esempio d’una tra le tante esperienze individuali di cui è fatto un avvenimento storico»[4]. Continua a leggere «La guerra dietro le spalle»: Calvino editore e la letteratura di memoria

(fasc. 53, 25 agosto 2024)