Ieri notte è venuto a mancare Carlo Bordini, uno dei nostri più grandi poeti contemporanei.
Aveva da poco compiuto ottantadue anni e il Covid se l’è portato via in pochi giorni, con tutti i rituali di morte che ormai conosciamo. È stato un poeta chiave della poesia degli anni Ottanta e Novanta, della cosiddetta poesia in prosa, ma la sua storia viene da più lontano, avendo esordito negli anni Settanta, al tempo in cui i poeti stampavano ciclostilati, con Strana categoria. Un approdo tardivo perché per nove anni, dal ’62, milita in un gruppo clandestino trotskista, in cui trova protezione e sogno, disciplina e regole, conducendo una lotta di idee che lo porta a viaggiare, in primis in America latina. Letteralmente per lui la poesia ha rappresentato una riappropriazione della vita, intesa come amori, amicizie, dolori, come vivere, festeggiare, incontrare gli amici, e di questo parlano i suoi versi. Cercare di spiegare, «forse più a me stesso che agli altri», anche con ironia e lucida disperazione, il senso dell’esistenza. Con Poema a Trotskij, in poesia, e Memorie di un rivoluzionario timido, in prosa, noi abbiamo le stimmate di un’epoca portate alle estreme conseguenze, nel bene e nel male, o il ritratto di una generazione: il primo ha impiegato quarant’anni per terminarlo; del secondo, romanzo più volte abbandonato e più volte ripreso, molte pagine l’ha scritte piangendo. Continua a leggere Per Carlo Bordini
(fasc. 35, 11 novembre 2020)